Wong Kar-Wai: 'A Berlino in cerca di visioni positive'

Il nostro incontro con la giuria berlinese a prevalenza femminile capitanata dall'autore di In the Mood for Love.

La giuria della 63° edizione del Berlino Film Festival, capitanata dal regista Wong Kar-Wai, si presenta alla stampa inaugurando una kermesse ricca di grandi autori, cinema d'impegno e anteprime molto attese in una Berlino non particolarmente fredda (per adesso). Il regista di In the Mood for Love e Un bacio romantico - My Blueberry Nights ha finito da pochi giorni il montaggio dellla sua ultima fatica, The Grandmasters, incursione nelle arti marziali interpretata dalle star orientali Tony Leung Chiu Wai e Zhang Ziyi. Il film avrà la sua attesa anteprima mondiale proprio stasera in presenza dei suoi protagonisti. Insieme a Wong Kar-Wai ci sono i giurati Susanne Bier, Andreas Dresen, Ellen Kuras, Shirin Neshat, Tim Robbins e Athina Rachel Tsangari. Una giuria a maggioranza femminile determinata a consegnare l'Orso d'Oro nelle mani del film e dell'autore più meritevole secondo l'inoppugnabile giudizio.

Presidente, quali criteri pensate di usare per la valutazione dei film che sarete chiamati a giudicare nei prossimi giorni? La preoccupa il fatto che non ci siano film cinesi in competizione?
Wong Kar-Wai: La mancata presenza dei film cinesi in concorso non mi preoccupa, perché questo è un festival molto vario. Il nostro è un cinema molto produttivo e ho fiducia che ci saranno film cinesi nella prossima edizione della Berlinale o in quella successiva. Questo non è un posto per il business, è un festival intimo, anche a causa delle temperature rigide. Qui è bello incontrarsi per condividere idee e arte. Non siamo qui per giudicare dei film, ma per apprezzarli, per vedere qualcosa capace di emozionarci e ispirarci.

Shirin, il tuo cinema è incentrato sul ruolo e sul potere della donna nell'arte. Come ti porrai con i film al femminile che vedrai?
Shirin Neshat: Sono una donna, un' artista e sono attratta dalle opere d'arte di altre donne. Sono curiosa di vedere cosa ci riserva il concorso.

Shirin, tu vieni dal solo paese del mondo in cui il cinema è stato fondato da una donna. Come è la situazione oggi?
Shirin Neshat: L'artista di cui parli, Rakhshan Bani-Etemad, non è in grado di lavorare nel suo paese. Potrei parlarti di molte grandi artiste donne, io appartengo a una comunità di donne piene di storie da raccontare, ma spesso non sono state messe in grado di poterlo fare o peggio, sono state ostacolate. Il mio cinema non è socialmente orientato perché non ho accesso all'Iran, ma anche senza libertà vi è una comunità sempre crescente e concentrata sull'arte. Noi abbiamo bisogno che gli artisti raccontino i tempi che stiamo vivendo per avere una testimonianza. Credo però che oggi, per gli artisti cresciuti in Iran e costretti oggi a trasferirsi lontano dal loro paese, sia molto dura.

Il concorso internazionale ospita anche l'ultima opera del tuo connazionale Jafar Panahi.
Shirin Neshat: Per questo la comunità iraniana dentro e fuori dal paese è molto interessata al Festival di Berlino. E' molto coraggioso inserire il film di Panahi in concorso, ma come giuria guarderemo l'opera per i suoi meriti artistici, non politici.

Andreas, la tua formazione e la tua opera esulano da quella degli altri giurati.
Andreas Dresen: La nostra giuria è molto interessante perché siamo tutti così diversi. Io mi sono formato vedendo il cinema dell'Europa orientale e della DDR perciò porterò un punto di vista diverso che spero serva ad arricchire il dibattito.

Per la prima volta le donne in giuria sono più degli uomini. Che ne pensate di questa scelta?
Tim Robbins: E' una cosa che ci piace molto.

Athina, venendo dalla Grecia è inevitabile non pensare alla situazione economica che il tuo paese sta attraversando adesso.
Athina Rachel Tsangari: Tutti conoscono la situazione attuale della Grecia. L'arte, e in particolare il cinema, sono stati i primi a subire la crisi, ma ora credo che le cose si stiano muovendo. Per il momento l'arte è l'unica cosa che la Grecia è stata in grado di esportare nel mondo perciò noi cerchiamo di tenere duro e anche senza gli aiuti pubblici proviamo a finanziare le nostre opere in maniera indipendente. Credo che ci sia un movimento di persone che lavorano insieme sempre più forte e intenzionato ad andare avanti nonostante tutto.

Ellen, da direttore della fotografia come valuterai l'impatto visivo dei film e la tecnica usata?
Ellen Kuras: Ogni film ha una visione unica per la storia che vuole raccontare. Non dobbiamo cercare per forza il film con la qualità tecnica più alta, ma ciò che ci interessa è vedere film intensi, capaci di inventare metafore potenti per raccontare nuove storie.

Tim, come è il tuo rapporto con la Berlinale?
Tim Robbins: Adoro il Festival di Berlino perché abbraccia una meravigliosa idea di come il cinema dovrebbe essere e non ha paura. Sono già stato qui in passato e so che sarà molto divertente passare i prossimi dieci giorni a vedere film.

Susanne, cosa cercherai nei film che vederete nei prossimi giorni?
Susanne Bier: Il lavoro della giuria è quello di apprezzare film. Nel nostro primo incontro Wong Kar-Wai ci ha suggerito di concentrarci su ciò che ci piacerà e non di usare il tempo per criticare le cose che non ameremo. Credo che questa sia una visione molto corretta e positiva. Vogliamo concentrarci soprattutto su quei film che non avranno una vita commerciale al cinema. E' una sfida interessante dare visibilità a qualcosa di veramente importante.

Come vi porrete di fronte alle opere di taglio più sociale e politico, una delle caratteristiche principali di questa selezione?
Athina Rachel Tsangari: Quest'anno il concorso è davvero interessante ed è stato selezionato con un'idea molto precisa, quella che il cinema può cambiare il mondo facendo la differenza. Oggi il cinema ha una funzione precisa nel mondo e soprattutto in Europa. La società attuale non è in gran forma e io mi sento fortunata a condividere con i miei colleghi giurati la responsabilità di supportare il miglior film, quello capace di fornire la miglior visione e di raccontare ciò che ci circonda.

Tim, dopo le stragi degli ultimi mesi nel tuo paese il tema delle armi è tornato a essere scottante. Come ti poni nel dibattito sulla violenza al cinema?
Tim Robbins: A livello personale non mi preoccupano i film che usano la violenza in modo iperrealistico e fictional, ma sono preoccupato dall'uso indiscriminato della violenza e anche del sesso e sull'effetto che possono avere sulle persone. Quando la violenza diventa parte di una formula può arrivare a influenzare il pubblico. Negli USA abbiamo chiaramente un problema con le armi. Non credo che le persone abbiano necessità di possedere armi d'assalto in casa, ma siccome molti ancora hanno la libertà di poterle avere mi auguro che almeno siano capaci di usarle correttamente.