Cannes 2009, il nostro bilancio

Dopo un'apertura festosa e colorata con Up, il festival si è chiuso nel segno dell'impegno e della sobrietà con la Palma d'oro assegnata a Il nastro bianco di Michael Haneke.

E' un palmares di grande coraggio e personalità, quello con cui Isabelle Huppert e i suoi colleghi giurati suggellano questo 62. Festival di Cannes. Soprendono in particolare i premi per la regia e la sceneggiatura a due pellicole che hanno lasciato fredda la critica come Kinatay del filippino Brillante Mendoza e Spring Fever del cinese Lou Ye, e sosprende naturalmente anche il riconoscimento attoriale finito in mano a Charlotte Gainsbourg, interprete audace e bravissima del discusso e sbeffeggiato Antichrist di Lars Von Trier. Non sosprende la Palma d'oro, e non perché, come ha voluto insinuare qualcuno, la Huppert non potesse avere che un occhio di riguardo per il regista che l'ha diretta ne La pianista, ma perché Il nastro bianco ha dimostrato di avere una caratura diversa da quella dei suoi rivali.
Prima della presentazione del film di Haneke, giovedì e quindi già quasi in dirittura d'arrivo, questo concorso internazionale appariva sì di ottimo livello, ma sembrava mancare di opere di peso, con le svolte verso la leggerezza di autori come Ken Loach o Johnnie To, ma anche con la robusta opera di genere di Audiard, la melanconica cinefilia di Almodóvar e la cronaca romantica di Jane Campion. Il film di Haneke è arrivato a offrire eccellenza formale e temi di notevole importanza e interesse gestiti con grande intensità drammatica, finendo all'istante nella rosa dei favoriti per poi conquistare una Palma d'oro meritatissima. All'altro contendente più quotato, Un prophéte di Jacques Audiard, è andato il Grand Prix, più

che adeguato ai meriti di quello che è un riuscito prison-movie cui avrebbe giovato qualche intervento di calibratura. I padroni di casa, che solo l'anno scorso avevano conquistato la palma d'oro con La classe - Entre les murs, sono ricordati dalla giuria anche con il premio speciale di cui viene insignito l'ottantasettenne Alain Resnais, in gara con Les herbes folles, un film bizzarro ma comunque decisamente più interessante degli altri due film francesi in competizione, lo scolastico A l'origine e l'indigeribile Enter the Void.
Sono assolutamente condivisibili anche le menzioni ex aequo per Fish Tank e Thirst, insigniti del Premio della Giuria, e il riconoscimento assegnato a Cristoph Waltz, la formidabile sorpresa di Bastardi senza gloria, mentre dispiace vedere escluso dalla rosa dei premiati The Time that Remains, originale e toccante opera semi-autobiografica del regista palestinese Elia Suleiman.

Per il resto, non possiamo ovviamente esimerci dal commentare la partecipazione al festival transalpino dell'unico film italiano in concorso, Vincere di Marco Bellocchio, di cui i media italiani hanno parlato misteriosamente come uno dei favoriti quando a Cannes nei giorni scorsi nessuno o quasi si aspettava di vederlo nel palmares. La verità è che la reazione della stampa accreditata è stata ben disposta, ma non certo calorosa e tantomeno entusiastica; gli apprezzamenti di alcuni importanti periodici sono stati fraintesi, o sopravvalutati, tanto che qualcuno in Italia si aspettava per Bellocchio addirittura il premio più prestigioso. Vincere non è privo di meriti, intendiamoci, ma resta una spanna sotto le opere migliori viste quest'anno e anche agli ottimi rappresentanti del nostro paese in gara nel 2008, Gomorra e Il divo.

Una parola sulle altre sezioni: a parte Up, le opere proiettate fuori concorso non hanno sucitato particolari scalpori, anche se il Raimi old school di Drag Me to Hell non ha mancato di divertire, e Agora di Alejandro Amenabar, pur non essendo per tutti gli stomaci, è stato generalmente apprezzato per l'estrosa regia e l'innegabile imponenza produttiva. Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo è stato invece soprattutto l'occasione per ricordare ancora una volta Heath Ledger, qui alla sua ultima intepretazione.
Come al solito sono state nel complesso più appetibili le proposte della sezione Un certain régard, che vede i suoi highlights, oltre che in Dogtooth, Police, Adjective e Le père de mes enfants, premiati dalla giuria guidata da Paolo Sorrentino, anche in quel Samson and Delilah insignito della Caméra d'or per la migliore opera prima e quell'irresistibile Precious di cui potremmo tornare a parlare in awards season.

Valanga di titoli degni d'interesse anche nelle sezioni parallele della Quinzaine des réalisateurs e della Semaine de la critique, che avrebbero meritato maggiori attenzioni da parte dei vostri cronisti, inevitabilmente assorbiti dalla selezione ufficiale.

Per concludere, salutiamo un Festival di Cannes che ha registrato rispetto alle ultime edizioni e a causa probabilmente delle vicende internazionali, economiche e non, un certo calo di affluenza, che ha comportato una migliore fruibilità della kermesse; nei momenti di massimo sprone, tuttavia, come la presentazione dei film di Lars Von Trier e Quentin Tarantino, la folla delle grandi occasioni non è mancata all'appuntamento.
Anche il mercato è stato certamente meno vivace rispetto al recente passato, con un numero inferiore di compratori e affari conclusi; nel complesso però le proiezioni più pessimistiche sono state smentite, e in particolare per l'Italia c'è stato un volume di acquisti davvero notevole: in buona parte dei casi, il pubblico italiano non dovrà aspettare più di qualche settimana per vedere in sala i film di cui vi abbiamo raccontato, in queste frenetiche settimane, direttamente dalla Croisette.