Recensione Ricordati di me (2003)

E' nevrotico, l'inizio di "Ricordati di me", quarto lungometraggio di Gabriele Muccino: nevrotico come i suoi personaggi in perenne balia degli eventi, che sembrano rincorrere disperatamente il tempo che passa portandosi via sogni, aspirazioni, desideri.

Un Muccino 'familiare' ma non troppo

E' nevrotico, l'inizio di Ricordati di me, quarto lungometraggio di Gabriele Muccino: nevrotico come i suoi personaggi in perenne balia degli eventi, che sembrano rincorrere disperatamente il tempo che passa portandosi via sogni, aspirazioni, desideri. I trentenni de L'ultimo bacio hanno fatto la loro scelta, hanno accettato di vivere una vita borghese con le sue contraddizioni, le sue responsabilità, la sua "normalità" ma anche i suoi rischi; hanno messo su famiglia, e hanno trasportato nuove questioni e nuove (urgenti) domande in questo microcosmo.

E' proprio questa la più importante novità di questo nuovo lavoro del regista romano, che lo fa discostare dai precedenti: la storia non è più incentrata su una tipologia di personaggi (gli adolescenti in Ecco fatto e Come te nessuno mai, i trentenni ne L'ultimo bacio), ma piuttosto su un particolare contesto, ovvero quello familiare: istituzione borghese per eccellenza, la famiglia era già stata trattata da Muccino nei film precedenti, ma solo qui assurge a centro della storia, subordinando le singole storie dei personaggi alle sue dinamiche interne. E' una novità che ha sicuramente fatto bene al cinema del regista romano, allontanando i rischi di un'eccessiva categorizzazione, di un incasellamento dei suoi personaggi in comode categorie predefinite che avrebbero finito per far perdere loro attinenza con la realtà. Qui il fulcro motore della storia è sicuramente l'incontro di Carlo (intepretato da un ottimo Fabrizio Bentivoglio) con la sua vecchia "fiamma" Alessia (un'altrettanto convincente Monica Bellucci); ma il tradimento che ne seguirà sarà solo la punta dell'iceberg, il risultato ultimo di una lunga crisi taciuta, fatta di incomprensioni, aspirazioni frustrate, insoddisfazione per il proprio stato. Questa crisi si sovrapporrà con quelle, altrettanto personali ma comunque "proiettate" sulla famiglia, di Paolo e Valentina: lui ha 19 anni ed un futuro incerto davanti, in un'età in cui l'incertezza è forse la caratteristica principale; gli amici sono "lontani", i genitori fuori portata, e la sensazione di essere fuori posto è sempre dietro l'angolo. Valentina è invece alla ricerca di un riconoscimento che intravede solo attraverso la carriera televisiva; determinata a diventare velina in un programma televisivo, si renderà presto conto che il mondo a cui si sta accostando è di plastica, e che il mal di vivere dei suoi protagonisti è anche peggiore di quello (molto meno rassegnato) dei suoi familiari. Le diverse crisi dei protagonisti esploderanno tutte contemporaneamente, e la disgregazione sarà a un passo.
Muccino non è, come potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale, un demolitore dell'istituzione familiare; la famiglia è anzi punto di partenza imprescindibile per le storie del regista romano, e ciò appare tanto evidente qui (con la faticosa ricomposizione del nucleo familiare dopo l'incidente a Carlo) quanto nei suoi film precedenti (il risolutorio confronto finale in Come te nessuno mai, la scelta, problematica ma quasi obbligata, del protagonista de L'ultimo bacio contrapposta a quella, poco ragionata e che sa di sconfitta, dei suoi amici che decidono di scappare). Tuttavia, il regista sembra ben consapevole dei rischi e delle contraddizioni che la vita familiare porta in grembo: ben lungi dal voler dar loro una soluzione, Muccino li prende invece come punto di partenza per costruir loro intorno una poetica. L'intelligente finale, che rifugge da un happy-ending consolatorio e lascia aperte questioni che devono essere lasciate aperte, conferma quest'assunto: starà ai protagonisti saper convivere con una situazione in cui le incertezze non possono essere tagliate fuori, e la stabilità è una pura chimera.

Muccino si conferma un ottimo narratore, eccellente anche nella direzione degli attori: questi ultimi appaiono tutti in palla e perfetti per i rispettivi ruoli: ai già citati Bentivoglio e Bellucci vanno aggiunti una credibilissima Laura Morante, isterica e sperduta quanto basta, e i due giovani Silvio Muccino (fratello del regista e già attore abbastanza esperto) e Nicoletta Romanoff (esordiente, ma con una sicurezza che non la fa affatto sembrare tale). Così, si può sorvolare sui pur presenti difetti (la troppo affrettata, e poco approfondita, risoluzione dei problemi di Paolo, alcuni dialoghi, specie tra i ragazzi, che risultano forzati e poco credibili) che sulla bilancia finiscono, fortunatamente, per pesare meno dei pregi.
Una prova, quindi, complessivamente positiva per il regista romano, un film più riuscito e maturo del precedente, parte di un percorso che sicuramente potrà riservare nuove, e piacevoli, sorprese, per un cinema italiano che fortunatamente, ogni tanto, è ancora in grado di raccontare senza essere per forza didascalico.

Movieplayer.it

3.0/5