Il teorema di Margherita, la recensione: la matematica come chiave per capire la vita

La recensione de Il teorema di Margherita: il film di Anna Novion è un coming of age strutturalmente classico, ma brilla soprattutto grazie alla prova di Ella Rumpf.

Il teorema di Margherita, la recensione: la matematica come chiave per capire la vita

C'è una lunga tradizione di pellicole che hanno trattato la matematica, rivedendo di riflesso coloro che hanno dedicato ad essa la vita. Un po' perché c'è un'attrazione naturale tra i registi e le menti più geniali di un ramo del genere, dato che questi ultimi sono noti per riuscire a fornire una prospettiva sul mondo e sulla realtà completamente diversa. Una qualità che non può non affascinare coloro che di una particolare lettura sullo stato delle cose hanno fatto anche la propria missione di vita, senza contare che c'è una dimensione linguistica che lega il cinema alla matematica, portando la Settima Arte ad una dimensione teorica molto amata da cineasti importanti.

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Ella Rumpf è Margherita, qui in aula, il suo ecosistema preferito.

La matematica è stata narrativamente adoperata in molti film, tradotta in diverse espressioni, spesso sovrapponibili, facendo della matematica un codice che il personaggio cerca di decifrare per arrivare a capire se stesso. Un po' come nel caso della pellicola di cui vi stiamo per parlare, ovvero Il teorema di Margherita, il nuovo lavoro della regista Anna Novion, presentato nella sezione Special Screenings della 76esima edizione del Festival del Cinema di Cannes, al cinema dal 28 marzo 2024 con Wanted Cinema. Un titolo piuttosto canonico che lega il coming of age a una serie di immaginari provenienti dal genere, puntando sull'umanizzazione. C'è una gran parte della pellicola che si occupa del rapporto con la madre della protagonista, la giovane e brillante mente matematica di turno interpretata dalla sempre bravissima Ella Rumpf (vincitrice del Premio César 2024 per la miglior rivelazione), tra i fantasmi di un papà assente e le sfumature romance, con un altro matematico interpretato da Julien Frison. Non guasta nella ricetta l'idea di ambientare la storia all'interno di un paesaggio suburbano in cui si svolge una sottotrama che avrebbe potuto essere un film molto più mainstream, come se Il teorema di Margherita per un attimo apra la finestra verso un'altra strada meno esistenziale, ma comunque valida. Salvo poi tornare a concentrarsi sul focus iniziale.

Una matematica in ciabatte

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L'allieva e il maestro ne Il teorema di Margherita.

Marguerite (Ella Rumpf) è una dottoranda in matematica della prestigiosissima École normale supérieure (ENS) di Parigi ed così legata a questo nido che si è creata, dove è senza ombra di dubbio la più brillante e considerata tra gli studenti, da girare addirittura in pantofole. Una particolarità che non manca di far notare la giornalista che la intervista proprio all'inizio della pellicola di Anna Novion. Come se l'istituto fosse una vera e propria nuova casa per una ragazza che di primo acchito dà l'idea di essersi quasi rifugiata all'interno dell'università perché desiderosa di trovare un posto nel mondo che, evidentemente, prima non aveva mai scoperto.

Insomma, la ragazza si è costruita finalmente un posto sicuro dove poter esprimere se stessa, anche se nel farlo ha chiuso le porte ad una parte del mondo, quella che non può essere letta suon di numeri, formule ed equazioni. Non è detto però che questa gabbia dorata durerà per sempre, dopotutto non si può vivere sotto una campana di vetro per sempre, anche se l'ala protettiva del professor(one) Laurent Werner (il veterano Jean-Pierre Darroussin), il suo relatore di una tesi, lascia ben sperare. Anche perché dovrebbe aiutarla a trovare un giorno, chissà, addirittura la formula per dimostrare la teoria di Goldbach. Una delle creature mitologiche a cui tutti i matematici del mondo aspirano. Poi però, come accade spesso nella vita, succede qualcosa che nemmeno una mente logica come quella di Margherita poteva prevedere.

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Margherita e Lucas, amici nemici.

La situazione viene alterata da Lucas (Frison), un ragazzo proveniente da Oxford cercato proprio da Werner per aiutarlo ad arrivare alla mitologica creatura di cui sopra, forse perché non riteneva la ragazza abbastanza brava o, almeno, non così brava. La nuova figura destabilizza la ragazza soprattutto perché smentisce la sua tesi davanti alle menti più illustri dell'ENS. Evento traumatico che porta il professore (colui che doveva proteggerla) a metterla da parte. Margherita reagisce molto male e decise di abbandonare tutto e lasciare per sempre la matematica, senza però fare i conti con il fatto che una volta che si è abituati a vedere il mondo attraverso una lente è difficile tornare indietro. Magari deve solo imparare ad accettare che nella vita non tutto è calcolabile e che un nuovo arrivo potrebbe addirittura sconvolgere i piani per il meglio.

Teorema valido, ma già dimostrato

Il teorema di Margherita ruota intorno ad un assunto piuttosto elementare (nonostante il film sia pieno di complicatissimi calcoli matematici), ovvero quello di presentarci una ragazza che per fuggire dal confronto con se stessa ha preferito, per tutta la vita, dedicarsi alla decifrazione di teoremi di altre persone. Un modo per proteggersi dato il rapporto difficile con una madre piuttosto debole, interpretata da Clotilde Courau (che è sempre una garanzia) e da un padre assente. Non è un caso che il tradimento del professore in cui la ragazza aveva proiettato la figura paterna sarà ciò che la porterà a fuggire, precisamente in una casa di Parigi, insieme ad una ballerina.

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Margherita che straccia tutti a Mahjong, la storia che tutti volevamo vedere.

Qui si apre tutto il filone suburbano, in cui la ragazza cerca il modo di riconcentrarsi su se stessa quasi in modo violento, tranciano di netto la parte di lei che è stata sempre legata alla matematica e adoperandola solo per procurarsi da vivere, sconfiggendo avventori orientali nel gioco del Mahjong. Ciò poteva aprire un filone quasi "alla Rain Man", ma la regista torna a mettere davanti alla sua Margherita le lavagne della vita, quelle attraverso le quali la ragazza cerca la soluzione per arrivare a dimostrare il teorema di se stessa. Un teorema che magari prevede sia la sua parte legata alla matematica e sia l'altra, più impaurita, che si era fino a quel momento fatta scudo con essa.

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Lucas e Margherita, più amici che nemici.

Una strada piuttosto canonica che acquisisce credibilità grazie alle prove dei protagonisti, in primis quella fornita da Ella Rumpf, e particolarità grazie ad una fotografia che guarda sempre alla contrapposizione tra colori caldi e freddi, giocando soprattutto con la carta da parati e gli interni delle case, dove la ragazza compie i passi fondamentali del suo percorso di crescita. Il teorema di Margherita è una pellicola che riesce nella sua particolare formula del coming of age contando su scrittura e interpretazione e, grazie al suo impianto da cinema nordeuropeo, anche a regalarsi quella particolarità che, nonostante la prevedibilità del messaggio e degli esiti, porta lo spettatore a conservarla nel suo sguardo.

Conclusioni

Nella recensione de La teoria di Margherita vi abbiamo parlato del nuovo lavoro di Anna Novion, presentato a Cannes 76 nella sezione Special Screenings, con protagonista la sempre bravissima Ella Rumpf. Un coming of age piuttosto semplice che utilizza l'immaginario legato al cinema che si è occupato di matematica quella variazione sul tema per catturare lo spettatore, supportato in questo anche dalle convincenti prove attoriali e da una fotografia riconoscibile. Nonostante ciò il film alla fine non riesce ad emanciparsi dal canovaccio quel tanto che gli poteva servire per distinguersi realmente, tornando alla fine a concentrarsi sulla realizzazione di un esito piuttosto prevedibile.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • La prova degli attori, soprattutto Ella Rumpf.
  • L'efficacia dell'impianto scenografico e fotografia.
  • Una scrittura elementare, ma soddisfacente.

Cosa non va

  • La prevedibilità della trama del film e del sottotesto.
  • Nonostante l'impianto visivo sia efficace, non brilla comunque di originalità.