Recensione Questione di cuore (2009)

Un'opera matura dal ritmo discontinuo e dai risvolti sorprendenti, un film che si mantiene su un equilibrio rarissimo e magico tra dramma e commedia impegnata, tenendosi alla larga dalla frivolezza becera cui il cinema nostrano ci ha purtroppo abituati, sia dalle patetiche velleità narrative in cui spesso annegano le 'nostre' fiction tv.

Al cuor non si comanda

Roma, si odono degli strani spari sul lungotevere, colpi d'arma da fuoco che risuonano nell'aria già infuocata di una tranquilla notte d'estate, una notte che Alberto e Angelo difficilmente dimenticheranno. Alberto è infelicemente fidanzato, un intellettuale logorroico originario del nord, un sognatore folle che vive alla giornata in una lussuosa casa in centro città e che nei ritagli di tempo fa lo sceneggiatore di successo; Angelo è il suo esatto contrario, un carrozziere di borgata disilluso e dallo spiccato senso pratico con moglie, due figli e il terzo in arrivo. Vite diverse, origini diverse, niente che li accomuna a parte il sonno agitato, la paura del male e un'insofferenza di fondo. Ma per un'assurda coincidenza quella notte le loro strade si incrociano e i due si ritrovano vicini di letto nel reparto rianimazione di un ospedale dopo un infarto. Quello che condivideranno sarà il momento più difficile della loro vita, quello in cui oltre al cuore si ferma anche la mente, in attesa che tutto torni ad una normalità prima snobbata ed ora maledettamente irraggiungibile. All'uscita da quella stanza nulla sarà più come prima, Angelo e Alberto capiranno per la prima volta nella loro vita di aver trovato un amico vero, qualcuno con cui aprirsi fino in fondo, un confidente in grado di non giudicare e di capire senza tanti giri di parole, con uno sguardo o con un silenzio che rende vana ogni parola.

Mai prima d'ora locandina fu più deviante. Confezionato sullo stile dei campioni d'incasso di Moccia & Co., il poster di Questione di Cuore farebbe pensare alla solita commedia all'italiana degli equivoci con protagonista un'inedita quanto azzardata coppia di attori a fare da mattatori. Nulla di più lontano dall'essenza di questo intenso spaccato di vita raccontato con straordinaria sensibilità e ironia da Francesca Archibugi, che ha diretto e adattato per il grande schermo la storia nata dalla penna del suo amico soggettista Umberto Contarello. L'amicizia, la malattia, la paura di morire, la reazione e l'evoluzione di fronte al dramma di due uomini fin troppo 'chiusi' e così tanto diversi diventano, grazie alla sensibilità della regista e all'innata delicatezza di due grandi attori come Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart, i pezzi di un puzzle che raffigura l'amore in tutte le sue sfaccettature. Due attori tra i migliori in circolazione, due personaggi Angelo e Alberto con cui lo spettatore entra subito in simpatia; schietti, genuini, bizzarri e divertenti, ma anche pervasi da una grande sofferenza per non essere riusciti ad essere gli uomini che avrebbero voluto essere e per aver realizzato con freddezza e lucidità che forse è troppo tardi per riparare.

Una storia, quella narrata in Questione di Cuore, che prende la palla al balzo per raccontare le contraddizioni dell'Italia di oggi, la crisi inesorabile dei rapporti umani, della famiglia e della coppia in generale, per rivisitare le periferie brulicanti delle grandi città, per analizzare il progressivo isolamento e la solitudine co(s)mica che attanaglia l'essere umano colpito da un dramma personale. Ma il nuovo lavoro della regista di Mignon è partita e Il grande cocomero è soprattutto un messaggio di positività in un momento di profonda crisi per il nostro paese, uno spaccato di vita vissuta ma anche una riflessione cruda e allo stesso tempo vera sull'amicizia e sulla solitudine. Un'opera matura dal ritmo discontinuo e dai risvolti sorprendenti, un film che si mantiene su un equilibrio rarissimo e magico tra dramma e commedia impegnata, tenendosi alla larga dalla frivolezza becera cui il cinema nostrano ci ha purtroppo abituati, sia dalle patetiche velleità narrative in cui spesso annegano le 'nostre' fiction tv.
Empatici e assolutamente perfetti nei loro ruoli Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart, uomini 'ingrippati' e aggrappati alla vita, fragili nel corpo e nell'anima. Performance le loro che vanno dritte al cuore senza teatralità né pietismi, che commuovono senza forzature e che riescono nel difficile intento di far ridere di gusto anche in questo contesto. Merito della Archibugi che ha confermato la sua grandissima capacità di dirigere gli attori e dimostrato ancora una volta un'intelligenza fuori dal comune nello scrivere i dialoghi e nel caratterizzare fin nel minimo dettaglio i 'suoi' personaggi. C'è molto di lei sia in Alberto che in Angelo, c'è l'amore per la sua città e per le periferie tanto care a Pasolini, c'è la crisi artistica di uno sceneggiatore a corto di idee ma anche la difficoltà di amare in modo assoluto, l'incoerenza e la dissociazione dalla realtà proprie dei nostri tempi e soprattutto l'incapacità di accettazione della morte come parte integrante della vita.

Un film di rara intensità e dolcezza, senza alcun dubbio il miglior della Archibugi e il migliore film italiano visto in questi primi mesi del 2009.

Movieplayer.it

4.0/5