Recensione American Hustle - L'apparenza inganna (2013)

La confezione sfavillante, e il cast di star, non nascondono l'anima nera del lavoro di David O. Russell, celebrazione, venata di epica, di un'America fatta di truffatori, corrotti, prostitute e gangster.

La ballata della truffa

America, fine anni '70. Irving Rosenveld è un vero e proprio artista della truffa, un attore nato che incassa assegni da gente disperata, promettendo prestiti per conto di un'inesistente struttura finanziaria, per poi scomparire. L'uomo lavora insieme alla sua affascinante amante, Sidney Prosser, anche lei cresciuta alla scuola della strada, anche lei senza scrupoli. Per i due Bonnie e Clyde della finanza, però, la festa sta per finire: l'agente dell'FBI Richie DiMaso, infatti, si è messo con successo sulle loro tracce, riuscendo a far scattare le manette ai polsi della donna, colta sul fatto durante una finta "transazione". A DiMaso, però, non interessa affatto vedere i due in carcere: al contrario, l'uomo ha l'ambizione di ripulire i piani alti della politica dalla corruzione, mettendo a nudo i giochi di potere e le collusioni con la criminalità organizzata degli uomini più potenti del paese. A questo scopo, propone a Rosenveld un patto: lui lo aiuterà ad architettare una trappola nei confronti di almeno quattro uomini politici, facendoli finire in manette per corruzione; in cambio, Irving e Sidney avranno la libertà. Tuttavia, quando la trama architettata da Rosenveld tocca Carmine Polito, popolarissimo sindaco di una cittadina del New Jersey, DiMaso intravede la possibilità di arrivare ancora più in alto, e la sua ambizione si fa sempre più fuori controllo...


Come il suo agente federale protagonista, col volto non più da hangover di Bradley Cooper, David O. Russell è un regista ambizioso. Così, almeno dal 2010 (anno del suo The Fighter) il cineasta americano costruisce le sue pellicole con un occhio rivolto al pubblico e uno ai possibili favori dell'Academy, scegliendo soggetti e volti particolarmente indicati nel percorso (qui già passato per il trionfo al New York Film Critics Circle) verso la Notte delle Stelle. Qui, Russell prende una sceneggiatura di Eric Warren Singer, già inclusa nella black list dei migliori soggetti non realizzati del 2010, ispirata a una vera operazione anti-corruzione condotta dall'FBI a fine anni '70, per costruirvi un film che si regge su una serie di volti che, da soli, riuscirebbero a calamitare senza sforzo l'occhio dello spettatore per tutti i 135 minuti del film. Il truffatore di Christian Bale, il già citato federale di Bradley Cooper, l'ambigua e fascinosa Amy Adams, la sfatta Jennifer Lawrence, il corrotto dal cuore d'oro Jeremy Renner: una galleria così ben assemblata di talenti (nei panni di personaggi, in molti casi, presumibilmente ripensati e rimodellati sulle loro fattezze) potrebbe bastare al regista per vivere di rendita e limitarsi al minimo sindacale, in fatto di direzione e cura della messa in scena. Tuttavia, e malgrado l'indubbio, delizioso magnetismo d'insieme che emana dal cast (in un'opera che è più collettiva di quanto il plot potrebbe lasciar intendere) American Hustle - L'apparenza inganna ha anche altri meriti. Cerchiamo di analizzarli.

Quella di Russell è un'epopea americana che, nel suo dispiegarsi, parte dalle coordinate di decenni di crime stories, tratteggiando due antieroi che spostano le gesta delle coppie maledette del cinema che fu (quelle di Arthur Penn, Terrence Malick e non solo) nel mondo della finanza degli anni '70; mantenendone fermi i caratteri di affascinanti outsider, fuorilegge che non hanno (quasi) più bisogno di pistole per compiere le loro gesta. Tutto già visto e codificato, certo: ma l'aver descritto una coppia di truffatori nell'America post-Vietnam e post-Watergate, è anche un modo per spingere a empatizzare ancor più con questi personaggi, ribelli che non hanno neanche più bisogno (ammesso che ne abbiano mai avuto) di una causa. Anche l'occhio antropologico, lo sguardo sulla comunità etnico-criminale di un Martin Scorsese (rielaborata in chiave grottesca) trova un posto nella costruzione di Russell: il cameo di Robert De Niro, quasi toccante nei suoi rimandi a Quei bravi ragazzi e Casinò, è in questo senso significativo. Il regista si innesta quindi su un solido tessuto di suggestioni e rimandi, arrivando gradualmente a destrutturarlo; descrivendo, sullo sfondo della vicenda criminale, la storia di un triangolo amoroso (quello che vede la donna - dark lady sui generis - contesa dai due uomini dai lati opposti della legge) e di un'amicizia impossibile, qual è quella tra il truffatore amorale di Bale e il corrotto dal cuore d'oro col volto di Renner.
La regia di Russell è nervosa, la sua macchina da presa sempre mobile, a descrivere una vicenda in cui, come da tradizione del noir, i contorni di bene e male sfumano, e la truffa e l'inganno si rivelano principi regolatori del mondo; molto più di quanto piaccia pensare al personaggio interpretato da Cooper. L'ingenuità idealista mostrata da quest'ultimo, sempre più ossessiva e votata a una dedizione quasi calvinista, deve infine arrendersi a una realtà in cui sono le varie tonalità di grigio a farla da padrone, ed ha la meglio chi è più abile a mentire, simulare, ingannare. La lezione, per l'agente DiMaso, sarà amarissima; e si tradurrà nella conferma che l'America di truffatori, corrotti, ladri, puttane e gangster è quella che la memoria collettiva considera (sotto la patina moralistica) davvero eroica; e che una qualsiasi epica americana non potrà che accordare una posizione preminente, di autentica e duratura gloria, a questa galleria di artisti del crimine e della menzogna. La confezione sfavillante, grottesca e surriscaldata della messa in scena del film, nasconde uno sguardo amaro e cinico, sulle basi di una società fondata, retta e mantenuta in vita da questi (anti)eroi, non privi di un'etica nel loro individualismo. La perfetta struttura narrativa, che accompagna mirabilmente la vicenda verso l'ultima (e decisiva) truffa, si somma a un'ottima ricostruzione d'epoca, contrappuntata dalle canzoni di Elton John, Wings, Bee Gees, Donna Summer e altri musicisti del periodo. Il tutto a concorrere a una ballata americana che, nel suo impatto d'insieme, ha colpito certamente nel segno.

Movieplayer.it

4.0/5