Recensione Rio (2011)

Rio vive dei colori e del calore della città sudamericana, una terra delle favole dove tutto è possibile; gli ingredienti giusti per una riuscita ci sono tutti: un protagonista buffo e problematico, un soggetto semplice, ma non per questo meno diretto e sincero, una serie di co-protagonisti dal fascino indiscutibile, una regia capace di sfruttare pienamente le grandi possibilità del 3D.

Tutto è possibile a Rio

Blu era solo un pulcino quando è stato strappato dal suo habitat, una rigogliosa foresta alle porte di Rio de Janeiro, saccheggiata da predoni senza scrupoli. Finito per sbaglio in una sperduta cittadina del Minnesota, il pappagallino di razza macao, viene adottato da Linda, una dolce bambina che lo cresce con amore, quasi fosse un figlio. I due diventano grandi insieme; mentre la giovane donna gestisce una libreria, il pappagallo, incapace di volare, si diletta a studiare e a guardare la vita dei suoi colleghi su Animal Planet, mostrando poco interesse per quei panorami un tempo familiari e per quella dimensione selvaggia e libera. L'arrivo a Moose Lake di Tullio, ornitologo brasiliano, cambia il destino della piccola creatura cerulea che scopre, con sommo stupore, di essere rimasta l'unico esemplare al mondo della sua specie. Solo l'accoppiamento con Gioiel può scongiurare l'estinzione dei macao. Tra mille dubbi, Linda e Blu partono alla volta di Rio de Janeiro, contagiata dalla febbre del carnevale nonostante lo sguardo severo del Cristo Redentore sul monte Corcovado. Blu afferra al volo che non sarà una missione semplice quando fa la conosenza della dolce metà, un'indomita pappagallina per niente felice di partecipare all'esperimento. A dare fuoco alle polveri della passione ci pensano uno chaperon d'eccezione come il tucano Rafael, e (involontariamente) un trio di contrabbandieri pasticcioni che, coadiuvati dal malvagio cacatua Miguel, rapiscono i pappagalli per rivenderli al migliore offerente. Vivere giorno e notte incatenati è il giusto incentivo per il timido Blu.


Blue Sky Studios e Twentieth Century Fox lavorano ancora insieme per dar vita ad un film d'animazione che, dopo il successo planetario di L'era glaciale, presenta un nuovo gruppo di simpatici personaggi alle prese con l'avventura delle avventure, quella che porta alla scoperta di se stessi. Rio in 3D abbandona gli immacolati scenari della saga ambientata in epoca preistorica, per vivere dei colori e del calore della città sudamericana, una terra delle favole dove tutto è possibile, anche sovvertire la triste realtà delle favelas (scenario appena accennato, ma comunque presente) e sconfiggere i cattivi di turno. Già dalla bellissima sequenza iniziale, una scatenata danza di uccelli esotici che vanno a rompere il silenzio di una tranquilla e calda notte tropicale, Carlos Saldanha mette subito le carte in tavola; Rio in 3D, progetto fortemente voluto dal regista, carioca purosangue, è un trionfo di vivacità e di scatenati momenti di azione (davvero efficaci l'inseguimento nel mercato e la parata nel sambodromo). Gli ingredienti giusti per una riuscita ci sono tutti: un protagonista buffo e problematico quanto basta, un soggetto elementare, ma non per questo meno diretto e sincero, una serie di co-protagonisti dal fascino indiscutibile, infine, non per importanza, l'assoluta cura della regia, capace di sfruttare pienamente le grandi possibilità del 3D. Quello che ad un pubblico smaliziato può sembrare un difetto, cioè l'eccessiva 'leggerezza' della storia, il suo sviluppo narrativo piano, è in realtà il maggior pregio del film, una pellicola programmaticamente infantile, nel senso più positivo del termine, cadenzata dall'allegria delle coreografie e dai ritmi travolgenti della musica (nella colonna sonora ci sono pezzi di Carlinhos Brown e del leggendario Sergio Mendes).

La vicenda del pappagallo di città, assuefatto alla vita in cattività e ignaro delle bellezze della sua terra d'origine, diventa lo spunto per raccontare la crescita di un personaggio che vive la prima crisi 'd'amore' davanti ad una femmina che gli propone la libertà. Un passaggio chiave per l'esistenza dell'uccellino che Blu risolve imparando a tenere lo stesso ritmo di Gioiel a cui è letteralmente incatenato. Al cospetto di questa spassosa combriccola di animali antropomorfizzati, che comprende Luiz, un bulldog esperto di meccanica, Rafael il tucano casanova e un nutrito gruppo di volatili di ogni specie, l'essere umano non sfigura affatto, anzi mutua dagli amici pennuti atteggiamenti e comportamenti, come dimostra il buffo ornitologo Tullio, nerd di prima categoria, così esperto nel linguaggio dei versi da sembrare egli stesso un uccello. Il 3D si fa apprezzare, così come un cast vocale italiano meno raffazzonato e improvvisato rispetto ad altre operazioni del genere. Chiudendo un occhio sulla dizione, Fabio De Luigi appare ormai a suo agio nel ruolo del nevrotico incompreso (come dimenticare il suo doppiaggio di Ken in Toy Story 3 - la grande fuga?), mentre Victoria Cabello riesce a infondere alla sua Gioiel la giusta dose di ironia (nella versione originale le voci dei due protagonisti sono di Jesse Eisenberg e Anne Hathaway). Soprendono invece la padronanza del cantante Mario Biondi e il divertente furore agonistico di un'ex leggenda del calcio come Josè Altafini, debuttante allo sbaraglio e a giudicare dall'esito dell'operazione, divertito di esserlo. Il risultato finale è una favola dai buoni sentimenti, semplice nelle sue dinamiche, ma capace di suscitare meraviglia davanti a quei panorami lussurreggianti. E a una storia che sa parlare a grande e piccoli.

Movieplayer.it

3.0/5