Recensione Quo Vadis, Baby? (2005)

Salvatores continua ad esplorare il linguaggio del cinema di genere con un film che funziona sotto il profilo della regia, ma che lascia molti dubbi per ciò che concerne una sceneggiatura debole nella caratterizzazione dei personaggi e assolutamente prevedibile nello sviluppo delle situazioni.

Quanti sguardi fanno una vita?

Dopo alcuni mesi di relativo letargo, intervallati solo dal grande successo di Manuale d'amore e de La febbre, il cinema italiano sta presentando un numero rilevante di pellicole di piccola, media e grande importanza produttiva e distributiva. Rientra sicuramente in quest'ultima categoria Quo Vadis, Baby?, il nuovo film di Gabriele Salvatores, proiettato in duecento schermi italiani da questo venerdì.
Tratto dall'omonimo romanzo di Grazia Verasani, Quo Vadis, Baby? è il frutto della partnership produttiva tra Colorado film (editrice anche del romanzo), Medusa e Sky; una produzione con le spalle larghe, grazie alla quale il regista italiano è riuscito ad assicurarsi il buon budget di tre milioni di euro, fondamentale a garantire l'ottima confezione del film e il supporto di un eccellente commento sonoro composto dagli strumentisti di Philip Glass e registrato negli Stati Uniti.

Giorgia Cantini (interpretata dalla cantante Angela Baraldi, non nuova ad escursioni cinematografiche) è un'investigatrice privata grintosa e disillusa, con un passato familiare che lascia il segno ed un presente piuttosto anonimo e solitario, fatto di alcool, spinelli e sacchi da pugilato da colpire. Improvvisamente riceve delle videocassette girate da sua sorella, morta suicida quasi venti anni prima, in circostanze poco chiare. Dalle sue indagini emergeranno molti elementi oscuri, segreti ed inganni, ma soprattutto, attraverso questa ricerca nel passato, Giorgia avrà modo di riflettere su sé stessa, sul suo rapporto con il padre e con gli uomini in generale.

Salvatores continua ad esplorare il linguaggio del cinema di genere con un'oscura crime-story girata in digitale, ben fotografata da Italo Petriccione e ricca di rimandi al cinema sia come forma di rappresentazione e di surrogato-fuga dalla realtà, sia ai temi più caratterizzanti del genere, come la riflessione sullo sguardo, la ricerca di un'identità e la moltiplicazione prospettica dei punti di vista, con l'esaltazione di quello del pubblico. Ne esce fuori un film che funziona sotto il profilo della regia, ma che lascia molti dubbi per ciò che concerne una sceneggiatura, debole nella caratterizzazione dei personaggi e assolutamente prevedibile nello sviluppo delle situazioni; ennesima conferma, questa, di un tipico limite di molti titoli di Salvatores.

Complessivamente molto inferiore al precedente Io non ho paura (a parere di chi scrive, il punto più alto nella filmografia del regista napoletano), Quo Vadis, Baby? alterna momenti di ottimo cinema, frutto della comprovata professionalità ed abilità tecnica del regista, ad altri poco riusciti, lasciando la sensazione di essere eccessivamente centrato sulla figura della protagonista: una convincente Angela Baraldi. Tutto i personaggi che ruotano intorno a lei, da suo padre al suo giovane aiutante, fino al poliziotto innamorato di lei, appaiono poco più che sbiadite comparse, incapaci di assumersi la condizione del mentore. Ancora più deficitario è il personaggio del docente di storia del cinema (interprato un po' malamente da uno spaesato Gigio Alberti, fuori dalle sue corde naturali), un ruolo chiave del plot che andava sviluppato in modo molto più approfondito e che invece appare francamente macchiettistico con il suo passato da cocainomane sballato, i suoi poster da cinefilo e la sua improvvisa rivalutazione della normalità.