La Chimera: Alice Rohrwacher ci racconta il suo film “funambolo”

La nostra intervista ad Alice Rohrwacher, regista de La chimera, finalmente nelle nostre sale dopo la presentazione in concorso a Cannes e il passaggio alla Festa di Roma.

La Chimera: Alice Rohrwacher ci racconta il suo film “funambolo”

Finalmente in sala, dal 23 novembre, La Chimera è uno dei film italiani che ci ha sorpresi nel corso di questo 2023. Il primo incontro con il nuovo lavoro di Alice Rohrwacher è stato in quel di Cannes, dove è passato senza premi ma con grande accoglienza critica; l'abbiamo poi ritrovato alla Festa del Cinema di Roma in quella sezione che raccoglieva proprio il meglio del 2023 e in cui non poteva non figurare. Ora può essere visto da tutto il pubblico e completare questo cammino, arrivando alla destinazione naturale di ogni film: la sala.

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La chimera: una scena

Una sala che lo sta accogliendo per ora timidamente, schiacciata dal successo incredibile di Paola Cortellesi e l'arrivo del Napoleon di Ridley Scott, ma in cui si sta ritagliando piccoli e meritati spazi. La sicurezza è una: è un film di cui continueremo a parlare, per quelle qualità che abbiamo evidenziato nella nostra recensione de La Chimera, che va a continuare e in qualche modo completare il percorso artistico della sua regista, una delle più interessanti del nostro panorama cinematografico e con cui abbiamo avuto la fortuna di dialogare qualche giorno fa. Vediamo cosa ci ha raccontato.

Nel mondo dei tombaroli

Ne La chimera, Alice Rohrwacher ci porta nel mondo dei tombaroli, di quegli individui che saccheggiano le tombe alla ricerca di oggetti da portar via. Un mondo e un periodo che racconta e in qualche modo omaggia, ma senza intento nostalgico: "Si crede che ci si riferisca al passato per nostalgia, ma forse no, forse è perché in quel passato ci sono delle chiavi di lettura del presente." Alice Rohrwacher quel mondo l'ha conosciuto sin da piccola: "Vivevo in una zona piena di tombaroli, perché era pieno di lasciti di popolazioni etrusche. Per di più sono cresciuta in un'epoca che gli archeologi definiscono 'la grande razzia degli anni 80'."

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La chimera: Alba Rohrwacher in un primo piano

Nel parlarcene, Alice Rohrwacher ricorda la "febbre inarrestabile" di uomini e ragazzi che di notte andava a scavare per portare alla luce reperti, svuotare tombe e impadronirsi di corredi funebri, di oggetti che erano stati invisibili e protetti per secoli. Ma perché? "Quando viene la febbre, bisogna chiedersi perché il corpo si è indebolito. Questa è una storia che viene da lontano, perché per quasi 2000 anni non si è toccato quasi niente, si consideravano intoccabili, invece all'improvviso ha trionfato il materialismo e gli oggetti sono diventati solo merce. Tutto è vendibile, niente è più sacro."

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La chimera: una foto del film

Alice Rohrwacher si è confrontata con quel popolo, ha parlato con i tombaroli per indagare e capire quel fenomeno. "È un fenomeno molto ampio, ma nella mia regione è molto legato alle tombe, da qui il nome, e ho sempre riflettuto sul fatto che fosse legato a oggetti creati per non essere visti. Un dettaglio che mi colpì sin da piccola entrando nel Museo Egizio di Torino, dove c'è scritto che tutti quegli oggetti erano nascoste." E quindi perché poteva vederle? "Tutta la bellezza che hanno creato, almeno quella che è arrivata fino a noi, per il 90% non appartiene al visibile. Sono oggetti che sono stati costruiti con cura e dedizione per poi sono stati nascosti. Un gesto inimmaginabile nell'epoca della visibilità."

Un film funambolo, tra reale e onirico

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La chimera: una foto dal set

Si muove tra il reale e l'onirico la filmografia di Alice Rohrwacher e non fa eccezione La Chimera. "Sono un po' film da funamboli" ci dice la regista, "che rischiano sempre un po' di cadere. Però è proprio nel momento in cui corrono questo rischio che il pubblico trattiene il respiro e sente un amore per il funambolo ed è contento di vedere che riesce ad arrivare alla fine del filo." Un film che si muove tra i generi e i toni, che sorprende. "Io lotto contro questa idea di compartimenti stagni, che ha ormai trionfato nella narrazione, questo dire commedia, dramma, famiglia, mettere tutto nelle proprie caselle e immaginare che lo spettatore si affacci a queste caselle come se entrasse in un binario."

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La chimera: una scena del film

Percorsi predefiniti che la Rohrwacher non accetta. "La vita non è così. Si ride nel pianto, si piange nel ridere, si può provare compassione senza immedesimazione, paura senza orrore e viceversa. Quello che cerco di fare è creare dei film che corrispondano a come per me è la vita. So che è difficile capire il tono, perché è quello che ci deve ammaliare, ma questa volta ho cercato di essere ancora più chiara: nella prima scena abbiamo un uomo affascinante, un po' strano, un po' misterioso, che si mette a parlare con delle ragazze e sono tutte innamorate di lui."

Ma ecco che arriva quel qualcosa che spiazza: "lui fa qualcosa, fa un gesto di rabbia incontrollabile e rimane solo. Allora il pubblico potrebbe pensare che è una storia triste e invece proprio in quel momento abbiamo l'overture dell'Orfeo di Monteverdi che ci annuncia che è proprio lui il nostro eroe."

Questioni di personaggi, questioni di casting

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La chimera: Isabella Rossellini in una scena

"Tutti i personaggi del film sono incastrati in una chimera", ci spiega Alice Rohrwacher, "una chimera che desiderano raggiungere ma in qualche modo li rende prigionieri. Per i tombaroli è il guadagno facile, sono i soldi. Per Arthur è questo amore che lo tiene in qualche modo incastrato, imprigionato. Nel film ci sembra che lui piano piano ce la faccia ad affacciarsi alla vita, incontra Italia, sembra che stia nascendo qualcosa, ma questo richiamo è troppo forte." Il suo è un viaggio di rinascita che ha un non so che di incertezza: "Non so bene cosa succede ad Arthur. È un film con una valenza mitologica, quasi epica."

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La chimera: un momento del film

Ed è perfetto Josh O'Connor a portare in scena questo "fantasma" come lo definisce la Rohrwacher, altro interprete straniero che si è messo al suo servizio. "Potrei insegnare italiano perché in tutti i miei film ci siamo ritrovati a insegnarlo a qualcuno" ci dice infatti scherzando e ricordando come sia stato il destino in qualche modo a portarle l'attore: le scrisse una lettera dopo aver visto Lazzaro felice, impressionato e con la richiesta di incontrarla. Un incontro che ha fatto nascere il desiderio di lavorare insieme. Ma aveva sempre voluto lavorare anche con Isabella Rossellini con cui "ho sempre desiderato condividere un pezzettino della mia vita".

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Alice Rohrwacher, regista de La chimera, in una foto di Brigitte Lacombe

È un cast che ha voluto a tutti i costi Alice Rohrwacher. Lo si capisce dal modo in cui accenna a ognuno di loro, da Vincenzo Nemolato, "un grandissimo attore napoletano con delle capacità incredibili", a Ramona Fiorini, Carol Duarte e tutti gli altri. Compresa la sorella Alba, che ha un piccolo ruolo nel film e che "è sempre una gioia incredibile ospitare nei miei film." Accanto a loro "tanti dei miei vicini di casa, delle persone che ho incontrato strada facendo", perché "il film è anche la maniera di fare incontrare persone che nella vita non avrebbero mai la possibilità di incontrarsi."

Lo stile de La Chimera

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La chimera: un frame del film

Non abbiamo potuto evitare di approfondire un aspetto de La Chimera che ci aveva colpiti, la scelta di usare diversi tipi di pellicola per assecondare momenti e atmosfere diverse del film. "Nonostante parli di profanatori di tombe, il film è un gesto d'amore per l'archeologia e insieme alla direttrice della fotografia Hélène Louvart abbiamo pensato che dovesse entrare anche un po' di archeologia materica del cinema." Un gesto d'amore, un omaggio, che si rivolge quindi alla fisicità del cinema: "Quando pensiamo alla storia del film, pensiamo sempre alla storia degli autori, dei registi, ma la storia del film è anche la storia dei supporti che hanno permesso al film di esistere".

La pellicola, ormai spazzata via in molti casi dal predominio del digitale. "Quindi del 16mm, il super 16, il 35mm. In questo film abbiamo deciso di portarci dentro i supporti che sentivamo giusti per ogni scena". Una scelta però non costruita a tavolino, ma istintiva. "Non è stata una divisione razionale, non c'è un prima e un dopo. Abbiamo affrontato questi supporti un po' come un pittore che utilizzava certi colori per certi tipi di disegni che deve fare, quindi in certi momenti usa magari la matita, in altri il pennello." Un omaggio libero e senza vincoli. "Ci siamo ispirati alla storia del cinema, dal muto delle origini alla stop motion, al cinema invece più epico e moderno."