Recensione Benvenuti al Nord (2012)

Giocare sulle differenze 'etniche', sui luoghi comuni infranti (in realtà quelli sull'operoso e noioso Nord restano intatti, ma ci si ride su) può anche divertire, ma una storia, per ottenere un coinvolgimento maggiore, richiederebbe un'argomentazione migliore di quella proposta nel film di Luca Miniero.

Operazione Sant'Ambrogio

Alberto Colombo è tornato da trionfatore a Milano. Dopo il periodo di amatissima punizione trascorso nella splendida Castellabate, dov'era stato spedito per il bizzarro modo di richiedere un avanzamento di carriera, il dirigente delle Poste è approdato nella sua città per la gioia dei nuovi sottoposti, chiamati a realizzare un piano di miglioramento dell'ufficio, chiamato E.R.P.E.S, in grado di trasformare Poste Italiane in una delle istituzioni meglio funzionanti, riducendo i tempi di svolgimento delle operazioni allo sportello. Almeno così la pensa l'ideatore del progetto, il dottor Palmisan, capo d'acciaio in formato mignon. A Castellabate invece gli impiegati protestano per l'introduzione del part time. Tutti scendono in piazza, tranne Mattia, felice di avere più tempo da dedicare al figlioletto Edinson e alla moglie Maria, in verità scontenta di aver sposato un ragazzone mai cresciuto. L'unica cosa che potrebbe metterlo di fronte alle responsabilità di padre di famiglia è un trasferimento al Nord. Magari a Milano, dove al fianco dell'amico di sempre Alberto, Mattia possa imparare a fare sul serio. Infilati prosciutto e mozzarella nelle valigie, asciugate le lacrime della madre disperata e disperato egli stesso per un'avventura che si annuncia molto complicata, Mattia va su. E trova un Alberto tanto giù. A forza di potenziare la produttività del suo ufficio, infatti, il poveretto è costretto a stare molto tempo lontano dalla moglie Silvia, che lo pianta su due piedi, delusa dalla poca partecipazione del marito al progetto di affittare una casa in montagna. Mollati dalle rispettive consorti, i due si trovano a fare fronte comune davanti a quella situazione che tirerà fuori lati sconosciuti del loro carattere; se Mattia scoprirà di essere un manager efficiente, Alberto imparerà a godersi la vita.


Forti di una storia nuova di zecca, quasi tranquillizzati dal mancato confronto con l'originale Giù al Nord che ispirò il primo fortunatissimo Benvenuti al Sud, Luca Miniero e Fabio Bonifacci scrivono una commedia esile, che fatica a stare in piedi sulle proprie gambe. E non perché non ci sia più uno schema a cui rifarsi (il soggetto è quasi speculare a quello del precedente), ma semplicemente perché di elementi divertenti ce ne sono pochi, e quei pochi non sono sfruttati a dovere. Se è effettivamente più difficile strappare un sorriso facendo deflagrare tic e manie, in due parole i luoghi comuni, che definiscono il mondo del Nord (ma anche questo alla lunga rischia di diventare un luogo comune), le soluzioni scelte dal regista sviliscono ancora di più lo sviluppo del racconto. Totò insegnava che a Milano la nebbia c'è e non si vede. E naturalmente il famigerato nebbione avvolge la casa di ringhiera di Alberto in pieno agosto. Passata la dissertazione meteorologica, tocca a quella sociale: i milanesi lavorano tutti, lavorano tanto e vanno sempre di fretta, mentre il meridionale (emigrante) ama perdere il suo tempo. Cosa aiuta il meridionale a ricredersi dei suoi malevoli pregiudizi? La neve, una bella manciata di fiocchi bianchi che spinge gli amici di Mattia a dire 'E' bello pur' o' Nord'.

Come una bottiglia di vino frizzante lasciato per troppo tempo senza tappo, Benvenuti al Nord perde le bollicine e si accartoccia su sé stesso, sciupando quanto di buono fatto vedere nella prima parte, orchestrata con brio e dinamismo grazie alla naturale verve di Alessandro Siani, il più bravo della compagnia assieme ad Angela Finocchiaro, materna e sadica al tempo stesso. E' uno spasso vedere l'alieno di Castellabate alle prese con sushi e sashimi e con il protocollo E.R.P.E.S., ma le divertenti avventure del napoletano che rimbrotta i mastini 'nemici' finiscono sempre di più in secondo piano, lasciando il passo alla crisi di Alberto, il solido Claudio Bisio. Lasciato dalla moglie e stufo di essere il migliore, il dirigente molla la presa e fa emergere il suo lato 'partenopeo', iniziando a prendersela con calma. A questo punto la pellicola perde di identità, finendo per diventare il più canonico dei buddy movie, in cui però poca importanza si dà all'effettivo percorso di crescita di due personaggi amabilmente spaesati, che cambiano modo di intendere la vita senza che quella scelta sia motivata a dovere, fosse anche con la leggerezza imposta da una commedia.
Giocare sulle differenze 'etniche', sui luoghi comuni infranti (in realtà quelli sull'operoso e noioso Nord restano intatti, ma ci si ride su) può anche divertire, ma una storia, per ottenere un coinvolgimento maggiore, richiederebbe un'argomentazione migliore di quella proposta nel film; una commedia che si disperde e dimostra la sua tesi di fondo (c'è un milanese in ogni napoletano, ma non lo ammetterà mai, e viceversa) in maniera un po' confusionaria. Tanto che il personaggio 'nuovo', quello interpretato con nevrotico trasporto daPaolo Rossi, non riesce ad incidere quanto dovrebbe, schiacciato in un racconto poco compatto. Il film va quindi, ma senza stupire e senza grosse novità. Se queste sono le caratteristiche del cosiddetto cinema medio, un film che porta a casa il massimo risultato con il minimo sforzo, allora ci siamo. Ma questo non vuol dire che debba essere la regola assoluta. Non se a farne le spese debba essere la verità profonda del racconto.

Movieplayer.it

2.0/5