Genitori & figli: Veronesi e la sua 'Alice nel Paese delle volgarità'

Il produttore Aurelio De Laurentiis, Silvio Orlando e Luciana Littizzetto a Roma per presentare 'Genitori & figli - Agitare bene prima dell'uso', il nuovo film di Giovanni Veronesi dedicato all'incomunicabilità tra genitori e figli.

Presentato stamattina a Roma Genitori & figli - Agitare bene prima dell'uso, il nuovo film sul divario generazionale tutto italiano di Giovanni Veronesi, in compagnia del produttore Aurelio De Laurentiis, che ha colto l'occasione per ribadire la forbice attuale tra la situazione nostrana e quella americana, dove c'è rispetto maggiore per il cinema, perfino per i trailer.
Abbiamo parlato con Veronesi dei temi che sono toccati dal suo film: dalla famiglia allargata al razzismo. Il regista toscano ci ha rivelato che ha dedicato questo film ai genitori scomparsi, la cui dipartita gli ha ricordato il valore della famiglia tradizionale. Alcune delle scene di Genitori & figli - Agitare bene prima dell'uso e certe scelte stilistiche, come quelle musicali, vengono dalla quotidianità del regista e sono ispirate a fatti veri, ai quali sono stati aggiunti dettagli sintomatici di una presa di posizione sempre molto netta, come quella sui rom. Veronesi ritrae una generazione di ragazzini che usano parolacce nella vita di tutti i giorni e sono molto più "spietati" di ieri, ma nella sua storia la protagonista fa intravedere la luce, è il veicolo di un messaggio positivo lanciato forse tra gli adolescenti che vedranno questo film. E, malgrado le sue posizioni ideologiche facciano pensare il contrario, critica i genitori: i genitori che gridano contro i figli sbagliano perché non motivano la loro rabbia e i figli così non potranno mai capirli a fondo. Una commedia che se strizza l'occhio tanto ai teenager quanto ai genitori, come il titolo fa ben presente, non esita a mettersi in gioco e a emettere giudizi pesanti su alcune diffuse situazioni sociologiche, come quella della famiglia moderna.

Veronesi punta a bissare il successo dei precedenti film ma con un intento chiaro: il suo nuovo Manuale d'amore adesso non è più dedicato alle coppie ma alle famiglie più disfunzionali degli Italians di oggi. A raccontarcele alla conferenza stampa di stamattina ci hanno pensato un modesto Silvio Orlando e l'esilarante Luciana Littizzetto, che nel film si calano nella coppia scoppiata di Gianni e Luisa, genitori fragili dalle personalità complicate e alle prese con figli che ne combinano di tutti i colori.
Il film, che uscirà in 550 copie distribuito dalla Filmauro, è collegato alle scuole a monte e a valle: De Laurentiis ci spiega che, in collaborazione con l'Agiscuola e il Ministero della pubblica istruzione, le scuole medie superiori sono state interpellate prima della realizzazione del film per raccogliere temi tra i quali adesso verrà scelto il vincitore. Un'iniziativa interessante che, ben oltre la semplice strategia di marketing, mira a riattivare quell'energia positiva che le generazioni più giovani a volte non sanno o dimenticano di avere.

Signor Veronesi come mai dopo tre film a episodi, ha scelto di tornare sul grande schermo con un film con un unico intreccio narrativo?
Giovanni Veronesi: Ogni volta che vado a discutere dei miei film con Luigi e Aurelio De Laurentiis ci guardiamo e pensiamo che c'è sempre qualcosa in più nel sottotesto da voler dire. Eravamo però un po' stufi di frazionare troppo le storie, con Italians eravamo arrivati a tre episodi: volevamo disintossicarci e raccontare una storia più unitaria, che fosse anche più soddisfacente da scrivere. Con un film a episodi poi hai sempre dei rimpianti quando vedi il film e così avevo voglia di tornare a fare un film con una narrativa continuativa.

Signor De Laurentiis il film è inteso come un'unica storia, però viene presentato come due storie dai trailer. Perché c'è questa discrepanza?
Aurelio De Laurentiis: Il trailer ha un linguaggio che prescinde dal film perché ha il compito di portare sollecitazioni diverse da quelle che possono portare il film. In Genitori e figli le storie sono una "crossata" con l'altra, ma i personaggi sono così tanti che dare una porzione di spazio a ciascuno senza creare una posizione da passerella privilegiata era difficile. È una questione complessa e non si può pensare che il trailer sia un miniriassunto del film stesso. Gli americani, che hanno rispetto gigantissimo per i film, fanno trailer da tre minuti, vi inseriscono anche voci off e c'è grande rispetto perfino per i trailer anche da parte dell'esercizio. Nelle sale americane, prima di un film proiettano almeno otto, dieci trailer, qui invece le sale vogliono la pubblicità commerciale al punto che bisogna lottare per avere degli spazi e controllare che siano stati effettivamente assegnati. Invece di essere tutti uniti per migliorare la qualità dei film, siamo tutti separati.

Nel film tra i risvolti narrativi lei ha messo in scena anche il tema della famiglia allargata. Questa problematica l'ha spinta in qualche modo a realizzare il film?

Giovanni Veronesi: Io non ci credo alla famiglia allargata! So che esiste, ma penso che la famiglia nasca come un nucleo stretto centrale, che personalmente preferisco chiamare "branco", che si riunisce sotto lo stesso cielo nei momenti importanti della propria vita. Non credo tanto invece nella famiglia intesa come comunità e sono convinto che sia una forzatura. La verità è un'altra: è che quando c'è bisogno di te, le persone che ti sono vicine, che ti condizionano sono quelle del tuo branco. E nel branco non ci sono ruoli, tanto che la protagonista, Nina, dice che non c'è più una famiglia, anche dopo un momento di riavvicinamento.

Quindi lei sostiene il valore della famiglia tradizionale?
Giovanni Veronesi: Quando sono morti i miei genitori, ai quali ho dedicato questo film, mi sono accorto che li avevo sottovaluti, ho sentito un vuoto così forte che mi sono accorto che non era la loro mancanza fisica che sentivo, ma un attaccamento profondo a loro. C'è una scena nel film molto importante ed è quella in cui la "famiglia" sparge le ceneri della nonna in mare e poi si tuffa tra quelle. Questa scena è vera, è successa a me e alla mia famiglia, con mio fratello e i bambini e io la ricordo come qualcosa d'irrimediabilmente unico nella mia vita.

Il linguaggio dei suoi personaggi è un po' sporcato dai turpiloqui. Ha voluto esagerare per sottolineare un aspetto in particolare o crede che sia il modo comune di parlare?
Giovanni Veronesi: Mi sono espresso come sento che la gente si esprime, le persone usano parolacce e mettono intercalari coloriti nella vita di tutti i giorni. Mi sono liberato dei soliti fardelli linguistici e ho romanzato cose vere, ho utilizzato temi di studenti liceali, ho parlato con loro e ho avuto il coraggio di portare sullo schermo la loro verità. Credo che la parolaccia non sia nella singola parola, ma nell'offesa a qualcuno. In fondo anche un discorso che offende può essere considerato una parolaccia.

Ci spiega la scelta di un brano come "Over the Rainbow" in due versioni tanto diverse nel film?
Giovanni Veronesi: Ho un nipote di Calenzano, a Firenze, che un giorno mi ha detto: "Potresti fare un ponte generazionale con questo pezzo che sentiamo sempre in discoteca..." È stato lui a suggerirmelo. Così l'ho inserito sia nella versione originale sia in quella disco, che sembra piaccia tanto ai ragazzi.

Un altro aspetto importante della storia del film tocca il razzismo. Ci spiega da dove nasce l'idea di un ragazzino come Ettore che, provenendo da una famiglia piccolo borghese che ha in casa la bandiera della pace, detesta i bambini che vengono da altri Paesi?
Giovanni Veronesi: L'idea viene da un racconto di un mio amico toscano che fa il professore. È stato lui ad avermi raccontato di un bambino di una scuola di Prato che viene da una famiglia progressista ed è un piccolo Hitler che odia i cinesi. Così l'ho trasferito sulla pellicola. E vi ho aggiunto la figura dello psicologo dando peso a una frase che dice: "il razzismo è nell'aria come le polveri che respiriamo". La trovo molto poetica, e vera. Credo che la possibilità che i figli siano dei "mostri" non dipenda dai genitori, ma che comunque loro debbano tenerli d'occhio.

Secondo lei si tratta di un problema generazionale?

Giovanni Veronesi: I ragazzini oggi non vanno per il sottile, sono spietati. E non c'entra l'atmosfera che respirano a casa. L'episodio di Ettore mi sembrava divertente ma anche demoniaco. Oggi i ragazzini non sono ingenui, ci sono delle realtà incredibili, come quella delle ragazzine che ballano sui cubi e vengono pagate per farlo.

Ci racconta qual è stato il suo punto di riferimento per la scena nel campo rom?
Giovanni Veronesi: Quella è una scena vera, con facce vere, tanto che l'ho girata in maniera diversa dalle altre. Mi piaceva l'idea che una persona andasse a pulirsi la coscienza, ma trovasse una reazione così sorprendente. Conosco benissimo gli zingari e so che quella è una reazione che avrebbero in una situazione del genere. Molti s'indignano proprio perché sanno che i piccoli borghesi vogliono solo pulirsi la coscienza, e non s'aspettano che invece i rom li vogliano punire a modo loro. È una scena che non ha niente di comico anche se ha dell'assurdo.

Sul versante opposto si trova invece il personaggio di Gigio, figlio realista di un padre oltranzista, che sogna il Grande Fratello. Un reality a caso o una scelta motivata?
Giovanni Veronesi: È un espediente trovato per farli litigare perché quelle litigate sono come quelle fatte anche solo per discutere che avvenivano tra me, mio padre e mio fratello. Per questo finiscono sempre con i numeri. Oggi una delle cose più antipatiche di cui discutere con un figlio è una scelta così estrema come cercare una scorciatoia nella vita perché è un argomento che indigna certe persone. I ragazzi invece no. Il Grande Fratello non è un reality qualsiasi. Poi è facile schierarsi con Alberto (Michele Placido), ma bisogna anche capire quanto sia ottusa una reazione da parte di un padre di fronte a una situazione del genere...

Cosa si aspetta da una critica di questo tipo?
Giovanni Veronesi: Ho fatto vedere quella scena a una ragazzina di 19 anni e lei alla fine mi ha fermato e mi ha detto che i genitori sono davvero così ottusi! Pensavo di aver sbagliato, ma poi mi sono reso conto di essere stato imparziale. Ho sempre pensato che in qualche modo avesse ragione il padre, invece bisognerebbe saper argomentare il no.

Silvio Orlando e Luciana Littizzetto, voi avete lavorato per la prima volta insieme. Ci parlate di quest'esperienza?

Silvio Orlando: Stimo immensamente Luciana ed era un mio piccolo sogno recitare al suo fianco perché la ritengo un'attrice completa anche se conosciuta più per i duetti comici in televisione. Cerco sempre di stare nelle situazioni in cui posso essere utile e spesso ho sentito poco questa possibilità nel cinema comico italiano, dove si trova una maschera e poi si crea una struttura leggera che la assecondi. Giovanni Veronesi invece ha creato un ponte con gli attori "non comici" o "non soprattutto comici", ed è riuscito a creare storie che li coinvolgono.
Luciana Littizzetto: Mi sono molto stupita quando Veronesi mi ha chiesto di far parte del cast al fianco di Silvio Orlando perché lui è un attore liso e perché le mie esperienze cinematografiche non sono tantissime. Dal film non sappiamo molto della coppia, ma sappiamo solo che litigano su tutto, dai massimi sistemi alla quotidianità. Il mio personaggio, Luisa, è isterico, nervoso e ha a anche fare con un marito sensibile e che ha poca spina dorsale. Quando arrivano a pesare nella sua vita anche la figura della suocera e un fidanzato "balengo" non ne può più: le piacerebbe costruire una famiglia allargata e ancora una volta si ritrova con uno che non se la sente... Però lotta, discute, sbraita: è un personaggio difficile perché fa mote cose insieme come le donne di adesso, che poi fanno tutte le cose male perché non ce la fanno!
Silvio Orlando: Ci tengo a dire che questa compagnia di giro che abbiamo costruito si regge tutta sugli occhietti di Chiara Passarelli: lei è la nostra piccola Alice nel paese delle volgarità. Lei porta il suo candore ma anche la forza di anticonformismo che la oppone a certe situazioni generazionali: lei sa dire di no.
Giovanni Veronesi: Chiara è stata anche una fortuna perché l'ho scelta tra 500 ragazzine e non era detto che riuscissi a trovarla. Lei regge il passo con gli attori "lisi" del cast!! Mai come stavolta sento suonare bene l'orchestra: non c'è un momento di stonatura. Da lei a Piera Degli Esposti: tutto suona perfettamente. E questo è grazie al cast perché gli attori in questo tipo film sono importanti perché devono essere sottili, far commuovere e ridere a distanza di pochi attimi. Quando scelgo gli attori non è sempre detto che la bravura di un attore lo porti a rappresentare bene queste due facce. Invece quest'orchestra suona veramente bene.

Signor De Laurentiis ci spiega adesso come proseguirà la "collaborazione" con le scuole?
Aurelio De Laurentiis: Ci sono state due fasi: quella della scrittura in cui ci siamo interfacciati con le realtà di Bologna e Foggia per raccogliere informazioni vere nelle scuole superiori. Poi è subentrata quella attuale di coinvolgimento dell'Agiscuola e del Ministero dell'istruzione programmando una serie di temi per poi avviarli presso un nostro centro di raccolta e verifica, con un comitato che selezionerà il tema migliore premiato con 50mila euro dei quali 20mila andranno allo studente e 30mila saranno messi a disposizione dell'istituto da cui proviene per creare un laboratorio audio-visuale.