Recensione To the Wonder (2012)

Dopo una prima ora di struggente bellezza, To the Wonder perde fluidità e coesione. Lo sguardo di Malick si conferma capace di bellezza assoluta, ma il film ha il sapore di capolavoro mancato.

Una lunga storia d'amore

I temi di The Tree of Life, pellicola trionfatrice a Cannes 2011, ritornano in To the Wonder. L'amore tra uomo e donna, la paternità, la crisi dei valori e della fede e, al di sopra di tutto, l'estasi nei confronti del creato permeano un lavoro meno meditativo rispetto al precedente e più narrativo. Questa svolta a tratti spiazza e penalizza il risultato definitivo di To the Wonder. Premettiamo che non è facile parlare di una pellicola coerente con il corpus delle sue opere, ma discontinua. Malick è un autore di culto che, dopo aver realizzato pochissimi lavori, intervallati da silenzi di durata biblica, ha deciso di accelerare la sua produzione. Le sue lunghissime sedute in sala di montaggio sono note come le sue indecisioni e forse un ritocchino gioverebbe anche a quest'ultima pellicola che, dopo un inizio folgorante, presenta scelte discutibili. La prima ora di To the Wonder somiglia a quanto di più vicino a un capolavoro ci possa venire in mente. Il film, scandito da una serie di blocchi narrativi individuati dai cambiamenti di location, si apre con la sublimazione dell'amore tra la coppia protagonista della pellicola, formata da Olga Kurylenko e Ben Affleck. I due vivono il proprio amore tra Parigi e Mont Saint-Michel e il regista raggiunge vette di poesia assoluta facendo danzare la telecamera intorno a loro corpi in movimento o posizionandosi dietro le nuche in estatica contemplazione delle meraviglie della capitale francese.


La splendida Kurylenko si rivela la protagonista ideale di un regista innamorato del corpo femminile e si muove sinuosa tra campi, strade e parchi calpestando insieme ad Affleck, in uno dei momenti più suggestivi del film, la fanghiglia creata dalla bassa marea di Mont Saint-Michel in una danza improvvisata. La trasfigurazione poetica dell'innamoramento e della successiva crisi prosegue quando la coppia si sposta negli Stati Uniti dove la donna, insieme alla figlia di dieci anni, segue il compagno, ma presto l'amore cederà il posto all'incertezza e al dubbio. Malick resta fedele agli stilemi che caratterizzano il suo cinema e non abbandona le proprie personali ossessioni. Alla figura maschile, anche in questo caso, vengono attribuiti caratteri negativi. Il personaggio di Affleck mina le basi del rapporto mostrandosi dapprima contrario all'ufficializzazione della relazione attraverso il matrimonio per poi chiudersi in se stesso, negando le necessarie attenzioni alla compagna che comincia, così, a dubitare del loro sentimento. Nel perseguire il suo ideale di universalità, Malick ci fornisce informazioni necessarie a introdurre temi più ampi, abbandonandosi alla riflessione filosofica con compiacimento meditativo.

To the Wonder non si limita alla rappresentazione della fenomenologia di una relazione amorosa, ma ad essa affianca riflessioni sulla perdita o l'assenza della fede - affrontata grazie alla figura di un prete in crisi interpretato da Javier Bardem - la malattia, l'inquinamento e il degrado del regno naturale dovuto all'eccessiva industrializzazione, il sacrificio e la possiblità di redenzione attraverso l'assistenza ai bisognosi. L'afflato religioso panteista presente nelle sue opere precedenti si concretizza, in questa occasione, nel rapporto con la chiesa e con il sacramento del matrimonio. Questa volontà di concretezza, però, ridimensiona la poesia. Dopo una prima ora di struggente bellezza, To the Wonder perde fluidità e coesione. La scelta di far parlare ogni attore nella sua lingua, se funziona per il morbido francese della Kurylenko, ucraina di origine, ma residente a Parigi, per Rachel McAdams, Javier Bardem e per i monosillabici interventi di Ben Affleck, stride all'arrivo dell'italiana Romina Mondello. Al suo personaggio vengono messe in bocca battute poco convincenti pronunciate con un tono sguaiato che si discosta nettamente dalla morbida vaghezza creata dal sussurro della voice over francese. Nell'insieme l'ultima parte del film risulta emotivamente più fragile sia per le scelte narrative che per il mancato sostegno della colonna sonora, che perde progressivamente di efficacia, e nonostante un guizzo finale la magia si interrompe. Lo sguardo di Malick si conferma capace di bellezza assoluta, ma To the Wonder ha il sapore di capolavoro mancato.

Movieplayer.it

3.0/5