Da Biancaneve a Cappuccetto Rosso: c'era una volta la fiaba

Dai fratelli Grimm al regno incantato di Walt Disney fino al moderno Biancaneve e il cacciatore, la favola cambia forme e contenuti grazie al live action per costruire un racconto drammaturgicamente più completo.

All'inizio ci furono Jacob e Wilhelm Grimm a caratterizzare l'infanzia e gli incubi di molte generazioni di ragazzi con una tradizione favolistica dai toni dark. Poi arrivarono Walt Disney e il cinema che, nella costruzione di un regno immaginario fondato su musica e armonia, bandirono definitivamente ogni forma di punizione corporale nel nome di un'irrinunciabile happy end. Perché, se è pur vero che matrigne come Grimilde non si augurano nemmeno al peggior nemico, è altrettanto certo che il trionfo del vero amore non può essere disturbato da castighi troppo sanguinari, anche se inflitti a regine invidiose e pericolosamente ambiziose. Quindi, nel nome dell'armonia e dell'illusione, il caro vecchio zio Walt ha consegnato alla storia della fairy tale una serie di principesse dalle gote rosee in perenne attesa del tanto decantato salvatore in calzamaglia azzurra. Un folto gruppo di donzelle perennemente in pericolo capitanate dallo storico terzetto
Biancaneve/Cenerentola/Aurora che, per oltre settant'anni, hanno contribuito a costruire non solamente un ideale femminile oggi decisamente desueto, quanto una tradizione narrativa quasi intoccabile. Almeno fino a quando il mondo del live action non ha iniziato a osservare questa misteriosa materia con occhi diversi, imponendo una rivoluzione artistica e culturale destinata a mutare la silenziosa aspettativa in determinazione personale e l'ambientazione fantastica in un luogo oscuro dove mettere alla prova se stessi e le proprie capacità.

A farsi primo simbolico portavoce di questa nuova tendenza è stato Tim Burton che nel 2010, con la sua tanto contestata Alice in Wonderland, non ha solamente reso noto il talento della giovane Mia Wasikowska (L'amore che resta, Jane Eyre, Albert Nobbs), ma ha contribuito a vestire il fairy tale di nuovi significati. Pur prendendo in considerazione i racconti originali del britannico Lewis Carroll (Alice nel paese delle Meraviglie, Attraverso lo specchio e quello che Alice vi trovò), l'istrionico regista ha costruito un percorso di formazione autonomo, un'evoluzione personale perseguita interamente ed esclusivamente da un personaggio femminile, fino a quel momento relegato al ruolo di semplice osservatrice. Così, utilizzando delle prove iniziatiche Burton traccia un arco evolutivo attraverso il quale una ragazzina caduta nella tana del coniglio per pura curiosità si trasforma in una donna indipendente ed eroicamente consapevole. Elementi fondamentali di quest'avventura intima e personale sono la conoscenza del mondo (sicuramente più interessante se abitato da Stregatti e Cappellai Matti con lo sguardo malinconico di Johnny Depp), la scoperta delle proprie possibilità e la determinazione nel compiere un destino da perseguire per scelta e non per predestinazione. In questo modo, pur evitando le atmosfere dark tanto care ai suoi estimatori in favore di quelle più contenute del mondo disneyano, il più grande narratore di fiabe gotiche dei nostri tempi (Edward mani di forbice, Nightmare Before Christmas, La sposa cadavere) getta le basi per un racconto in cui l'elemento femminile s'incorona protagonista, cardine di una narrazione pronta a riscattarlo da un passato esclusivamente romantico.
Dunque, il tempo degli uccellini canterini, delle fate madrine paffute e dei buffi animali parlanti sembra essere definitivamente archiviato. Per le favole tradizionali il cinema ha progetti di modernità con un ritorno ad atmosfere minacciose ispirate direttamente alle pagine scritte dai fratelli Grimm due secoli prima. Ed è esattamente ciò che succede in Cappuccetto Rosso Sangue. Messe da parte nonne dagli occhi grandi e cesti colmi di provviste da consegnare, il film di Catherine Hardwicke (nota ai più giovani soprattutto per aver firmato il primo capitolo della lunga saga di Twilight) rinuncia completamente a qualsiasi messaggio rassicurante in favore di un soft horror di ambientazione antica. Questa volta a nascondersi sotto il fantomatico cappuccio rosso non è un'ingenua ragazzina animata da buoni sentimenti, ma una giovane donna pronta a lottare per liberarsi da una promessa d'amore non voluta e per ammansire un lupo affamato nascosto dietro i lineamenti familiari del padre. Attraverso il volto angelico di Amanda Seyfried (Mamma Mia!, Dear John, In Time), la Hardwicke gestisce una contrapposizione costante che si rivela nei colori dell'ambiente circostante, nelle intime aspettative dei protagonisti come nella natura di una ragazza che, sotto il candore della pelle, nasconde le tracce della maledizione e la forza per combatterla. Ancora una volta la protagonista si fa guerriera, pronta ad affrontare le insidie del mondo, se non con la forza delle armi, sicuramente con quella dell'astuzia e dell'intelligenza. E se l'amore continua a essere la degna chiusura di una vicenda fantastica, almeno che sia contrastato e privo di trionfalismi.
Un rinnovamento, questo, che non risparmia nemmeno Biancaneve, l'antesignana di tutte le eroine romantiche. Così, a settantacinque anni dalla sua prima comparsa sul grande schermo nell'animazione per cui Walt Disney arrivò a ipotecare la sua abitazione, la leggiadra principessa ripudiata viene celebrata con due film di prossima uscita che mirano a una destrutturazione di forme e contenuti forse troppo antichi. Biancaneve, diretto da Tarsem Singh, e Biancaneve e il cacciatore, realizzato da Rupert Sanders, giocano con gli elementi principali della mitologia fantastica per costruire un nuovo percorso in cui commedia e avventura definiscono il linguaggio e la forma di percorsi cinematografici opposti. Distribuito dalla 01 Distribution il 4 aprile, il primo lungometraggio prende chiaramente spunto dal classico intreccio disneyano per poi condirlo con un'autoironia volutamente demenziale. Per sdrammatizzare le scelte politicamente corrette degli Studios Disney, Singh sceglie di rappresentare con il volto di Julia Roberts una matrigna vanitosa decisa a conquistare i favori amorosi di Armie Hammer (The Social Network, J. Edgar), principe dalla bellezza stereotipata e dal sorriso abbagliante. Dal canto suo la tenera Biancaneve, interpretata dall'esile Lily Collins figlia del più noto Phil Collins, decide di abbandonare corsetti e discutibili abiti da cigno per unirsi a una banda di nani. I sette, lontani dall'essere delle tenere creature dedite al lavoro in miniera, eccellono nell'inganno e nei furti, ma è solo grazie al loro intervento che la tenera principessa esule imparerà a brandire la spada per riconquistare il dominio sul proprio regno.
Toni scuri e magie nere degne di un vero fantasy caratterizzano, invece, il film di Sanders, nelle sale dall'11 luglio. In questo caso la ricostruzione di una foresta buia e opprimente fa da sfondo alla vicenda di una donna che, persa l'innocente fiducia della fanciullezza, si trasforma in una furiosa guerriera animata da un inaspettato spirito di sopravvivenza, mentre il confronto tra bene e male si fa più pressante e meno futile. Più di un primato di bellezza, l'imponente Charlize Theron e la fragile Kristen Stewart si contendono il dominio di un regno e la rappresentazione del potere, mentre la controparte maschile rinuncia alla perfezione di un cavaliere senza macchia in favore di Chris Hemsworth che, smessi i panni eroici di Thor, veste quelli del tormentato cacciatore Eric. Dunque, in questa nuova era del fairy tale la divisione tra bene e male continua a essere presente con grande chiarezza, ma viene arricchita da una serie di fragilità e tentennamenti che definiscono notevolmente i personaggi trasformandoli in caratteri sempre più complessi. Così, andando spesso oltre l'aspetto ludico e rassicurante, il live action costringe l'universo delle favole non solo ad accettare le ombre dei dubbi e la forza dei contrasti, ma attraverso degli elementi insoliti per il genere prova a costruire un racconto sempre più drammaturgicamente completo.
Di fronte a questa tendenza sembra essersi arresa anche la stessa Disney che, per non rimanere indietro su di un prodotto che sente obbiettivamente proprio, ha annunciato la produzione di Maleficent, rivisitazione live dello storico La bella addormentata nel bosco. Affidato alla regia di Robert Stromberg dopo la rinuncia di Tim Burton probabilmente troppo concentrato su Frankenweenie e Dark Shadows, il film abbandona momentaneamente il "dramma" di Aurora, interpretata da Elle Fanning, per accendere i riflettori sulla malvagia regina. Grazie al volto incantatore di Angelina Jolie gli Studios contano di mutare il punto di vista della narrazione e dar voce, almeno per questa volta, alle motivazioni che animano l'odio e il desiderio di vendetta. Ambientazioni horror, invece, dovremmo aspettarci per il nuovo adattamento de La bella e la bestia diretto da Guillermo del Toro (Il labirinto del fauno) e scritto da Andrew Davies (Il diario di Bridget Jones). Risposta americana al progetto francese di Christophe Gans (Silent Hill, Il patto dei lupi) con Vincent Cassel e Lea Seydoux, il film cercherà sicuramente di far dimenticare il flop di Beastly con una qualità visiva più complessa. A confrontarsi sulla stessa storia - come se non bastassero già due progetti cinematografici in cantiere - ci si mette anche il piccolo schermo con due pilot annunciati uno di ambientazione poliziesca e l'altro più aderente alla tradizione.
Mentre una natura e un look più moderno avrà Hansel e Gretel: Witch Hunters, la cui uscita negli Stati Uniti è prevista per gennaio 2013. Girato in 3D da Tommy Wirkola e interpretato dalla coppia Jeremy Renner/Gemma Arterton, il film conduce lo spettatore all'interno di una delle più classiche favole dei fratelli Grimm con un salto temporale di quindici anni. Diventati ormai adulti, i due fratelli sono diventati degli esperti cacciatori si streghe, disposti a qualsiasi sacrificio pur di contrastare il potere demoniaco di una potente Famke Janssen (X-Men).
Perciò, se il cinema è in qualche modo lo specchio dei tempi e della società, dall'attenzione sempre maggiore mostrata nei confronti delle favole e dei loro protagonisti, si dovrebbe dedurre un bisogno di tornare a sognare attraverso formule narrative più attuali ma sempre costruite intorno all'irrinunciabile magia del fantastico. Una necessità cui ha risposto anche la televisione, da sempre considerato la formula d'intrattenimento più vicina alle necessità dello spettatore medio, con C'era una volta e Grimm, due serie televisive ispirate alla tradizione del genere.Trasmessa dal canale Fox dal mese di gennaio e realizzata niente meno che da due sceneggiatori del numeroso team di Lost (Adam Horovitz, Edward Kitsis), in C'era una volta ritroviamo tutti i personaggi del fairy tale che, ignari delle loro origini speciali, vivono un'esistenza normale nella cittadina di StoryBrooke (è chiaro il riferimento al termine inglese Storybook, libro di favole). A condannarli a questa inconsapevolezza è stata la Regina malvagia (Lana Parrilla) che, non riuscendo a ostacolare la felicità di Biancaneve (Ginnifer Goodwin), getta una maledizione apparentemente definitiva. Almeno fino a quando il piccolo Henry, adottato proprio da Regina, non scopre l'inganno e con i suoi bizzarri racconti inizia a risvegliare i ricordi di un lontano passato. Per riuscire totalmente nel suo intento, però, il ragazzo ha bisogno di rintracciare l'unica persona in grado di spezzare definitivamente l'incantesimo: si tratta di Emma (Jennifer Morrison), la figlia avuta da Biancaneve poco prima che il loro regno fantastico scomparisse.
A queste atmosfere comunque leggere e tradizionali, la NBC risponde con quelle più dark di Grimm, in Italia sul canale Steel dal prossimo luglio. Protagonista dei 22 episodi è il detective Nick Burkhardt (David Giuntoli) che, dopo essersi imbattuto in numerose aggressioni mortali nei boschi di Portland ai danni di ragazze e bambine vestite di rosso, scopre di essere l'ultimo dei Grimm, ossia una stirpe di cacciatori capaci di scovare e combattere le creature soprannaturali che popolano la terra minacciando il genere umano. Un intreccio non insolito per il produttore e sceneggiatore del pilot David Greenwalt, meglio noto per aver dato vita a Buffy - l'ammazzavampiri e Angel, ma che comunque rivela quanto la favola, sia essa rassicurante o inquietante, faccia parte di una conoscenza atavica attraverso cui svelare i misteri del nostro futuro. Perchè, come il giornalista e scrittore Gianni Rodari ricordava _"la fiaba è il luogo di tutte le ipotesi, dove poter trovare la chiave per entrare nella realtà attraverso strade nuove." _