Marco Risi porta l'Italia a lezioni di Cha Cha Cha

Dopo il successo di Fortapasc, il regista torna alla regia con un film in cui la denuncia sociale e politica è raccontata da un eroe chandleriano con il volto di Luca Argentero

Si dice che Roma sia il centro del potere, delle istituzioni e, naturalmente, della parte più "spirituale" del nostro paese. Sarà per questo che il cinema sembra essersi concentrato sulla città che, sotto le spoglie di un'antica grandezza, oggi nasconde il marcio di una società decadente. Lo ha fatto poco meno di un mese fa Paolo Sorrentino con La grande bellezza, raccontando, attraverso la nuova configurazione del salotto romano, il decadimento culturale di un paese e continua sulla stessa strada anche Marco Risi con il suo noir Cha Cha Cha. Presentato prossimamente al Festival di Taormina e distribuito nelle sale dal 20 giugno da 01 Distribution, il film però si concentra, come uso e interesse del suo regista, sulla concussione tra potere e Stato, dimostrando ancora una volta come l'unione tra i due abbia dato vita a una realtà pericolosamente ambigua e priva di etica. A condurre lo spettatore tra le poche luci e le molte ombre di un'indagine è l'investigatore privato Corso che, guidato solamente dal suo spirito idealista, parte dall'uccisione "casuale" di un ragazzo per scoprire gli intrighi di un'Italia mai super parte. Ad accompagnare il regista nella presentazione del suo ultimo lavoro dopo Fortapasc, è il cast formato dal protagonista Luca Argentero, Eva Herzigova, Claudio Amendola e Pippo Delbono.

Ancora una volta la città di Roma viene utilizzata come palcoscenico su cui rappresentare i difetti più pericolosi della nostra epoca. In cosa differisce il suo Cha Cha Cha da La grande bellezza di Sorrentino? Marco Risi: Quando ho iniziato a girare, non avevo idea che Sorrentino stesso lavorando su La grande bellezza, un film che ho trovato straordinario per la scelta di raccontare la città attraverso gli occhi di un giornalista. Il mio punto di osservazione è diverso, però. Io ho voluto che il mio sguardo fosse quello di un investigatore privato coinvolto nel racconto dei lati oscuri del potere. Ho sempre subito il fascino di quel tipo di personaggi chandleriani, quasi sempre avvolti da una romantica solitudine. Anche ne Il lungo addio di Altman, se vi ricordate, il personaggio viveva in compagnia di un gatto per il quale aveva delle cure quasi ossessive. Allo stesso modo, il mio investigatore privato divide l'appartamento con Ugo, un cane imperfetto visto che ha una zampa in meno. Ed anche questo particolare spiega molto della natura del personaggio. Perchè l'ex poliziotto Corso è un idealista desideroso di condurre il gioco in un modo più chiaro e onesto, fino ad accorgersi, però, dell'impossibilità di questo suo desiderio. E poi, a renderlo ancora più umano c'è la storia d'amore con Michelle che, nonostante appartenga al passato, fa sentire ancora la sua presenza.

Quale Italia desiderava raccontare? Marco Risi: Volevo fotografare l'immagine di un paese in cui tutti sembrano coinvolti nello stesso gioco di potere, tranne uno. Ricordo che, quando andavo al cinema da ragazzino, ero sempre affascinato dall'immagine dell'eroe, dall'uomo capace di confrontarsi da solo con il potere o la corruzione. Insomma, non essendo io molto coraggioso, il cinema mi ha dato la possibilità di costruire questo immaginario. Inoltre, credo che ci troviamo in un periodo in cui qualche cosa sta cambiando, soprattutto nella mente delle singole persone. Ossia si sta perdendo l'adesione ad un pensiero comune del tutto sbagliato che, dal periodo andreottiano in poi, ci ha uniti nella convinzione sbagliata di una realtà delle cose mai modificabile. Credo che si stiano aprendo degli squarci di luce. E questo ci deve portare a credere nelle nostre capacità di cambiamento. Perché questo paese, nonostante sia bello oltre che cialtrone, deve cominciare a diventare un po' più serio.

Il film è popolato anche da molti personaggi secondari cui sembra aver prestato molta attenzione. In che modo questi caratterizzano l'atmosfera e l'andamento del film? Marco Risi: per quanto mi riguarda non ci sono mai personaggi secondari. Non ricordo chi lo diceva ma non esistono piccoli ruoli, solo piccoli attori. Un esempio di questa mia convinzione, ad esempio, è il talento di Marco Leonardi. Credo fermamente che, se fosse negli Stati Uniti, lavorerebbe senza sosta mentre qui non gli vengono offerte molte occasioni.

Lei ha scritto la sceneggiatura a sei mani con Andrea Purgatori e Jim Carrington. Come è stato organizzato e suddiviso il lavoro? Marco Risi: La prima idea non è stata quella di un film di genere. In realtà volevo raccontare alcune vicende come le trattative tra stato e mafia, ma non ero convinto del tema. Alla fine mi ha incuriosito fotografare una fetta del paese attraverso gli occhi di un investigatore privato. Per fare questo non potevo far altro che collaborare con Andrea Purgatori, con cui ho firmato altri lavori come Il muro di gomma, e con Jim Carrington, il quale si è occupato di suddividere le scene assicurando la varietà e la dinamicità di tutta la struttura.
.
Per il detective Corso sono previste altre avventure? Marco Risi: Difficile a dirsi. Queste cose vanno di pari passi con gli incassi. In sostanza, se riusciamo ad incassare il minimo previsto, ossia dieci milioni di euro, potremmo pensare ad un sequel. In quel caso mi piacerebbe riprendere l'amore tra Corso e Michelle. Magari i due potrebbero rincontrarsi.
Luca, una delle scene destinata a rimanere nell'immaginario dello spettatore, è il pestaggio ai danni del tuo personaggio, completamente nudo e appena uscito dalla doccia. Quanto è stata complessa la sua realizzazione da un punto di vista tecnico? Luca Argentero: Le preoccupazioni sono totalmente diverse rispetto ad una normale scena di nudo. Il fatto è che dovevamo rendere tutto dinamico evitando di farci male. Non puoi farti un occhio nero o romperti il naso quando sei sul set con l'esigenza di girare il più velocemente possibile. Io credo che la scena funzioni, indipendentemente da quanti vestiti indosso. Riesce a trasmettere adrenalina, paura e incertezza tra il buio e le ombre del set

Amendola, dopo molti anni dedicati alla televisione, oggi fa il suo rientro sul grande schermo proprio con Marco Risi, con cui ha condiviso il grande successo di Mery per sempre. Com'è questo ritrovarsi? Claudio Amendola: Tornare a lavorare con Marco è stata una gioia infinita, soprattutto dopo un periodo di lunga lontananza dal cinema in cui ho cercato di capire se ci fosse ancora uno spazio per me. Marco mi ha offerto un personaggio che avrebbe fatto la gioia di qualunque attore, dovendo giocare tutto sulla doppiezza, l'ambiguità e il mistero. Inoltre, grazie a questa opportunità, ho conosciuto un interprete veramente forte come Luca Argentero. Un professionista con una gran voglia di fare questo mestiere, cosa che io ho perso da un po'. Ed e stato anche l'unico ad essere riuscito a darmele di santa ragione sul set. Il che mi ha fatto capire cosa vuol dire avere quindici anni di più.

Dopo L'esperienza con Salemme ne L'amico del cuore e Modigliani - I colori dell'anima, Eva Herzigova fa il suo ritorno al cinema in un ruolo, però, completamente diverso. Come si è trovata a vestire i panni di una donna avvolta dal dolore e dal mistero? Eva Herzigova: Questa opportunità è caduta dal cielo anche se ho stentato ad accettare. Poi ho letto la sceneggiatura ed ho compreso la bellezza di un personaggio sconvolto dalla disperazione. Inoltre era un ruolo dove non avrei dovuto mostrare nemmeno una spalla. Anche questo particolare è stato importante per definire un carattere profondo e colmo di rabbia, su cui ho dovuto lavorare senza sapere esattamente come sarebbe venuto fuori.