Clint Eastwood: da Sully a Million Dollar Baby, gli eroi dolenti e riluttanti dei suoi ultimi film

Persone prima che personaggi, i protagonisti delle opere eastwoodiane implodono dentro dilemmi e dolori personali. Una condizione esistenziale, dettata dal dovere o dalla fatalità, che fa vibrare sullo schermo una serie di ritratti umanissimi.

Clint Eastwood accanto a Hilary Swank in una scena di Million Dollar Baby
Clint Eastwood accanto a Hilary Swank in una scena di Million Dollar Baby

L'ispettore Callaghan è stanco. Stanco di sparare, di colpire a morte, di imporre la legge brutale del suo grilletto. L'uomo dallo sguardo fendente e dalla lingua letale ha posato la fidata pistola, l'ha infilata in una fondina e l'ha riposta in un cassetto. Da circa 13 anni il signor Clint Eastwood ha smesso di ammazzare. Lui, adesso, preferisce ferire, ha scelto di colpire dritto allo stomaco con film spesso indigesti, ha preferito indossare i guantoni per metterci al tappeto senza mai perdere il giusto tatto e quel gusto amarognolo che ha il sapore della vita vera. Viscerale, asciutto e pacato l'Eastwood regista ha disegnato un panorama umano eternamente sospeso tra la disillusione e la speranza, l'oblio e qualche raro squarcio di luce. Persone prima che personaggi, i protagonisti delle opere eastwoodiane implodono di continuo, afflitti da dilemmi e dolori personali, traditi dai loro stessi sogni oppure segnati per sempre da traumi indelebili. Seguendo una legge del contrappasso quasi autoinflitta, Clint abbandona nella polvere dei ricordi gli eroi a cui aveva dato forma per soffermarsi sulla loro negazione. Per insinuarsi nelle piaghe di padri, mentori, allievi, madri, persone normali.

Sully: Tom Hanks e Clint Eastwood sul set
Sully: Tom Hanks e Clint Eastwood sul set

Senza dimenticare la sua predilezione per figure di riferimento, come capi di stato, capitani di squadre, uomini di legge, soldati, comandanti di aeroplani. In occasione dell'uscita di Sully, ennesima riflessione su un eroismo riluttante, abbiamo deciso di ripercorrere la carriera dell'ultimo Eastwood attraverso sette ritratti. Sette film dove spesso ci si sottrae alla gloria e alle luci della ribalta per affrontare se stessi. Ecco perché in tanti film di Eastwood l'interesse del pubblico non ricade solo sullo sviluppo della storia, ma sulla condotta morale dei personaggi. Il suo è un cinema col contagocce, mai impetuoso che scorre piano, lento, come fanno le acque dei fiumi. Non a caso, l'autore Eastwood più ispirato, costante e apprezzato (ri)nasce da Mystic River per ammarare, infine, sull'Hudson di Sully. È questo il tragitto di un regista a cui dell'America non interessa più il sogno, ma il segno. Quello lasciato dalla guerra, dagli incidenti, dai rapimenti, dalle bugie. Dalla vita.

Leggi anche:

1. Messi alle corde - Million Dollar Baby

images/2016/12/05/hilary-swank.jpg

Scovarsi nella solitudine per poi scavare nel dolore. Se ogni film è diviso in primo e secondo tempo, Million Dollar Baby è spaccato in due round. Nel primo Eastwood sembra delineare la classica parabola del cinema sportivo statunitense, facendoci affezionare alla voglia di riscatto di Maggie, donna sola, costretta a vivere di briciole. La sua fame fa lentamente breccia nella corazza di Frankie, anziano allenatore ormai inaridito e spento. Poi, quella che sembra una risalita di due anime solitarie, improvvisamente unite nel riscatto, si interrompe. Di colpo. Da lì in poi ogni immagine assume un sapore acre, un odore pesante come quello di un guantone usato, sporco di sangue e impregnato di sudore. Le corde del ring si allargano a dismisura e delimitano almeno due vite intere. Senza mai sconfinare nel dramma compiaciuto, Eastwood va oltre il religioso e oltre il laico per abbracciare l'umano con un capolavoro difficile da guardare una seconda volta. Perché ogni volta ti costringe ad andare laggiù: "tra il nulla e l'addio".

2. Istinto materno - Changeling

Angelina Jolie in una sequenza del film Changeling
Angelina Jolie in una sequenza del film Changeling

Dopo aver strappato, scomposto e osservato da entrambi i lati una celebre fotografia di guerra (con Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima), Eastwood ritorna a raccontare una donna per metterle in braccio un macigno. È la storia vera di Christine Collins, madre di Walter, bambino di 9 anni che, un giorno qualsiasi, scompare. Il ritorno del piccolo non illude sua madre: lei sa che quello non è Walter. Da qui parte un calvario personale dove emerge l'inevitabile opposizione tra i diritti del singolo e l'ignavia della collettività, l'impegno personale e la fredda lontananza delle istituzioni. In questa salita tortuosa dove la giustizia appare un miraggio, Eastwood sveste Angelina Jolie della sua solita, prorompente bellezza. In Changeling c'è spazio solo per un volto materno afflitto e per uno sguardo scavato ma mai domo, attraversato da una flebile e costante speranza.

3. Il disgelo del vecchio - Gran Torino

Bee Vang e Clint Eastwood in una scena di Gran Torino
Bee Vang e Clint Eastwood in una scena di Gran Torino

Intollerante, razzista, sprezzante, nazionalista. Reduce di guerra dal cuore arido, Walt Kowalski diventa vedovo e ancora più distante da figli e nipoti quasi sconosciuti. Una condizione di estrema solitudine che sembra non spaventare questo anziano signore di origini polacche e dallo sguardo torvo, insofferente alla famiglia asiatica che abita accanto a lui. Walt dispensa occhiatacce fulminanti e sparge sputi per terra, un modo per segnare il suo territorio e distanziarsi da questi "sporchi musi gialli". Eppure, anche un essere repellente come lui, persino un uomo impermeabile agli affetti, sviluppa pian piano un senso di protezione nei confronti di due giovani vicini. La scintilla da cui parte il disgelo di Walt è in un certo senso la non accettazione della violenza da combattere con altra violenza; inevitabile paradosso in cui, però, qualcosa di costruttivo c'è. Tra Walt e il giovane Thao nasce un'osmosi salvifica per entrambi, un rapporto dove entrambi capisco come e perché si stia al mondo. Gran Torino, intesa come auto e come film, è forse uno dei più significativi testamenti cinematografici dell'ultimo Clint.

4. Capitani di anime e prati - Invictus

Morgan Freeman e Matt Damon, protagonisti di Invictus
Morgan Freeman e Matt Damon, protagonisti di Invictus

Dopo aver raccontato una storia intimissima, che non si allontana mai dai marciapiedi dello stesso quartiere e dai piccoli giardini di due case vicine, Eastwood allarga a dismisura il suo sguardo verso una nazione intera, e con Invictus lega due figure pubbliche, le cui azioni e le cui scelte hanno ripercussioni su un Sud Africa afflitto dall'apartheid. "Una squadra, un Paese": sulle ali di questo motto, il pacato ma deciso Nelson Mandela di Morgan Freeman capisce che lo sport è il viatico ideale per una nazione arcobaleno, così condivide la sua missione con Francois Pienaar, capitano della nazionale di rugby. La politica che si traveste da sport, lo sport che diventa spettacolo. Il tutto trova nel cinema lieve di Eastwood il palcoscenico perfetto per tratteggiare la fatica e il dolore alla base del visione del mondo di Mandela. Nonostante il tono più dolce del solito e i momenti commoventi, Eastwood scansa la retorica come i migliori rugbisti fanno con gli avversari per arrivare alla propria meta.

Leggi anche: Contro il razzismo e l'intolleranza: i film che ci hanno aperto il cuore e la mente

5. Alla ricerca del nemico - J. Edgar

Leonardo DiCaprio in J.Edgar di Clint Eastwood
Leonardo DiCaprio in J.Edgar di Clint Eastwood

Conosciuto come il signor Hoover, passato alla storia come il fondatore dell'FBI, ma soprattutto chiamato "Egdar" da sua madre. La declinazione di uno dei personaggi più controversi d'America giocata sulla soglia tra pubblico e privato, terreno nel quale la misura e il tatto di Clint Eastwood lasciano sempre l'impronta di un regista mai invadente. Ritratto, diario, biografia di un uomo complesso, J. Edgar è un film rigoroso e amaramente classico, dove l'amore malato di una madre ossessiva impedisce di accettare la propria omosessualità e spinge a sublimare queste negazioni in un lavoro ossessivo, in una condotta pubblicamente ineccepibile. Per questo farsi amare (dal Paese) diventa più importante di amare se stessi. Per questo, forse non a caso, una volta anziani, la coppia di colleghi-amanti viene ritratta con due maschere posticce, incarnazione di una vita piena di finzione. Ancora una volta Eastwood scava nell'uomo e intercetta i dialoghi più nascosti nell'animo dei suoi personaggi, sempre fallibili, costretti a reprimere la possibilità di esprimersi. Un film che si può racchiudere in un solo gesto: l'imbarazzo rabbioso con il quale Edgar spegne la tv mentre Martin Luther King pronuncia la celebre frase "I have a dream". Il sogno americano si spegne con facilità: premendo un tasto.

Leggi anche: Le 12 fatiche di Leonardo DiCaprio - Oscar mio, quanto mi sei costato!

6. Decisione tua - La scelta di un American Sniper

Bradley Cooper in American Sniper
Bradley Cooper in American Sniper

Il cinema è "adozione di un punto di vista", sguardo, ottica, prospettiva. Allora Clint Eastwood decide di guardare l'Iraq da una posizione inedita. Non si immerge nel caos del corpo a corpo, ma si mette lontano, fuori dalla mischia, concedendo al suo militare il tempo di osservare, capire, valutare e quindi scegliere. E' questa la condanna di Chris Kyle: avere il tempo di scegliere. "Decisione tua" è il motto ricorrente di American Sniper, film che percorre il doppio binario dell'andare e del non fare mai più ritorno. Perché chi cresce credendosi cane da pastore scopre che c'è più bisogno di cacciare i lupi là fuori che proteggere le pecore del proprio gregge. La grandezza di questo film sta nella sintesi con la quale Clint marchia le motivazioni della sua America. Nessuna denuncia esplicita, nessuna riflessione sull'origine di questa missione di guerra. Basta un marchio: quello di The Punisher. L'icona fumettistica, impressa su carri armati e giubbotti antiproiettile, fa di tutti i Seal una mandria di Frank Castle mossa dal desiderio di vendetta come l'antieroe Marvel. La causa di tutto è semplice, basta un teschio silenzioso e violentissimo, e allora tanto vale soffermarsi sulle conseguenze, accanirsi sul corpo pompato e lo sguardo svuotato di Bradley Cooper. Perché se esiste, purtroppo, del cinema anche in guerra, lo troviamo tra le mani e gli occhi di un cecchino, sia spettatore silenzioso che regista spietato.

Leggi anche: Life During Wartime: l'America in guerra, da Homeland ad American Sniper

7. Volare bassi - Sully

Sully: Tom Hanks in una scena del film
Sully: Tom Hanks in una scena del film

Era il primo titolo pensato per Invictus ed è diventato il sottotitolo "morale" di Sully: The Human Factor. Il fattore umano, quell'elemento spesso considerato fallibile e terreno di errori nei casi di incidenti, per una volta, scopre nuove, insperate traiettorie. L'incredibile storia del "miracolo sull'Hudson" offre a Clint l'occasione per parlare ancora una volta di responsabilità e per tratteggiare il carattere ammirevole di un uomo che non vuole essere chiamato eroe. Tom Hanks, nonostante abbia salvato la vita a centinaia di persone, è afflitto da incubi e dilemmi, dal dubbio di non aver preso la scelta migliore. Con Sully, ritratto misurato e credibile, Eastwood ridefinisce il concetto di eroismo, volando basso. Per distinguersi, per sorprendere, per elevarsi senza volerlo, basta semplicemente fare il proprio dovere.