Recensione The Sessions - Gli incontri (2012)

Quello humor disincantato, ma mai cinico, tipico della scrittura di Marc O'Brien, viene profuso a piene mani nella sceneggiatura dando vita a momenti realmente esilaranti e ad altri commoventi.

Lezioni di sesso

Non sono molte le pellicole che affrontano un tema delicato come quello della sessualità dei disabili. Tra queste pochissime riescono a farlo con la naturalezza e la vivacità di The Sessions - Gli appuntamenti, solare biopic ispirato alla vita del poeta e giornalista Mark O'Brien. In seguito a una poliomelite contratta durante l'infanzia, O'Brien fu costretto a trascorrere gran parte della sua esistenza dentro un polmone d'acciaio. Ciò non gli impedì di laurearsi a Berkeley in giornalismo, fondare una piccola casa editrice (la Lemonade Factory), scorrazzare su e giù per le strade della cittadina californiana che lo ospitava in barella, accompagnato dalle sue assistenti, e amare. Il film affronta, però, un momento particolare della vita di Marc O'Brien, quello in cui lo scrittore, giunto all'età di 38 anni e intimorito dall'idea di morire vergine, decide di rivolgersi a una terapista sessuale, un 'surrogato' di fidanzata che gli permetta di scoprire le gioie del sesso. La cronaca di questi sei incontri con la terapista Cheryl Cohen Greene viene ricostruita con accuratezza da Ben Lewin, regista e autore dell'efficace sceneggiatura, a sua volta sopravvissuto alla polio e in profonda sintonia con la materia narrata.


Lewin non nasconde niente. Negli incontri sessuali tra O'Brien e Cheryl non c'è spazio per sottintesi. Il film mostra apertamente l'imbarazzo, la difficoltà fisica e psicologica delle prime volte, l'ostacolo della malattia e della disabilità, soffermandosi su dettagli intimi e facendo uso di un linguaggio esplicito, senza falsi pudori. Con una materia così delicata, il rischio di cadere nella volgarità o nel pietismo è sempre in agguato, ma il regista riesce a descrivere l'iniziazione sessuale del suo protagonista nel mondo più semplice e naturale. Quello humor disincantato, ma mai cinico, tipico della scrittura di O'Brien, viene profuso a piene mani nella sceneggiatura dando vita a momenti realmente esilaranti, come i divertenti monologhi interiori di Mark, i confronti tra il malato e le sue infermiere e i colloqui con il suo confessore Padre Brendan (un irresistibile William H. Macy), e ad altri commoventi.

Un film così tenero, toccante e profondamente umano non potrebbe esistere senza i suoi straordinari interpreti. Dopo la nomination all'Oscar per Un gelido inverno, John Hawkes ci sorprende ancora una volta rinunciando all'uso del corpo per interpretare un personaggio fragile e sofferente come Marc O'Brien. Privato della mobilità, Hawkes si produce in una perfomance da Oscar utilizzando gli unici strumenti a sua disposizione: il volto, lo sguardo e la voce. E' raro, per un ruolo così virtuosistico, assistere a un'interpretazione così disarmante e ricca di calore, al servizio del film e non del narcisismo personale dell'interprete. Non è da meno Helen Hunt che si spoglia, (nel senso letterale del termine) di ogni pregiudizio dimostrando un coraggio da leone nell'adesione al personaggio di Cheryl. A quasi cinquant'anni la bionda attrice è pronta a mettersi in gioco nei panni di una donna perfettamente a proprio agio con il proprio corpo tanto da aver trasformato l'atto sessuale in professione, senza scomporsi più di tanto quando le viene chiesto di spiegare la differenza tra la sua attività e quella di una prostituta. Essenziale anche la presenza di William Macy, padre spirituale capellone protagonista di divertenti siparietti che, dopo lo sbigottimento iniziale, appoggia la scelta di O'Brien di andare alla scoperta del sesso. Sua è la chiosa "Ho la sensazione che Dio ti stia dando il via libera per questa storia del sesso. Datti da fare!".

Movieplayer.it

4.0/5