Recensione Giuseppe Tornatore - Ogni film un'opera prima (2012)

Gerardo Panichi e Luciano Barcaroli evitano per fortuna la lettura più facilmente biografica e aneddotica, o ancora peggio quella più encomiastica e celebrativa, e si concentrano invece interamente sul processo di creazione artistica, tracciando un percorso di evoluzione della poetica di Giuseppe Tornatore, sia attraverso le confessioni del regista, sia attraverso le testimonianze dei suoi principali collaboratori.

Un uomo impastato di cinema

La coppia di documentaristi Gerardo Panichi e Luciano Barcaroli deve possedere una vera e propria ossessione nei confronti dei registi "larger than life", in qualche modo fuori misura e al di là delle regole. Infatti, dopo Rosy-fingered dawn: un film su Terrence Malick, presentato al Festival di Venezia del 2002, con il quale si erano cimentati nell'impresa quasi impossibile di catturare la sfuggente arte del regista di culto per i cinefili, i due autori tornando a sondare il mestiere di cineasta con Giuseppe Tornatore - Ogni film un'opera prima, decidendo di focalizzarsi forse sull'unico regista italiano vivente a non avere rinunciato alla passione per la magniloquenza e il gigantismo produttivo. Beninteso, Tornatore e Malick sono due figure diversissime, ma accomunate in qualche modo dall'essere rimasti tra i pochi artisti a intrattenere un rapporto totalizzante con la propria opera e ad essere mossi da un'ambizione titanica che, proprio per il suo essere senza mediazioni e senza vincoli, si espone coraggiosamente anche al rischio dello scacco e del fallimento.


Una passione febbrile per il cinema anima Giuseppe Tornatore fin dall'infanzia vissuta in un paesino della provincia siciliana degli anni Sessanta, dove ogni film che si riusciva a vedere rappresentava una conquista e dove l'esperienza della sala cinematografica era parte integrante del piacere della visione, tanto da meritare uno degli omaggi più emozionanti e commossi di sempre in Nuovo Cinema Paradiso. E se si vuole raggiungere il cuore della sua poetica bisogna tornare al piccolo cinema delle palme di Villabate (nei pressi di Bagheria, dove è nato Tornatore), ormai in rovina, nel quale il giovane Peppuccio faceva il proiezionista, sporcandosi letteralmente le mani con la pellicola. A questo tipo particolare di cinefilia, pulsante e quasi materico, il futuro regista sarà sempre legato, come dimostra quasi tutta la sua produzione, dal capolavoro del 1988 con il quale vinse l'Oscar a L'uomo delle stelle, da La leggenda del pianista sull'oceano fino all'ultimo amarcord Baarìa, espressione di un'estetica "corposa" e ridondante come gli stucchi del barocco siciliano. "Un uomo impastato di cinema", forse è questa la definizione più azzeccata che emerge dal documentario di Panichi e Barcaroli, perché Giuseppe Tornatore ha consacrato la sua intera esistenza alla Settima arte, guidato da una pulsione che lo obbliga ciclicamente a tornare alle origini, costruendo ogni nuovo tassello della sua filmografia come una nuova "opera prima".

Gerardo Panichi e Luciano Barcaroli evitano per fortuna la lettura più facilmente biografica e aneddotica, o ancora peggio quella più encomiastica e celebrativa, e si concentrano invece interamente sul processo di creazione artistica, tracciando un percorso di evoluzione della poetica del regista che va dai primi interessantissimi filmini amatoriali girati in super 8 durante la giovinezza (e presentati anche a un incontro al Festival di Roma di qualche anno fa), fino al mastodontico sforzo produttivo per la realizzazione di Baarìa. Gli aspetti principali del suo modo di intendere il cinema vengono affrontati in primo luogo dallo stesso Giuseppe Tornatore, che si concede con entusiasmo e prodigalità, partecipando quasi a un'autoanalisi della sua arte. Ne esce fuori un ritratto a tutto tondo, arricchito da rari filmati di repertorio e completato da numerose testimonianze dei più assidui collaboratori del regista, compagni sia dal punto di vista professionale che umano, da Ennio Morricone a Tonino Guerra, dai produttori Massimo Cristaldi (figlio di Franco Cristaldi) a Giampaolo Letta, passando per gli sceneggiatori, montatori e direttori di produzione dei suoi film, senza dimenticare naturalmente i suoi principali interpreti, da Ben Gazzara a Tim Roth, da Sergio Rubini a Sergio Castellitto, da Monica Bellucci a Geoffrey Rush, protagonista del nuovo La migliore offerta.
Pur non ricorrendo allo stile stilisticamente innovativo e sperimentale del precedente documentario su Terrence Malick, Gerardo Panichi e Luciano Barcaroli confermano con Giuseppe Tornatore - Ogni film un'opera prima una straordinaria capacità nel riuscire a muoversi tra le pieghe di personaggi affascinanti, carpendone la loro più intima essenza.