Recensione 127 ore (2010)

In 127 Hours ritroviamo il Danny Boyle di sempre, quello che non ha paura a mescolare linguaggi diversi, ma che sa fermarsi davanti alla vera tragedia di Aron Ralston, un uomo disperatamente solo, interpretato dallo strepitoso James Franco.

L'uomo d'acciaio

Aron Ralston ha ventisei anni e una passione irrefrenabile per il trekking. Non c'è percorso o sentiero che non conosca a memoria, montagna su cui non sia riuscito a salire. Ecco perché tutto si sarebbe aspettato dalla vita, tranne che l'escursione sui canyon dello Utah diventasse il punto di svolta di un'esistenza in cui non esistono limiti. Senza avvertire familiari e amici, Aron si avventura tra le gole del Blue John, ma viene travolto da un masso che gli schiaccia il braccio destro. Senza cibo e con pochissima acqua, Ralston vede letteralmente la morte in faccia e per cinque lunghissimi giorni, 127 ore, si trova ad un passo dalla resa. Lo sostengono solo i ricordi delle persone amate (l'ex fidanzata, i suoi familiari più stretti, ma anche due simpatiche escursioniste conosciute poco prima) e una telecamera digitale con cui si diverte a "colloquiare", improvvisando divertenti siparietti, nell'estremo tentativo di non sentire il vuoto attorno a sé. Quando tutto sembra perduto, in un supremo atto di coraggio, Aron decide di tagliare il suo arto per riuscire a salvarsi.

Danny Boyle si conferma un maestro del cinema-spettacolo, un artista sagace, capace di trovare la ricetta del film giusto, imponendo il suo marchio di fabbrica anche a storie solo apparentemente lontane e "facili". In 127 ore ritroviamo l'autore di sempre, quello che non ha paura a mescolare linguaggi diversi e musiche forsennate, ma che inaspettatamente (e con grande scelta di tempi) sa fermarsi davanti alla vera tragedia di un uomo disperatamente solo, figlio di una società "sovraffollata" (come dimostrano le migliaia di persone perennemente in movimento che troviamo nelle prime sequenze del film), eppure isolato in quello che lui stesso acutamente definisce "Il casino più grande della mia vita".

Sarebbe stato oltremodo semplice premere il pedale del sentimentalismo più estremo davanti ad una vicenda come quella di Aron Ralston il sopravvissuto; Boyle, invece, forte di un innato humour e di uno stile personalissimo, ci consegna l'emozionante ritratto di un uomo indomito, nonostante le sue imperfezioni e le numerose contraddizioni. E' questo tocco a fare di 127 Hours, tratto dal memoriale di Ralston, Between a Rock and a Hard Place, un film riuscito, che si gusta secondo per secondo, magari chiudendo gli occhi davanti alla cruenta scena dell'auto amputazione del braccio, sequenza chiaramente fondamentale per lo svolgimento della storia, che viene quasi diretta con pudore.

Il regista inglese sa come condurre per mano lo spettatore, senza mai prendersi gioco di lui; che siano le sporche vie di Mumbai, palcoscenico ideale del sognatore innamorato di The Millionaire, o i cenciosi appartamenti scozzesi del cult Trainspotting, Boyle narra storie che piacciono per la loro profonda verità. 127 ore, poi, e il titolo è già una dichiarazione d'intenti, è anche un racconto sul tempo; quello reale che scorre inesorabile nella sua pesantezza, ma anche quello interiore del protagonista, che va ad una velocità diversa e vive di immagini rubate alla propria memoria. James Franco, che per quasi tutta la durata del film da resta da solo sul grande schermo, riesce bene ad incarnare lo spirito fanciullesco e spensierato che ha accompagnato Ralston anche nei momenti più tragici, firmando un'interpretazione convincente e misurata. Se ad un film chiediamo pathos e coinvolgimento, allora non si può rimanere insensibili davanti all'opera di Boyle. Uno che i film li sa fare.

Movieplayer.it

3.5/5