Stagione 2005-2006: la top ten della redazione di Movieplayer.it

La stagione si chiude e noi vi presentiamo, com'è ormai consuetudine ogni anno, i dieci film più amati dalla redazione di Movieplayer.it.

Com'è ormai tradizione, torniamo a proporvi la top ten stagionale della redazione di Movieplayer.it e a parlare, con rinnovato piacere, dei fim che più abbiamo amato in quest'annata cinamatografica. Quindici tra redattori e collaboratori, quindici teste molto diverse - è sempre stupefacente quanto, a parità di passione e con affinità di background , i gusti personali possano fare la differenza - quindici partecipanti per una votazione in cui in totale sono stati citati ben cinquantasei film. Come per le preferenze dei lettori (vedi il nostro speciale), quindi, c'è stata una notevole dispersione dei voti, che però significa anche che moltissimi titoli sono stati apprezzati. Questi i magnifici dieci:

1) Munich
2) I segreti di Brokeback Mountain
3) A History of Violence
4) Inside Man
5) Il regista di matrimoni
6) The New World
7) The Descent - discesa nelle tenebre
8) King Kong
9) Le tre sepolture
10) Match Point

Tra di essi, alcuni hanno davvero messo d'accordo tutti: A History of Violence di David Cronenberg, The New World di Terrence Malick e Inside Man di Spike Lee sono stati citati praticamente da tutti. I film che si trovano più in alto in classifica, invece, Munich e I segreti di Brokeback Mountain, ci hanno diviso, ma chi tra noi li ha amati non ha esitato a dare ad essi il massimo del punteggio disponibile. In generale, per tutti è stato difficile scegliere soltanto dieci titoli, in un'annata piuttosto proficua: sono rimasti di fuori per un soffio, infatti, film notevoli come La sposa cadavere, Il calamaro e la balena, Good Night, and Good Luck, Il castello errante di Howl, Truman Capote - a sangue freddo e Il caimano, che occupano dall'undicesima alla sedicesima posizione nella nostra classifica.

Guardando alla top ten, si nota sì la prevalenza del cinema d'auotore, ma anche il fatto che l'autorialità si sposa con il cinema di genere nei casi di Inside Man, King Kong, The Descent - discesa nelle tenebre, ma anche Le tre sepolture; in particolare la presenza di King Kong, un remake, ci induce a riflettere su come la personalità del regista - e che personalità, nel caso di Peter Jackson - possa contare più dell'originalità del materiale. Anche l'horror-fenomeno The Descent non brilla certo per originalità, ma deve la sua efficacia nelle atmosfere angoscianti e claustrofobiche evocate con successo da Neil Marshall, appena al suo secondo lungometraggio. Lo stesso discorso si può applicare a Inside Man, che ripropone le più classiche alchimie dello heist movie, ma con una sceneggiatura di sublime raffinatezza, grandi interpreti e soprattutto il tocco di un regista di immenso talento.

A proposito di talento, se fosse sfuggito a qualcuno - a noi non è sfuggito - c'è un nuovo film di Terrence Malick al mondo. Questo autore poco prolifico (il suo silenzio perdurava dall'uscita de La sottile linea rossa, nel 1999) finisce sempre per segnare le stagioni cinematografiche in cui escono i suoi rari ma indimenticabili lavori. The New World ha ottenuto meno allori e applausi da parte della critica rispetto a La sottile linea rossa, ma noi vi abbiamo ritrovato la stessa magia.

Dal grande maestro che si conferma, passiamo al prodigioso esordiente Tommy Lee Jones, il cui film, Le tre sepolture, avrebbe meritato nel nostro paese una visibità maggiore di quella che ha avuto, considerati anche i premi di cui è stato insignito in quel di Cannes. Jones dimostra una conoscenza del mezzo da autore consumato, e un'abilità che ha avuto quest'anno pochi uguali nel dirigere gli attori (e nell'autodirigersi). Se Le tre sepolture è il film emozionante e potente che è il merito è soprattutto delle interpretazioni indimenticabili dello stesso Jones e di un toccante Barry Pepper. E anche in questo caso possiamo notare come, al di là dell'originalità e delle risorse del plot, sia il genio del regista a comunicare, a conquistare, a stimolare lo spettatore.

Un discorso a parte lo merita Il regista di matrimoni. E questo perché, non vogliamo negarlo, ci fa particolarmente piacere scoprire l'eccellenza in un film italiano. Da cinefili italiani, ci siamo sempre difesi da accuse di esterofilia e di incapacità di amare il cinema di casa nostra. Quest'anno, invece, abbiamo apprezzato Romanzo criminale, e siamo stati conquistati da Il caimano. E poi è arrivato Marco Bellocchio, e con Il regista di matrimoni, per molti di noi, è stato un vero e proprio colpo di fulmine: un film incredibilmente complesso e affascinante, un poetico, appassionante, ironico enigma: cinema eccelso, al di là della nazionalità.

E terminiamo questa analisi parlando ancora di quattro grandi, che approdano a questa nostra top ten in qualche modo allontanandosi da quelli che sono considerati i loro tratti più rappresentativi, e, nel farlo, realizzano tutti opere tra le migliori della loro filmografia. David Cronenberg, per molti, rinuncia al suo punto di forza, la provocazione e la capacità di risultare disturbante, per rendere più commerciale e fruibile l'adattamento filmico di un un ultra-violento graphic novel: ma A History of Violence conserva tutta la forza e l'originalità del Cronenberg-pensiero, e risulta per di più decisamente divertente, appassionante ed emozionante. Woody Allen abbandona la commedia, il suo elemento, e rinuncia a recitare in Match Point, in cui l'ironia è limitata a forse due dialoghi: se in Melinda e Melinda il mondo era diviso tra ottimisti e pessimisti, tra campioni del tragico e fautori del comico, stavolta non c'è scelta, la pellicola è tutta virata al nero. Molte delle caratteristiche alleniane sono ben presenti, la forza della sceneggiatura, la brillantezza dei dialoghi, la genialità nel selezionare le musiche, ma quel che più colpisce è la volontà di indagare con spietatezza l'animo umano senza lasciare spazio alla redenzione e al sorriso.
Anche il versatile Ang Lee ci appare inedito in Brokeback Mountain. I suoi precedenti lavori sono stati caratterizzati per lo più da eleganza, leggerezza, e un romantico senso dell'avventura: in Brokeback Mountain l'amore non è avventura ma dramma, l'eleganza si trasforma in rigore ed essenzialità e il classico romance, inserito in questo contesto, acquista una potenza devastante.
Allo stesso modo, Steven Spielberg rinuncia al sogno, allo spirito fanciullesco che ha caratterizzato gran parte del suo lavoro e ci consegna un film di una durezza e di una lucidità spaventose. La regia spielberghiana è quanto di più magistrale sia cinematograficamente concepibile, gli interpreti sono tutti formidabili e i reparti tecnici all'altezza, ma quello che pesa è l'atto d'accusa a 360 gradi, la capacità e il coraggio di utilizzare e nobilitare il mezzo creativo per dare concretezza e sostanza a riflessioni scomode, dolorose, angosciose e attualissime.
Il nostro film dell'anno, Munich, è un grido d'allarme per il mondo, ma per il cinema è un trionfo.