Recensione Le colline hanno gli occhi (2006)

Il regista ha preso probabilmente troppo sul serio sé stesso ed il suo film, si è fatto cogliere dall'ansia di dimostrare, ha varcato il confine che separa una positiva ostentazione dalla pedanteria

Passo falso di Aja

C'è poco da fare. Questo Le colline hanno gli occhi firmato da Alexandre Aja è davvero un film deludente. Delusione che non nasce (solo?) dal confronto con l'originale di Wes Craven, o dalle aspettative ingenerate dal regista francese dopo il coraggioso e assai sottovalutato Alta tensione, ma dalla pressoché assoluta inconsistenza del film in sé. In anni in cui il remake è diventato regola più che eccezione, specie per quanto riguarda il cinema horror, abbiamo assistito a diversi tipi di approccio da parte dei registi: dalla correttezza filologica ai tentativi più o meno riusciti di attualizzazione e personalizzazione fino alle riletture in chiave più ludica e dichiaratamente superficiale. Nel rifare Le colline hanno gli occhi, Aja sembra costantemente indeciso su quali e quanti di questi approcci privilegiare, tentando da un lato l'omaggio in forma di ricostruzione, dall'altro deviando e personalizzando: ma il problema del film non sta solo in quest'indecisione - che pur avrebbe potuto generare qualcosa di buono nel suo rimescolare le carte - ma nel fatto che a tutti i bivi che gli si sono parati davanti in fase di sceneggiatura, il francese pare aver sbagliato strada.

Rispettando dell'originale uno scheletro narrativo e alcune sequenze riprese a piè pari, Aja ne ha però banalizzato la radicalità, sia svendendo troppo presto l'accumularsi della tensione che caratterizzava positivamente il film di Craven, sia riducendo la pur brutale violenza rappresentata ad un'estetizzazione fine a se stessa: insomma, si è lontani assai da quanto fatto vedere da Aja nel suo film precedente, dove la suspense era sempre altissima e le scene di gore comunque funzionali ad un quadro generale costruito con intelligenza e con quel pizzico di humor che non guastava affatto. Prendendosi poi delle legittimissime libertà rispetto al materiale di partenza, il regista ha sbagliato quasi tutto, inserendo scene e situazioni inutili e/o ai limiti del grottesco e del ridicolo, con la chiara intenzione di urlare allo spettatore che (anche) il suo è un film politico. Ecco, Aja ha preso probabilmente troppo sul serio sé stesso ed il suo film, si è fatto cogliere dall'ansia di dimostrare (la sua bravura, il suo messaggio), ha varcato il confine che separa una positiva ostentazione dalla pedanteria. Col risultato di aver dato vita ad un film spesso e volentieri noioso, e sostanzialmente inutile. Pare evidente infatti che quanto Aja voleva da dire (con la veemenza di cui sopra) con questo remake è assai poco, e quel poco è pure banale, se non addirittura sbagliato. Come interpretare altrimenti una lettura della storia e la sua rielaborazione in chiave contemporanea che invece di risultare accusa ad un sistema che partorisce i mostri che torneranno a perseguitarlo sembra bandiera dei peggiori istinti reazionari e forcaioli di tutto un paese?

Nella sua mancanza di ambizioni, nella sua basilare semplicità, era ben più riuscito e divertente un altro remake, attaccato senza pietà dagli integralisti del genere: quello di Non aprite quella porta firmato da Nispel. Che magari non aveva nulla di nuovo da dire, ma forse non aveva nemmeno l'ambizione di farlo, e perlomeno non faceva sbadigliare come invece a tratti capita col film di Aja. Resta da sperare si sia trattato di un singolo passo falso e non dell'opera di un regista sopravvalutato per via delle sue pur riuscite fatiche precedenti.