100 metri dal paradiso: gli atleti che non ti aspetti

Mettere insieme una squadra di atletica del Vaticano: è questa la folle impresa in cui si lancia monsignor Paolini, nell'intento di svecchiare l'immagine della Chiesa ma anche di riconciliare l'amico Mario con il figlio, reo di aver abbandonato l'atletica per prendere i voti.

Non è difficile immaginare lo sconvolgimento di un padre che, sognando per il proprio figlio la folgorante carriera di atleta che lui non ha mai avuto, scopre che lui ha tutt'altri progetti: ovvero, farsi frate. Ma per fortuna il padre in questione ha un amico nelle alte sfere vaticane, e non un amico qualsiasi: monsignor Paolini è infatti il responsabile dell'immagine della Chiesa nei confronti dei giovani, che cerca di irretire con applicazioni per smartphone di dubbio gusto, più che con progetti di una certa concretezza. Quale miglior occasione per coniugare appeal mediatico e riconciliazione familiare, quindi, se non quella di mettere in piedi una squadra di atletica dello stato Pontificio, così che il giovane Tommaso possa gareggiare alle Olimpiadi, nonostante i voti, e così che la Chiesa abbandoni la propria impostazione rigida e eccessivamente istituzionale, rea di allontanare le nuove leve dalla parola di Dio? Sulla carta, per quanto eversivo, il progetto di monsignor Paolini sembrerebbe anche realizzabile: ma l'inflessibile cardinale Higgins, suo superiore, non vede di buon occhio iniziative così creative. Starà a Paolini, coadiuvato dalla sorella Marcella e dall'amico Mario, ormai pronto a tutto pur di veder realizzate le proprie ambizioni di padre e di atleta, forzare i farraginosi meccanismi che regolano ogni iniziativa dello stato pontificio. E' quindi una commedia dall'ambientazione e dalle tematiche decisamente atipiche quella di Raffaele Verzillo, che, con una buona dose di ironia ma anche di bonarietà, riesce a non pestare i piedi ad una chiesa cattolica sempre molto attenta alla propria rappresentazione nell'arte. Prodotto dalla neonata SCRIPTA e da Rai Cinema, 100 metri dal Paradiso è forte di un cast ben assortito, con il quale abbiamo commentato le tematiche proposte dal film, sempre con la dovuta leggerezza, ma anche senza faciloneria.

Come avete costruito il film, cercando di coniugare la plausibilità con il rispetto per le istituzioni coinvolte? Vi siete sentiti legati dall'opinione del Vaticano in proposito?
Raffaele Verzillo: Siamo partiti in modo folle. Con gli sceneggiatori abbiamo iniziato a scrivere senza porci minimamente il problema di interpellare qualcuno. Poi ci siamo detti che forse sarebbe stato meglio interessarsi a come il Vaticano avrebbe potuto reagire, in particolare riguardo determinate scene, e quindi ci siamo rivolti ad alcuni consulenti. Ma la loro reazione è stata di assoluta serenità, anzi ci hanno dato un'energia importante, specialmente don Giulio Della Vite a cui abbiamo sottoposto costantemente l'intero progetto.
Michele Politi: Produttivamente noi della SCRIPTA siamo alla nostra prima esperienza: siamo una società giovane, ma formata da persone che lavorano da tanto tempo in questo ambiente. Siamo un gruppo particolare, che ha tanta voglia di lavorare, in Italia quanto all'estero, attraverso progetti ambiziosi, e con l'apporto di persone illuminate, che anche in questo caso ci hanno dato una grossa mano, sia materiale che dal punto di vista dell'ideazione. Non ho parole per ringraziare tutti, tanto umanamente quanto professionalmente. Ci abbiamo messo l'anima, sotto tutti gli aspetti, e dobbiamo dire grazie anche al supporto offerto da Rai Cinema, e alla collaborazione del Vaticano, che ci ha offerto la propria consulenza su tanti temi importanti. Ma il film è nato e cresciuto indipendente da condizionamenti, credendo prima di tutto nella propria idea di fondo.
Paolo Del Brocco: Noi della Rai siamo molto felici della nascita di queste nuove società, forti di grandi competenze e che possono assicurare una platea più ampia di quella associata alle solite commedie. Parafrasando il film di Verdone, i nostri posti in piedi in Paradiso credo che riusciremo a prenderceli.

E' interessante il modo in cui si avete sviluppato un parallelismo tra Chiesa e sport, in un momento molto delicato per entrambi.
Raffaele Verzillo: Il fatto che il film sia uscito in questo particolare momento non è stato voluto. Mi ha fatto piacere raccontare questa storia attraverso una commedia proprio perché la fa prescindere dal momento in sé. Chiesa e sport sono due parametri forti con cui confrontarsi, tra i quali esistono grosse similitudini, e che quindi possono seguire un unico binario.

Jordi, come ti sei confrontato con il tuo personaggio, con il complicato rapporto tra padre e figlio e, ancora, tra fede e sport?
Jordi Mollà: Lo snodo del rapporto padre/figlio di cui è protagonista Mario sta tutto nel suo non essere arrivato dove avrebbe voluto arrivare, e nel cercare di proiettare le proprie aspettative su Tommaso. Mario ha un carattere comico, da cui però emerge sempre più la disperazione: a poco a poco si scioglie, si apre nei confronti del figlio, e in questo il film si distacca dall'essere meramente una commedia. Dal mio punto di vista l'imperativo non era far ridere, quanto piuttosto far sorridere, tenere lo spettatore con il sorriso per il maggior tempo possibile. Per me ha funzionato, ma bisognerebbe vedere la reazione di un vero pubblico in sala per capire se è realmente efficace in questo. Tra Chiesa e sport ci sono molti parallelismi, e nel significato più profondo di queste due esperienze. Io ho sempre avuto grande ammirazione per gli atleti, per la loro esistenza fatta di costante attesa e speranza, per il loro mettersi totalmente al servizio di una luce, di un obiettivo; e lo stesso vale per gli uomini di Chiesa, anche il loro è un cammino verso una direzione ben precisa, che è quella del trionfo, della gloria.

Quando avete scritto il film, era già uscito Habemus Papam? E, se sì, ne avete tratto ispirazione?
Raffaele Verzillo: Il film di Moretti è uscito mentre stavamo mettendo a punto la sceneggiatura, ma sia io che gli altri autori non abbiamo voluto vederlo. La scena della pallavolo, in particolare, può ricordare il nostro film ma rimane comunque distante da noi: lì si svolgeva tra cardinali, qui il coinvolgimento è molto più ampio, e comunque non ci azzarderemmo mai ad accostarci ad un grande come Nanni Moretti.

Domenico, come ti sei avvicinato al progetto, e come hai gestito il tuo personaggio, un po' alla Verdone, nel suo rapporto con la sorella?
Domenico Fortunato: Il sodalizio tra me e Raffaele non è iniziato con il suo film precedente, Animanera, ma veniamo da vent'anni di amicizia, fin da quando lui era aiuto regista. Quando mi ha chiamato per Animanera, mi ha confessato di aver sempre pensato a me come a un'anima brillante, e infatti sono stato contentissimo di essere stato coinvolto in questo film, in cui mi sono davvero divertito e ho vissuto ogni momento giocando. Devo ringraziare tantissimo don Giulio Della Vite, che avevo conosciuto per caso, o forse no, a una cena un anno prima di iniziare le riprese del film, e di cui avevo letto un libro, di cui mi era rimasto particolarmente impresso un capitolo intitolato "Essere prete oggi": Quando ho portato Raffaele con me in Vaticano, lui ha commentato dicendo di aver conosciuto il vero monsignor Paolini: ci ha dato davvero tanti consigli preziosi. Per quanto riguarda il mio rapporto con Marcella, io stesso ho due sorelle, con le quali ho un confronto molto dialettico, e anche Giulia ha dei fratelli. Ma soprattutto ci siamo trovati immediatamente, al primo giorno di provini: non appena lei mi ha visto, ha cominciato subito a recitare le proprie battute, si è creato un feeling unico.
Giulia Bevilacqua: Intanto ringrazio tutti per la bellissima esperienza che mi hanno fatto vivere, e poi sì, devo ammettere che con Domenico il rapporto è stato simbiotico fin da subito, ci siamo trovati molto affini, soprattutto perché abbiamo giocato sulle nostre corde, e ci è stata data la libertà di improvvisare. Io credo che quella alla base del film sia un'idea geniale, che dà anche un messaggio importante, ma la sua forza sta nell'amore e nel divertimento con cui noi tutti abbiamo affrontato questo percorso.

Quello di recuperare i valori più puri, più liberi della Chiesa, è un obiettivo che vi siete posti volontariamente?
Raffaele Verzillo: Sì, o meglio: abbiamo voluto fare una commedia anni Cinquanta, una cosa diversa dal solito. Credo che, se l'avessimo affrontato diversamente, il film sarebbe risultato sbagliato: ci è stato detto di non fare diventare, come spesso accade, una commedia una storia d'amore, o un giallo. Il nostro obiettivo era quello di far sorridere, niente di più.

Come avete affrontato la ricostruzione di quegli ambienti che vi erano inaccessibili per le riprese?
Raffaele Verzillo: In parte li abbiamo ricostruiti interamente, come le location in Colombia o in Africa, e poi ci siamo occupati della resa degli ambienti interni al Vaticano, attraverso i quali volevamo dare un'idea di reclusione, in quanto la presenza degli atleti non doveva essere resa di dominio pubblico. Ovviamente il campo di atletica in Vaticano non esiste: noi lo abbiamo allestito a Caracalla. Poi abbiamo fatto uso della computer grafica per la ricostruzione in 3d della cupola di San Pietro, o anche per le sequenze con le mappe animate: abbiamo scelto questa commistione di generi visivi per infondere leggerezza alla pellicola

In Italia non esiste una grande tradizione di film legati alla tematica dello sport. Voi ne avete preso qualcuno a riferimento?
Raffaele Verzillo: I nostri modelli non sono stati di tipo sportivo, ma siamo partiti innanzi tutto dalla commedia. Il nostro primo riferimento è stato Full Monty, perché anche noi abbiamo una piccola armata Brancaleone, nella quale però era più importante la forza di essere un gruppo, piuttosto che l'aspetto dello sport in sé.

Lorenzo, come ti sei preparato al tuo ruolo?
Lorenzo Richelmy: La mia preparazione è stata intensa e complicata, e non soltanto perché ho dovuto fare il centometrista, ma soprattutto per l'identità di seminarista di Tommaso. I cento metri sono un disciplina molto complessa, e devo ringraziare la produzione che mi ha messo a disposizione un grande campione come Maurizio Merani perché mi aiutasse a prepararmi. Ho avuto solo un mese di tempo, e c'erano tantissime cose sconosciute con cui fare i conti, ma per fortuna io amo lo sport e mi ci sono messo di buona lena. Fisicamente non è stato difficilissimo, ma è stata dura confrontarsi con gli altri ragazzi con cui mi allenavo, che mi affrontavano con un atteggiamento del tipo "è arrivato l'attore, adesso gli facciamo vedere"... Io sono una persona goffa, e forse si vede anche, ma sono comunque contento del risultato. Per quanto riguarda l'aspetto della vocazione, per me era una pressione importante dover interpretare la chiamata dall'alto di Tommaso, ma a poco a poco il peso si è sciolto. Il mio personaggio racchiude il nucleo del film: la genuinità, la semplicità, l'essere aperto e sincero. Io ora come ora sono agnostico, ma la chiamata di Tommaso me la immagino come l'esperienza di chi ha un quadro in casa, lo guarda per tutta la vita e poi un giorno, improvvisamente, si accorge di quanto sia bello: per me a lui è successa una cosa simile. Questo ovviamente non viene raccontato nello spazio della pellicola, si parte dalla sua difficoltà nel rivelare la propria scelta al padre, ma anche in questo Tommaso è stato umile, e mette l'importanza della fede davanti alla fatica di dover dire la verità, e io mi sentivo in dovere di restituire al pubblico questa onestà.

Nelle alte gerarchie ecclesiastiche c'è stato un atteggiamento favorevole o avete incontrato reticenze?
Raffaele Verzillo: La Chiesa, come si vede anche nel film, ha tante correnti interne: alcune di esse hanno provato affetto per il nostro progetto, altre meno: proprio come Higgins e Rosati nei confronti di Paolini.

Come è nata l'idea di affidare un ruolo comico a Giorgio Colangeli?
Raffaele Verzillo: L'idea è nata dalla nostra responsabile casting, che ci ha fatto notare come Giorgio sia sempre stato bravissimo anche nella commedia. Io non avevo nessuna preclusione, più che altro l'interrogativo era: ma Colangeli vorrà lavorare con Verzillo?
Giorgio Colangeli: Del lavoro dell'attore io ho ancora una concezione infantile: lo vedo come un modo per fare tutto, per un tempo che ti permette di non scocciarti anche se capisci che quello che stai facendo non ti piace. E' come quando, da piccolo, vedi un gommista e vuoi prenderti la soddisfazione di avvitare dei bulloni anche tu. Inoltre io il fisioterapista l'ho fatto anche in maniera seria per un certo periodo di tempo, quindi sapevo cosa stavo facendo. Per Colangeli, per rispondere alla domanda di Raffaele, è stato un grande piacere lavorare con Verzillo, anche se non ero sicuro di funzionare: questo respiro comico del mio personaggio mi pesava un po'. Avevo già fatto del teatro brillante, ma qui la responsabilità è tutta di chi mi ha dato fiducia, e quindi di Raffaele. In tutto il gruppo c'è sempre stata grande serenità e cordialità, ci siamo divertiti e ci siamo voluti bene.

Luis, com'è stato interpretare un industriale così molesto?
Luis Molteni: Io capisco pochissimo di sport e anche di Chiesa, e quindi ho dovuto infiltrarmi, proprio come adesso, in mezzo alle eminenze. Nel ruolo dell'industrialotto un po' invadente, con cui a tutti noi è capitato di avere a che fare, mi sono trovato bene: addirittura sono stato io a telefonare a Raffaele, non appena letta la sceneggiatura, per chiedergli "come, non mi vuoi nel tuo nuovo film, dopo che sono stato l'attore culto di Animanera?".

Come hanno vissuto questa esperienza i due alti prelati contrapposti nella fiction?
Ralph Palka: Higgins rappresenta il lato più conservatore della Chiesa, e in ogni buona storia ci vuole qualcuno che faccia resistenza, che rappresenti l'ostacolo. Non mi piace classificare le persone come simpatiche o antipatiche, però: è importante che ci sia chi guarda alle tradizioni, che salvaguardi i principi su cui un'istituzione si basa. Higgins è anche aperto, tanto è vero che Paolini lo ascolta sempre, anche se finisce per dirgli di no, quindi svolge una funzione utilissima.
Mariano Rigillo: Io devo ringraziare Raffaele soprattutto perché mi ha costretto a recuperare parti della mia infanzia e della mia adolescenza: non soltanto perché da piccoli si è tutti un po' atleti, ma anche perché io ho rischiato seriamente di entrare in seminario. Quindi la preparazione del mio personaggio è stata molto importante, così come l'interpretazione: questo ruolo mi ha entusiasmato, e sono molto contento anche per il piacere di aver potuto lavorare con un ventaglio così ricco di attori. Nel film c'è un bell'equilibrio di tematiche, ed è importante che si rifletta anche su quella Chiesa che non è sempre sotto le luci della ribalta, quella di strada, delle missioni: soprattutto, questo è un film fatto con consapevolezza.

Un commento dal consulente Vaticano, monsignor Della Vite? Don Giulio Della Vite: Finalmente qualcuno parla bene della Chiesa. Ci sono angoli ombrosi, è vero, ma anche pareti di luce, ed è bello poterle recuperare. La produzione comunque è sempre stata autonoma, noi abbiamo visto il film solo alla fine e ringraziamo tutti coloro che vi hanno preso parte per aver fatto vedere questo lato della Chiesa, che esiste concretamente. Abbiamo accolto volentieri questa visione di una realtà che c'è ed è attiva.

Come si è trovato in questo progetto un professionista di grande esperienza come Blasco Giurato?
Blasco Giurato: Io sono stato consigliato come collaboratore esterno, in modo che potessi fare da guida a Raffaele. In realtà l'esperienza è stata completamente invertita, perché qui ho ritrovato il vero spunto del cinema italiano, che non vedevo da tanto tempo. Ci sono grandi attori, e soprattutto è un film che ti fa sorridere, e uscire dalla sala con il sorriso è sempre gratificante, specie se non si tratta delle solite risate becere.

Chiara Rosa, la suor Adele del film, è in realtà davvero qualificata per le Olimpiadi del 2012. Come ti sei trovata sul set?
Chiara Rosa: Il tutto è iniziato come uno scherzo, addirittura mi hanno detto: senza di te questo film non si fa! Devo ringraziare le Fiamme Azzurre che mi hanno permesso di prendere parte a tutto questo: è stato un continuo viavai, molto impegnativo, ma anche divertentissimo.