Recensione London Boulevard (2010)

Dopo anni trascorsi alla corte di Martin Scorsese e Ridley Scott, lo sceneggiatore premio Oscar William Monaham debutta dietro la macchina da presa con la crime story London Boulevard, tratta dall'omonimo romanzo poliziesco di Ken Bruen.

London's burning

Tre anni trascorsi nella prigione di Pentonville hanno reso Mitchel tanto nervoso da indurlo ad abbandonare qualsiasi proposito criminale. Così, tornato libero sulla parola, l'ex cattivo ragazzo della South London inizia una complicata attività di redenzione cui si oppone con ostinata cecità un passato che proprio non ne vuol sapere di cedere il passo. Dopo aver resistito alle proposte illecite dell'amico Billy e al caloroso bentornato di un ambiente gangsteristico di terza classe, Mitchel si aggira frastornato all'interno di un microcosmo sotterraneo di cui conosce perfettamente i contorni senza più condividerne linguaggio e abitudini. Certo una sorella dedita all'alcol ed uno strozzino come socio non sono gli alleati migliori per il raggiungimento di nuovi e più alti scopi, ma l'arrivo dell'eterea e impaurita Charlotte sembra offrire finalmente una nuova direzione. Attrice di successo messa sotto assedio dall'attenzione della stampa ed in perenne fuga da una vita in prima pagina, la complicata ragazza dei quartieri alti apre le porte della sua lussuosa fortezza di Holland Park al ragazzo di strada pronto ad assisterla e difenderla prima per soldi e poi per amore. Tra i due nasce una passione intensa quanto inevitabile che fa sperare in un lieto fine, ma oltre i confini di un'innaturale tranquillità domestica nel cuore della West End l'altra faccia della città, quella più chiaramente violenta e minacciosa, sta costruendo intorno a Mitchel una rete di obblighi e tacite alleanze da onorare o distruggere a prezzo di una perdizione senza possibilità di ritorno.


Una tormenta di neve ed una casa nel Vermont non sono certo elementi fondamentali per la storia del cinema internazionale ma possono condizionare gli eventi di una singola vita. E' così che delle cause del tutto naturali hanno fatto da sfondo all'incontro tra lo sceneggiatore premio Oscar William Monaham ed il romanzo poliziesco London Boulevard di Ken Bruen, dettando le condizione per il suo debutto alla regia. Ispirato probabilmente dagli anni trascorsi alla corte di Martin Scorsese ( The Departed - Il bene e il male) e Ridley Scott (Le Crociate, Nessuna verità), l'esordio in questione ci consegna un'opera prima dal raffinato gusto estetico ma che mostra anche tutte le incertezze di uno talento non allenato a gestire parole e personaggi in modo funzionale rispetto alle necessità dell'immagine.

Una lezione, questa, che Monaham ha dimostrato di non padroneggiare ancora pienamente, creando una sorte di frattura discontinua tra la costruzione narrativa e la realizzazione tecnica. In questo modo, nonostante possegga un valore visivo dalla forte personalità, il suo London Boulevard risente di una oscillazione ritmica che nemmeno un Brit Pack d'eccezione riesce a far passare inosservato. Così, mentre la sottile ironia moderna si adatta agevolmente alle caratteristiche di una crime story dall'atmosfera vintage, l'evoluzione narrativa sembra cedere di fronte a scelte registiche pronte a rivendicare il diritto alla sintesi ed alla superficialità.
Un andamento altalenante che non risparmia di certo la delineazione caratteriale dei personaggi e l'utilizzo dei protagonisti. Per questo, se è facile e prevedibile calare Colin Farrell negli stereotipati panni del bad boy irlandese contrapposto all'algida Keira Knightley, cui si chiede di rappresentare l'altrettanto scontato lato oscuro della notorietà, del tutto inaspettati arrivano ad imprimere velocità e consistenza i camei di David Thewlis e Ben Chaplin, nuovamente insieme dopo The New World di Terrence Malick per dare vita ad una follia un po' freak a metà strada tra arte e criminalità.
Nonostante tutto, però, a sostenere solidamente una voce autoriale ancora immatura è una fotografia ed una ricostruzione ambientale che non si lascia andare mai all'indecisione, ma percorre fermamente la direzione di una perfezione artistica calda, tangibile e fortemente determinante. In questo caso più dell'elemento umano ha potuto una luce naturale che, messasi al servizio dell'immagine, regala uno dei profili londinesi più inconsueti e meno riconoscibili. Sovrastata da un cielo in continuo movimento, la città è accarezzata da un'assenza di luminosità che s'infiltra negli spazi delineando lo spessore di corpi, strade ed edifici. Attraverso le vie più popolari e degradate fino ai quartieri signorili, il direttore della fotografia Chri Menges (The Reader, Mission) sembra seguire l'immaginario filo rosso della Swinging London che, ben lontano dal riprodurre nostalgiche cartoline dal passato, riporta alla luce l'anima tradizionale e rivoluzionaria di una divinità superiore mutatasi per l'occasione in protagonista assoluta.

Movieplayer.it

3.0/5