Recensione Ho cercato il tuo nome (2012)

Il film di Scott Hicks, adattamento di un best-seller di Nicholas Sparks, parte da uno spunto interessante, ma non riesce a uscire fuori dai canoni del tradizionale film sentimentale, scadendo in tutti gli stereotipi del chick flick. La sfida di Zac Efron nel dare vita a un personaggio più maturo e sfaccettato, invece, può dirsi tutto sommato soddisfacente.

Il destino in una foto

Con all'attivo già sette trasposizioni dei suoi romanzi, l'autore di best-seller Nicholas Sparks deve sentirsi ormai di casa a Hollywood. Del resto le storie e le atmosfere delle sue opere - così ricche di passione, buoni sentimenti e fiducia nel destino - costituiscono una materia ideale per confezionare dei languidi chick flick in grado di incantare un pubblico femminile bisognoso di commozione. Da alcuni anni, infatti, i produttori sembrano avere sperimentato una formula ben collaudata, coniugando i soggetti sentimentali tratti dalle opere di Spark con interpreti scelti per attirare il target giovanile, come è accaduto con le coppie formate da Mandy Moore e Shane West ne I passi dell'amore del 2002, Ryan Gosling e Rachel McAdams in Le pagine della nostra vita del 2004 e Channing Tatum e Amanda Seyfried in Dear John del 2010. Non fa eccezione neppure Ho cercato il tuo nome, tratto dall'omonimo romanzo del 2009 (in originale The Lucky One) e portato sullo schermo dal regista di Shine Scott Hicks che, oltre a lanciare l'esordiente Taylor Schilling, tenta di imprimere un'inaspettata svolta drammatica alla carriera dell'ex divo di High School Musical Zac Efron.


La trama sfrutta alcuni temi ricorrenti nelle opere di Nicholas Sparks, come la valenza del destino nell'esistenza dell'uomo e il potere totalizzante dell'amore, e anzi sembra proprio ricalcare lo schema di Le parole che non ti ho detto (primo film tratto da un libro dell'autore), con la variante che in questo caso il racconto si sviluppa secondo il punto di vista del protagonista maschile. Al tempo stesso sono introdotti alcuni elementi nuovi legati all'attualità, come il riferimento al conflitto iracheno e il tentativo (non del tutto riuscito, a dire il vero) di scandagliare la complessa psicologia dei reduci di guerra. Elemento cardine cui ruota tutto l'intreccio è la fotografia di un'affascinante ragazza che il sergente dei Marines Logan Thibault (Zac Efron) trova per caso in mezzo alla sabbia del deserto iracheno, poco prima di scampare all'esplosione di un mortaio da cui si salva miracolosamente. Il soldato considera la foto una sorta di amuleto portafortuna e, tornato indenne negli Stati Uniti, ha un'unica ossessione: rintracciare la misteriosa donna per poterla ringraziare di persona. Approdato dopo un lungo peregrinare in una cittadina immersa nelle paludi della Louisiana, Logan riesce finalmente a trovare il suo "angelo custode": si tratta di Beth (Taylor Schilling), donna dal passato traumatico che, dopo essersi separata dal marito e aver subito il lutto del fratello (anch'egli militare), vive insieme al figlio di otto anni Ben e alla madre Ellie (Blythe Danner). Anche se all'inizio Logan non ha il coraggio di raccontarle la sua incredibile storia, tra i due inizia a instaurarsi un legame intenso che segnerà il destino di entrambi.

Se la fotografia come elemento catalizzatore dell'immaginario in grado di convogliare speranze e desideri costituisce uno spunto di partenza intrigante e insolito, non si può dire però che il successivo sviluppo dell'intreccio si discosti dallo stereotipo della tipica love story strappalacrime, sconfinando persino in dialoghi da soap come: "Tu meriti di essere baciata ogni giorno, ogni ora, ogni minuto". Ho cercato il tuo nome vive, insomma, di pochi ed essenziali elementi, come i colori lussureggianti della Louisiana (catturati da una fotografia satura che sembra omaggiare i fiammeggianti melodrammi degli anni Cinquanta) e soprattutto le sequenze di passione tra i due teneri protagonisti, in grado certamente di mandare in visibilio le palpitanti fan di Efron. Scott Hicks conferma di possedere uno stile di regia patinato e oleografico, adatto di certo a portare sullo schermo languidi romanticismi o esasperati melò. Qui però non riesce a evitare del tutto i pericoli di un racconto eccessivamente melenso, in cui hanno dei ruoli rilevanti anche cani e bambini (da sempre una dannazione per ogni regista), abbandonandosi a un ritmo narrativo decisamente troppo dilatato e privo di scossoni.
Dal punto di vista interpretativo la sfida di Efron di uscire dall'immagine del teen-idol e dare vita a un personaggio più maturo e sfaccettato può dirsi nel complesso riuscita, anche se il giovane attore non possiede ancora abbastanza esperienza per catturare le espressioni più drammatiche e intense del suo personaggio (risultando in certi punti troppo monocorde). Decisamente più anonima la controparte femminile Taylor Schilling, mentre tra i comprimari spicca la naturalezza del piccolo Riley Thomas Stewart e la verve brillante di Blythe Danner.