Recensione Step Up 4 Revolution (2012)

Nonostante delle debolezze strutturali e l'utilizzo di dialoghi che hanno la stessa leggerezza di una piroiette, il film custodisce una sorta di seconda anima, un mondo parallelo capace di esplodere con tutta l'energia dell'espressione fisica.

Revolutionary Dance

Se c'è una caratteristica cui un prodotto seriale come Step Up non può rinunciare è la continuità. Un elemento che, almeno in questo caso specifico, è rappresentato da un intreccio narrativo basato sempre sull'utilizzo degli stessi schemi dove giovani di umili natali, delusi dalla vita o spinti dal desiderio di rivendicare i propri sogni, si avventurano in luoghi abitati da ragazzi lontani anni luce dalla loro realtà. Naturalmente, il confronto/scontro, come lo scoccare della scintilla amorosa, avviene solo ed esclusivamente in relazione alla danza. Anche in questo caso il faccia a faccia, come quello sociale, è costruito sempre intorno a ritmi e attitudini diverse, lasciando ad esempio alla street dance e al più nobile balletto la possibilità di dialogare inaspettatamente tra loro. Capostipite involontario di questa saga con ritmo, è stato Channing Tatum che, vestendo i panni del ribelle Tyler nel primo Step Up, conquista il cuore e l'attenzione della sofisticata Nora, ballerina della Maryland School of Arts. In questo caso, una colonna sonora composta da brani hip hip e R&B aiutano il personaggio a scoprire un talento naturale per il ballo e traghettano il suo interprete vero la notorietà del grande schermo. Alla coppia Tatum/Dewan segue quella formata da Briana Evigan e Robert Hoffman in Step Up 2 - La strada per il successo.


Qui i ruoli vengono sovvertiti, lasciando a Briana il privilegio d'interpretare una Cenerentola moderna abituata alla rudezza della strada. In palio per lei produttori e sceneggiatori mettono il cuore di un ballerino classico e un posto nella stessa scuola frequentata a suo tempo dall'amico Tyler, ormai diventato una stella della danza. Con Step Up 3D, poi, la serie entra nell'era della tridimensionalità e inserisce la variabile narrativa della crew che, già accennata nel capitolo precedente, in questo caso viene sviluppata per trasformarsi in un nuovo palcoscenico per esibire appartenenze famigliari e capacità artistiche. Considerando tutto questo, dunque, sarebbe stato ottimistico, se non utopistico, aspettarsi una struttura narrativa diversa per il quarto capitolo Step Up 4 Revolution, diretto da Scott Speer. Oltre allo spostamento dell'azione nell'assolata Miami, la sceneggiatrice Amanda Brody non è riuscita ad andare oltre ricorrendo al teorema su cui è stato costruito il primo capitolo. Questa volta la coppia è formata dagli esordienti Ryan Guzman e Kathryn McCormick, destinati a danzare, innamorarsi e portare a termine la loro personale rivoluzione per salvare il quartiere popolare della città nei panni di Sean, ragazzo di umili origini cubane, e Emily, figlia del costruttore senza scrupoli Bill Anderson. Così, nel ripetersi della formula romantica in cui uno working class boy sembra destinato a conquistare i favori di una up town girl, la vicenda si costruisce intorno ad una semplificazione estrema, in cui pochi elementi vengono ribaditi con una determinazione ossessiva.

Eppure, nonostante queste debolezze strutturali e l'utilizzo di dialoghi che hanno la stessa leggerezza di una pirouette, il film custodisce una sorta di seconda anima, un mondo parallelo capace di esplodere con tutta l'energia dell'espressione fisica. Perché, nonostante gli intrecci più o meno riusciti e i volti nuovi portati alla ribalta, in questo genere di film il ballo non rappresenta un semplice abbellimento ma l'unica ragione di essere. Lo si comprende chiaramente dall'attenzione posta nella costruzione di coreografie sempre più complesse che, utilizzando in questo caso il flash mob come una forma espressiva di massa, trasforma il gesto fisico in manifestazione artistica. In questo caso l'ispirazione, pur continuando a provenire da influenze urbane, si lascia sedurre da modelli più alti. Il richiamo alla danza acrobatica e illusionistica dei Momix è chiaro, visto il tentativi riuscito di fondersi all'interno di un museo evocando forme e colori attraverso corpi, costumi luci e giochi di ombre.

A questo risponde una coreografia di protesta che, per dare voce agli umili di Miami di fronte al potere degli speculatori edilizi, mette in scena una rappresentazione che molto deve allo stile di Daniel Ezralow. I suoi marines, prodotti in serie da uno Zio Sam affamato di vite umane nel film Across the Universe, sono chiaramente l'origine da cui nascono i colletti bianchi fatti danzare in Step Up, creature omologate dalle aspettative sociali e soggiogate dalla necessità del business. Se a tutto questo, poi, si aggiunge un finale pirotecnico in cui mettere in gioco tutte le varianti possibili per una danza urbana che, dall'hip hop passa alla break e alle influenze cubane senza perdere il ritmo, si può accettare che un certo tipo di cinema possa andare oltre la trama e i suoi protagonisti, diventando così il rappresentante di un genere del tutto personale.

Movieplayer.it

2.0/5