Bif&st 2014: Paolo Sorrentino incanta il Petruzzelli

Il nostro racconto della giornata barese di Paolo Sorrentino, arrivato al Bif&st in compagnia del produttore Nicola Giuliano per tenere una lezione di cinema, incontrare il pubblico, gli studenti e i giornalisti, e ricevere il Federico Fellini Platinum Award for Cinematic Excellence.

E' stato accolto da un abbraccio ricolmo di affetto e gratitudine Paolo Sorrentino dalle tante persone che hanno affollato lo splendido Teatro Petruzzelli per assistere alla proiezione del film vincitore dell'Oscar di prima mattina, applaudire, ascoltare e interagire con quello che al momento è il regista più amato dagli italiani. Ha parlato del suo inizio di carriera, dei suoi attori, di tutti i suoi film e delle difficoltà del mestiere di regista, intrapreso quasi per sfida per assecondare e dar sfogo ad un sentimento di rivalsa personale "facendo attenzione a non farlo durare troppo". Il Federico Fellini Platinum Award for Cinematic Excellence va a Paolo Sorrentino "per il suo estro nel realizzare un cinema originale, intimo e personale, ma capace di coinvolgere il pubblico italiano e di tutto il mondo attraverso la sua potenza narrativa e la sua (grande) bellezza".

Il mestiere del cinema
Il regista de Le conseguenze dell'amore, L'amico di famiglia, Il Divo, This must be the place e La grande bellezza ha raccontato di aver diretto il suo film L'uomo in più come se non ci dovesse mai essere un secondo film e di aver imparato con gli anni a concentrarsi sulle sue storie, sui suoi punti di arrivo e sul suo lavoro senza cedere alle mille distrazioni di un mondo in cui si è buttato a capofitto grazie ad una buona dose di incoscienza. "Considero la regia una sorta di rifugio del dilettante concentrato" - ha dichiarato Sorrentino - "sono tanti gli elementi di distrazione che possono farti perdere di vista l'obiettivo, anche quando ti sei preparato in maniera meticolosa. Conosco molti colleghi che finiscono per inibirsi e trovarsi a disagio di fronte alla paura di fare qualcosa di già visto e perdono per strada una cosa preziosissima come la spontaneità dell'approccio". Tutto è iniziato con un'esperienza nella produzione di un film di cui riuscì a fare forse la cosa più grave possibile e cioè perdere la pellicola contenente tutto il girato: "I ruoli di assistente alla regia erano già stati assegnati e pur di entrare nel meccanismo di produzione del film accettai un ruolo che non mi si confaceva minimamente" - ha confessato ridendo il regista de La grande bellezza - "ero totalmente privo dell'organizzazione mentale necessaria per il compito che mi era stato assegnato e l'esperienza si rivelò un completo fallimento nonostante riuscii poi a ritrovare il girato che avevo abbandonato nella mia macchina lasciata incustodita in balia della notte".
La forza delle idee
Narratore e autore di un cinema coraggioso, disturbante fatto di immagini scomode ma allo stesso tempo accattivanti capaci di lasciare allo spettatore una nuova consapevolezza, Sorrentino ha parlato della differenza che c'è tra lo scrivere e il dirigere un film, una distanza che sta tutta nella forza delle idee: "Scrivendo puoi raccontare quello che vuoi, mondi fantastici e storie strane, ma se non hai un'idea forte da cui partire non si stabilirà mai un contatto con il lettore" - ha dichiarato il regista premio Oscar - "nel cinema assume una straordinaria importanza la libertà delle idee, perché è l'unica cosa che può sopperire alla mancanza di soldi e di mezzi che trovo un problema sì importante ma non determinante ai fini della riuscita o meno di un film". Chiamato a raccontare le fasi del processo creativo che c'è dietro ad un film, Sorrentino risponde con sicurezza tornando sul concetto dell'idea: "Riesco a capire subito quando un'idea può trasformarsi in un film oppure rimanere fine a se stessa perché frutto di una buona trovata. Quando il giorno dopo non ci pensi più vuol dire che non era l'idea giusta ma quando questa idea fa crescere in te una specie di ossessione oppure diventa facilissima e scorrevole da raccontare allora vuol dire che hai in mano qualcosa di importante". Le idee però non sono niente se dall'altra parte c'è un pubblico che non partecipa e non riesce ad entrare nelle storie, una questione che Sorrentino ha molto a cuore: "Una delle cose a cui do maggiore importanza nel fare un film è il parere del pubblico, per questo tento sempre di concepire film che abbiano la capacità di attirare l'attenzione dello spettatore. Trovo che sia snob da parte di certi registi fregarsene di questo aspetto, l'idea di dover fare un film senza dover rendere conto a nessuno mi infastidirebbe".
Da Andreotti a Jep Gambardella
In poco più di un decennio, lo scrittore e regista Paolo Sorrentino si è dimostrato uno dei narratori più originali, autore di storie uniche nella loro intensità e visionarietà che hanno tutte un tratto distintivo in comune, quello di essere popolate da figure che sono figlie di un immaginario contemporaneo, abitato da mostri e bellezze inquietanti ed affascinanti allo stesso tempo. Personaggi indimenticabili che potrebbero tranquillamente essere trasposti in romanzi di grande successo come Jep Gambardella e l'Andreotti de Il Divo. "Mi piace occuparmi di personaggi asociali, che fanno fatica ad inserirsi in un contesto collettivo, non sono dei ribelli ma persone che vivono forti conflitti interiori scatenati dalla paura di un confronto con gli altri, con il mondo che c'è fuori" - ha spiegato Sorrentino - "prendete Il divo, Andreotti era un grande asociale nonostante agli occhi di tutti potesse apparire come la persona più sociale del mondo, una sorta di antenato di Berlusconi che non rinuncia mai a nessun appuntamento mondano. E poi Jep, forse il personaggio più asociale di tutti quelli che ho scritto, uno che sceglie di frequentare tutti gli eventi mondani possibili e avere una scusa per rimandare il più possibile l'appuntamento con sé stesso. Il suo anelare questo tipo di serate con l'obiettivo di parlare con tutti e poi mettersi da una parte ad osservare un orrore che, per quanto profondo, rimarrà sempre inferiore all'orrore che egli ha dentro". Quando il regista incontrò per la prima volta Andreotti, quest'ultimo tentò di dissuaderlo dal fare un film su di lui, ma a qualche anno di distanza Sorrentino ha realizzato che non si trattava di un tentativo di persuasione mirato a spostare i riflettori altrove ed evitare ripercussioni politiche, bensì di un consiglio spassionato e sincero: "'Non faccia un film su di me perché non ne vale la pena' mi disse, ma col tempo ho capito di aver frainteso le sue parole perché Andreotti era un uomo che ha una grande consapevolezza di sé e sapeva di condurre la classica vita dell'uomo di potere, poco interessante e morigerata, banale tutto sommato. Forse per questo non capiva cosa potessi trovare io di tanto affascinante in lui, ma io avevo ben chiaro il mio obiettivo, lui per me era un uomo misterioso, capace di andare oltre il cinismo, che non si scomponeva di fronte a nulla, uno che equiparava il sesso con una passeggiata per andare a comprare il pane o per il quale la notizia di un omicidio non era dissimile da un invito a pranzo".
La grande bellezza del parlare di cinema
Dopo il clamore della serata degli Oscar che ha riportato la celeberrima statuetta nello Stivale insieme a nuova linfa e tanta voglia di parlare di cinema, La grande bellezza è arrivato in prima serata in TV dopo aver fatto registrare un incasso notevole al botteghino. Ne hanno parlato in tanti con speciali, interviste, commenti e approfondimenti ed in molti lo hanno anche criticato in maniera negativa, ma oggi a Bari è stata forse la prima volta in cui Sorrentino ha parlato del suo film in maniera esaustiva, sincera e ironica: "C'è stato un momento in cui mi sono accorto che del film avevano parlato in tanti e che era forse venuto il momento anche per me di farlo" - ha detto sorridendo il regista napoletano - "ho capito però anche di essere arrivato tardi perché tutti avevano ormai un'idea precisa sui personaggi e sulla storia e nessuno aveva più voglia di ascoltare le mie ragioni e la mia opinione". La grande bellezza nasce come opera in cui poter raccontare 'tutto', tutto quello che l'animo umano può provare e sentire, e la sfida più grande per il suo autore è stata quella di stabilire un tetto senza arrivarci mai, cercando di andare sempre oltre. "Volevo raccontare la gioia e la disperazione in tutte le forme possibili, gli orrori umani e i conflitti che nascono tra bellezza e bruttezza, due concetti che spesso si avvicinano e si trasformano l'uno nell'altro" - ha confessato con grande serenità Sorrentino - "e quando si tratta di concetti così ampi rischi di sfociare nel niente, nella superficialità più profonda, ed è proprio questa forse la critica che ho compreso e accettato più onestamente da chi ha visto il film. Lo avevo messo in conto ma era un rischio che mi sono sentito di correre, a me alla fine dei conti mi andava bene che accadesse visto che Jep Gambardella doveva essere proprio questo, un uomo che galleggia e sguazza nella superficialità più sfrenata che si aggrappa alla realtà solo quando si immerge nei suoi ricordi di bambino".
Cinema: istruzioni per l'uso
Si definisce un nostalgico Sorrentino, un professionista severo con sé stesso, premuroso nei confronti del pubblico, innamorato dell'amore e di un mestiere a cui molti giovani in Italia tentano di avvicinarsi senza troppo successo. Tra la trama e le idee lui sceglie le idee ed è forse perché ne ha ancora tante in mente che non si sente ancora pronto a scavalcare la cattedra e mettersi dalla parte di chi insegna e scopre talenti, "ho ancora troppo da imparare e quando tento di farlo provo come un senso di fastidio che mi convince a smettere subito". Secondo lui l'unica speranza per chi si avvicina a questo mestiere oggi è la concezione del processo creativo visto come un treno che scorre su due binari paralleli e lavora contestualmente sulle idee e sul linguaggio: "Oggi in Italia ci si concentra troppo su di esse pensando che lo stile possa venire a rimorchio, ma non è così per me, a me non basta, solo il cinema americano può permettersi certe libertà ma noi dobbiamo ricordarci sempre il lavoro che hanno fatto quelli che sono venuti prima di noi e prendere esempio da Scola, Antonioni, Fellini e Rossellini. Riuscire a coniugare il cinema d'intrattenimento con il cinema d'autore è la parte più difficile dell'essere registi oggi ma è l'unica cosa da fare se si vuole avere qualche chance di farcela e non si è raccomandati". Già, perché dopo l'Oscar se ne sono sentite di tutti i colori sul suo conto, sul conto del produttore Nicola Giuliano e sulle fantomatiche motivazioni per cui La grande bellezza avrebbe conquistato l'Oscar a tavolino: "Sembra che in Italia non possa mai accadere niente di pulito e limpido, che nessuno occupi un posto solo perché lo ha meritato, la raccomandazione e la dietrologia sono sempre all'agguato dietro l'angolo. Mi sono molto divertito a leggere e ad ascoltare le acrobazie e le congetture fantasiose che in molti si sono divertiti a costruire attorno all'Oscar, ma non ne ho trovata neanche una che fosse cinematograficamente interessante (ride)". Pronto a rimettersi subito a lavoro su una storia stavolta più piccola e semplice di quella che ci ha appena regalato, Sorrentino ha concluso la sua lunga chiacchierata con gli spettatori del Bif&st con una battuta: "La cosa più bella di questo lavoro è il lavoro, e visto che sono un nostalgico tendente al pessimista è meglio che mi rimetta subito in moto per il mio nuovo film, se guardo avanti vedo la vecchiaia e la morte e quindi finché si è giovani è meglio darsi da fare".