Recensione Snowpiercer (2013)

Presentato fuori concorso al Festival di Roma, Snowpiercer è una potente e visionaria metafora sociologica di fantascienza distopica. Il treno è il mondo e i passeggeri l'umanità sopravvissuta, un microcosmo della società con i conflitti e le divisioni di classe che la caratterizzano, i poveri in coda e i ricchi in testa. Riflessioni sociologiche sull'ordine prestabilito, violenza, azione e ironia si alternano nel film più costoso della storia del cinema coreano.

Come un treno

1 Luglio 2014. Il mondo ha oramai i giorni contati a causa del surriscaldamento globale. I grandi della terra optano per una soluzione drastica, l'utilizzo del CW7, una sostanza che sparsa nell'atmosfera porrà fine al processo del global warming. L'esperimento fallisce e le conseguenze sono disastrose, una vera e propria nuova era glaciale stermina tutti gli abitanti della terra seppellendo il mondo in una tomba di ghiaccio e neve. 2031, l'unico residuo di umanità sopravvissuta è rappresentato dai passeggeri dello Snowpiercer, un treno ad alta velocità che da 17 anni gira intorno al mondo con un percorso circolare che dura esattamente un anno, alimentato da un motore rivoluzionario e inarrestabile che fornisce energia in moto perpetuo. Il treno è un microcosmo della società umana ed è diviso in classi sociali, con i poveri relegati con la forza nelle ultime carrozze, malnutriti e derelitti, mentre i ricchi alloggiano nei vagoni anteriori, e vivono nel lusso e negli agi. Gli equilibri sono estremamente delicati e la rivolta sociale è dietro l'angolo, pronta a sfociare nell'ennesima rivoluzione quando quando i poveri dei vagoni di coda troveranno in Curtis (Chris Evans) il leader che aspettavano per guidarli fino alla testa del treno, alla Sacra locomotiva, dove risiede il fantomatico Wilford (Ed Harris), inventore del treno e detentore del potere.


Snowpiercer, del coreano Bong Joon-ho (The Host, Mother), presentato in anteprima all'ottava edizione del Festival Internazionale di Roma, è una potente e visionaria metafora sociale di fantascienza distopica: attinge a piene mani dal genere post apocalittico e nello stesso tempo lo innova e lo approfondisce con l'intuizione di relegare l'umanità sopravvissuta in un unico spazio circoscritto e claustrofobico dove ricreare il microcosmo della società, con le differenze e i conflitti di classe, e approfondire riflessioni sugli equilibri che regolano la convivenza di esse. Il treno è il mondo e sopra c'è l'umanità, Wilford il creatore è Dio, il treno e il suo moto perpetuo che dipende dalla Sacra Locomotiva, al quale è legata la sopravvivenza del genere umano, la sua religione, alla quale le nuove generazioni vengono indottrinate. L'ordine sociale è prestabilito, ognuno ha il suo posto assegnato nella scala sociale, il cappello che sta in testa non può scambiarsi il posto con le scarpe che stanno in coda, e anche quando la rivoluzione sta per compiersi, l'inevitabilità e la necessità del classismo sembrano quasi trovare giustificazione nelle parole di colui che è leader e creatore, rivelando un insospettabile doppio filo che lega gli estremi e che garantisce la sopravvivenza.

Metafora nella metafora, la popolazione dal treno, come quella del mondo, va tenuta sotto controllo, solo che nella moderna arca di Noé, non c'è tempo per aspettare la selezione naturale, sacrifici sono necessari per il mantenimento dell'ordine costituito. A bordo circola il kroniolo, droga da sniffare sintetizzata dai rifiuti industriali, e nei vagoni di testa si tenta addirittura di ricreare e mantenere un ecosistema sostenibile in un vagone acquario, altri riflessi distopici di un mondo futuro inscatolato e concentrato.

Tre diversi concept artists insieme a Bong, che è figlio di un designer, hanno lavorato al look del film e alla creazione dei vari ambienti a bordo del treno con risultati eccezionali: dalle vetrate si vede il mondo esterno nella sua immutabile tomba di ghiaccio, mentre dentro si passa dagli slum di coda abitati da anime che sembrano reduci da Mad Max, fino alle lussuose carrozze di testa dove albergano lusso ed eccessi che richiamano il futurismo degli anni 20. Violento, estremo, visionario e fascinosamente imperfetto, il film alterna momenti cupissimi a lampi di ironia in perfetto stile Bong, con un cast di primissimo livello, che vede oltre a Chris "Captain America" Evans e ad un intenso Ed Harris, anche John Hurt nel ruolo della sua controparte dei bassifondi, un'inedita, irriconoscibile e memorabile Tilda Swinton, Jamie Bell (Billy Elliot) e il premio oscar Octavia Spencer (The Help). Il tossico mastro di chiavi, che forse è il più lucido di tutti, perché è l'unico che ancora riesce a cogliere sfumature che significano speranza di cambiamento nel mondo esterno attraverso i vetri, è la superstar coreana Song Kang-ho.

Movieplayer.it

4.0/5