Toy Story 3 e la Pixar hanno un'anima italiana: Guido Quaroni

In occasione dell'uscita in homevideo di Toy Story 3, abbiamo incontrato Guido Quaroni, responsabile del dipartimento artistico Pixar, nonchè voce di Guido in Cars, per una lunga chiacchierata sull'ultimo film della serie ed in generale sulla sua esperienza di lavoro negli studi di John Lasseter.

Vedere l'entusiasmo con cui Guido Quaroni, lombardo di nascita ma americano d'adozione, ci parla del suo lavoro alla Pixar è insieme piacevole e sorprendente. Piacevole perchè la partecipazione con cui ci introduce alla sua storia, ai suoi incarichi, ai loro metodi è travolgente e ci offre uno spaccato intimo, realistico ed emozionante di quel (non più) piccolo miracolo che è lo studio di John Lasseter; sorprendente perchè, diciamocelo, noi italiani siamo abituati ad enfatizzare, sempre e comunque, quanto sia pesante e fastidioso il nostro lavoro, anche quando abbiamo la fortuna di guadagnarci da vivere facendo qualcosa che amiamo.
La sorpresa però dura solo un attimo e basta soffermarsi su cosa è la Pixar, cosa ha ottenuto nell'intervallo di tempo tra Toy Story e Toy Story 3 - La grande fuga, per renderci conto che quella passione e quella partecipazione sono chiari, evidenti e visibili in ogni fotogramma dei loro capolavori, undici ad oggi, capaci di spostare l'asticella del campo dell'animazione (3D e non) sempre una tacca più in alto.
Arriviamo in Disney per intervistare Quaroni carichi di voglia di porgli domande, di approfondire il nuovo film e tutto il mondo Pixar, quindi un po' ci dispiace nell'apprendere che ci farà una breve introduzione con tanto di slides. Eppure bastano i primi minuti a conquistarci ed aumentare, piuttosto che soddisfare, la nostra curiosità; e quando ci rendiamo conto che è passata un'ora (l'intera presentazione arriverà ad un'ora e mezza), vorremmo che Guido Quaroni non smettesse mai di parlare, spiegare, mostrare immagini e video del suo/loro lavoro su Toy Story 3 e non solo: se la parola slide ci aveva instillato l'idea di una pesantezza da lezione universitaria, l'introduzione di Quaroni sembra invece il racconto di una vacanza e la sensazione, proprio grazie a quell'entusiasmo che abbiamo citato in apertura, è di un amico che ci racconta di un viaggio meraviglioso che sta facendo, tappa dopo tappa.

L'introduzione di Quaroni è ovviamente partita dalla nativa Monza, dagli studi (liceo scientifico e tre anni di ingegneria) e le prime esperienze informatiche, curiosamente affini al mondo di Steve Jobs e quindi al futuro percorso in casa Pixar che li avrebbe accumunati, ed è andata avanti raccontando l'evoluzione sua e degli studi che l'hanno accolto nel gennaio 1997, da Toy Story 2 a Toy Story 3 per quanto riguarda la sua esperienza, ma in generale dalla sua fondazione nel 1984, descrivendo con dovizia di particolari, ed una ricca dose di materiale fotografico a corredo, i loro metodi di lavoro, il loro stile unico, curiosità e piccoli segreti, mostrandoci l'ufficio personale di Lasseter, le bizzarre personalizzazioni dei quartieri dei diversi dipartimenti (che proprio a questo scopo ricevono una somma di denaro), la casa di Ken e le auto di Cars - Motori ruggenti ricostruite a grandezza naturale, l'atrio con le decorazioni che richiamano sempre l'ultimo prodotto realizzato in casa Pixar.
Curiosità che non hanno evitato di sfociare nel tecnico: Quaroni ha illustrato le caratteristiche dei modelli poligonali a cui lavorano e l'animazione basata sul tai-chi che tutti i personaggi devono essere in grado di riprodurre, per assicurare la portabilità delle animazioni da un modello all'altro, soffermandosi sulle particolarità di quelli di Toy Story 3, rovinati per simulare il passaggio del tempo, ma non troppo perchè, come sottolinea lo stesso Lasseter, "Andy tratta bene i suoi giocattoli"; ha mostrato i 5000 processori che si occupano del rendering nel corso della notte, per un tempo di 5/7 ore ad immagine che è rimasto immutato nel tempo, a fronte sì di macchine più potenti che però bilanciano una complessità sempre crescente; ha spiegato le curiosità che riguardano gli innumerevoli abiti di Ken e la loro realizzazione (ad ogni dipendente è stato chiesto di disegnarne uno a sua scelta), le tantissime citazioni interne alla Pixar che si nascondono qua e là nelle scene (non per ultimi i disegni dei bambini dell'asilo, realizzati dai figli dei membri dello staff) e la ricchezza delle scenografie, confrontandole con quelle dei capitoli precedenti; ha usato grafici a torta ed istogrammi per mostrarci le varie fasi del processo produttivo di un film Pixar, con i dipartimenti coinvolti in ogni periodo della lavorazione; ha soprattutto spiegato come il formato in cui il film è stato pensato è quello che vedremo nel blu-ray, 1.78:1 e non l'1.85:1 con cui è stato distribuito in sala, per avere una risoluzione reale di lavoro (1920x1080) pari a quella ormai standard dei nuovi formati ad alta definizione.
Un capitolo a parte è stato necessariamente dedicato al 3D (che in Pixar viene definito stereografia per non entrare in confusione con la loro grafica che è già in 3D), strumento al servizio della storia, come sempre fulcro dell'esperienza Pixar, e non fine ultimo della produzione. Mai troppo spinto, mai fastidioso o sopra le righe, ma sempre studiato scientificamente per donare profondità alle sequenze con equilibrio: Guido Quaroni ci mostra come, ci descrive il limite minimo e massimo nello scarto in pixel da donare alle inquadrature perchè non sia mai troppo profonde o troppo invadenti per il pubblico (considerando una distanza intraoculare media di 58 mm), spiegandoci il punto focale di alcune scene e come è stato scelto.
E quando finalmente è il momento di intervistare Quaroni, siamo così carichi di curiosità che alle domande iniziali se ne sono aggiunte altre tremila ed il tempo è così poco...

Con le tue parole ci hai fatto venire voglia di lavorare alla Pixar... Guido Quaroni: Lo capisco, è un posto bellissimo, ma si lavora anche tanto. Per fortuna con il tempo abbiamo imparato anche a lavorare meglio. Il mio primo anno, quando si era al lavoro su Toy Story 2, non è stata una vacanza: prima di tutto non capivo niente di inglese e poi si arrivava a lavorare anche 80 o 90 ore a settimana, quindi ritmi estremamente serrati. Invece per Toy Story 3 abbiamo lavorato solo cinque sabati in tutto il film, per il resto tutti regolarmente al lavoro dal lunedì al venerdì: si inizia tra le 8 e le 10 e si finisce tra le 17 e le 20 con orari molto flessibili; non esiste il concetto di timbrare il cartellino. Ovviamente se abbiamo dei meeting con altre persone, dobbiamo rispettare gli orari, ma altrimenti ognuno si organizza come preferisce: c'è per esempio chi passa tutto il giorno a giocare ai videogiochi e lavora di notte, basta che fa il suo lavoro, l'importante è il risultato. Come dicevo, per Toy Story 3 abbiamo cercato di evitare tour de force o straordinari eccessivi e devo dire che siamo diventati bravi ad organizzare e pianificare: se si arriva a lavorare solo cinque sabati su un progetto di quattro anni, vuol dire che è andato tutto bene, come pianificato inizialmente.

E' un aspetto che ci siamo sempre chiesti: come fate a mantenere questo clima di lavoro familiare, fatto di grande passione, pur con la mole di lavoro che dovete portare a termine? Guido Quaroni: Tanto per cominciare siamo in tanti. Ormai ci sono tanti soldi e quindi tante persone che possono lavorare allo stesso progetto: parliamo di 200/240 persone che lavorano allo stesso film e ci sono tante aziende che non possono permettersi qualcosa del genere. Prima si faceva con molto meno, per esempio Toy Story 2 è stato realizzato col lavoro di solo un centinaio di persone ed anche se si trattava di un film più semplice, perchè non avevamo ancora le tecnologie di oggi, era indubbiamente più dura la lavorazione. Quindi il successo ha inevitabilmente consentito questo clima: i film piacevano e la Pixar ha potuto permettesi di creare un ambiente di lavoro più rilassante. Ma vi ripeto, non è stato sempre così: alla fine di Toy Story 2 non ero sicuro di voler lavorare là, perchè voleva dire ritmi insostenibili e rinunciare ad amici, famiglia...

Se non sbaglio, Toy Story 2 ha avuto diversi problemi produttivi all'inizio... Guido Quaroni: E' vero, ha avuto diversi problemi di produzione e ovviamente non c'erano abbastanza persone per finirlo, quindi si lavorava a ritmi disumani. E poi ancora non si sapeva bene come fare i film: chi faceva la pianificazione diceva "ma sì, questo ci metti un giorno a farlo", e poi all'atto pratico era molto più complesso. E poi tutti lavoravano a tutto: io per Toy Story 2 ho fatto modellazione, articolazioni e, anche se non si era il migliore in quel campo specifico, serviva l'apporto di tutti in ogni settore, quindi si finiva a lavorare ad ogni aspetto del film. Adesso è molto più settoriale, anche perchè siamo molto più bravi e specializzati in ogni settore, quindi ognuno fa solo quello in cui è più forte. A me però piace avere nel mio team persone capaci di lavorare almeno ad un paio di discipline: se uno fa le luci, mi piace che sappia lavorare anche ai materiali, per esempio, sia per dare un po' di varietà al lavoro, sia per poter gestire meglio i problemi. Quindi prediligiamo sempre quelli più generalisti, le persone che sanno fare un po' più cose, senza però arrivare all'eccesso opposto. Molti curriculum che arrivano dall'Italia, per esempio, sono di persone che lavorano in posti piccoli e che quindi sono costretti a fare veramente tutto, ma non si può essere bravi in ogni cosa.

Anche la gestione di tante persone passa per un'organizzazione molto precisa e dettagliata? Guido Quaroni: Sì, indubbiamente. Ci sono sequenze dei film che richiedono la coordinazione di diversi settori. In Toy Story 3 è il caso della sequenza della discarica: quando così tanti personaggi hanno a che fare con così tanti oggetti è sempre complicato. E' importante la pianificazione, anche a priori nel decidere come comportarsi con il software: usiamo la versione vecchia o la riscriviamo? Non possiamo riscrivere tutto ogni volta, allora si tratta di prevedere quali porzioni sia meglio attualizzare. E poi è difficile gestire le persone, cosa far fare ad ognuno in base ai loro punti di forza.

C'è stato un momento in particolare nella storia della Pixar in cui questo atteggiamento è cambiato, in cui si è deciso di avere un approccio più rilassato al lavoro? Guido Quaroni: Penso che Toy Story 2 sia stato un momento importante, perchè alla fine della lavorazione tanti di noi, me compreso, hanno avuto problemi fisici come tendiniti. Io avevo un braccio completamente fuori uso e non potevo guidare la macchina, per esempio. Quelli che avevano lavorato a Toy Story 2 non potevano lavorare subito ad un altro film, potevano fare solo cose molto semplici, alcuni addirittura sono stati in malattia. Allora abbiamo capito che non si poteva lavorare a quei ritmi e si è deciso che la settimana tipo deve essere di 40 ore, non 80 o 90. Un altro aspetto importante è che la Pixar spende molto in training, in addestramento, quindi non ha interesse che la persona vada via, allora si è capito che bisognava rallentare un po' per far sì che non i dipendenti non fossero spinti a cercare un altro lavoro. Certo è stato un processo graduale e su Monsters & Co. e Alla ricerca di Nemo si è lavorato comunque tanto, ma oggi abbiamo raggiunto un buon equilibrio: si lavora in modo tranquillo ed abbiamo tanti bonus come palestra, piscina, ma quando c'è una crisi siamo pronti a lavorare tutti tantissimo per recuperare. Anche per Toy Story 3 l'ultimo mese abbiamo avuto qualche problemino, quindi sono arrivati in soccorso alcuni di Cars 2 e di Brave. E' una situazione comune perchè il film in uscita, che definiamo on deck, ha la precedenza su tutto, quindi se c'è un problema a quel progetto, chi lavora ai film successivi è pronto ad intervenire. Fortunatamente, come dicevo, stiamo riuscendo a ridurre al minimo queste crisi.

Prima di arrivare in Pixar, qual era il tuo rapporto con l'animazione? Cosa ti piaceva? Guido Quaroni: Sono sempre stato un patito dei film dei primi anni '80 che parlavano di tecnologia ed ero fanatico di computer. Poi ho visto Tron, infatti ora aspetto il nuovo con curiosità, e sono rimasto affascinato dalla computer grafica, dall'idea che i numeri diventassero immagini applicando regole matematiche. La Pixar allora era già considerata il massimo a livello di ricerca e di tecnologia ed una serie di eventi mi hanno portato lì. Mi ero proposto come sviluppo software, ma poi c'era bisogno di persone che facessero tutto e mi sono trovato a lavorare anche ai modelli. In Toy Story 2 c'era bisogno di realizzare il personaggio di un minatore e fu proposto a me, anche se non avevo mai modellato niente, e da lì mi sono integrato sempre di più nella fase produttiva.

Dal punto di vista dell'evoluzione tecnica, ogni nuovo film Pixar supera delle barriere, imponendo dei nuovi standard: dalla pelliccia di Monsters & Co. al mondo sottomarino di Nemo. Quali sono state le sfide di Toy Story 3 e quali vanno superate per il futuro? Guido Quaroni: Diciamo che quando si fa un sequel c'è qualcosa in meno a cui pensare. Anzi per Toy Story 3 ci siamo dovuti in parte limitare per evitare che si notasse una differenza troppo marcata rispetto ai capitoli precedenti. Quello che si dovrebbe avvertire dal punto di vista visivo è il numero di oggetti che compongono la scena, la complessità dal punto di vista della ricchezza delle inquadrature.

Anche nell'asilo in cui ci sono i giocattoli, ce ne sono veramente tanti, quindi la sfida è stata di poter gestire un numero elevato di oggetti anche per una singola inquadratura. La scena dell'inceneritore ne è un esempio lampante: fino a poco tempo fa non avremmo potuto caricare così tanti oggetti nel software, quindi non solo un'evoluzione nella progettazione degli oggetti, ma anche nei tool che ci permettono di gestirli, perchè anche se in gran parte si tratta di giocattoli anche molto semplici, come penne o pezzi del Lego, ce ne sono così tanti da diventare una sfida. Una barriera è stata di far sì che il regista potesse avere la libertà di fare quello che voleva, senza nessun limite, e spero si possa intravedere, anche se il focus di una scena sono i personaggi in primo piano, noterete che sullo sfondo ci sono sempre tantissimi oggetti che completano l'inquadratura. Un altro punto importante era dare la possibilità agli animatori di muovere i personaggi in un mondo che continua a muoversi: spesso in precedenza le sequenze erano fatte un po' ad arte, Wall-E per esempio aveva dei percorsi in cui poteva muoversi e basta, non poteva andare in giro dove voleva, non poteva salire sulle montagne di spazzatura e al limite si poteva fare a mano per una inquadratura particolare; ora la sfida è stata di sapere che i personaggi sarebbero stati costretti ad interagire per 200/300 inquadrature, diversi minuti, con un mondo in continuo movimento ed abbiamo voluto far sì che gli animatori potessero lavorare in assoluta libertà. E poi gli umani: volevamo realizzare degli esseri umani non realistici, ma fatti bene: carini da vedere, ma credibili. L'importante era non creare stonature, non far vedere difetti, anche se è ovvio che non siamo di fronte ad oggetti complessi e realistici come quelli di un Avatar, ma qualcosa che fosse coerente con l'ambiente in cui si muovono. Una cosa che ci succedeva in passato è che molti personaggi secondari fossero un po' bruttarelli, come alcuni mostri di Monsters & Co. o alcune macchine secondarie di Cars, ma ora abbiamo cercato di creare un equilibrio nella qualità di tutti i componenti della scena. In definitiva non c'è stata una vera rivoluzione per Toy Story 3, anche perchè non sarebbe possibile facendo un film all'anno, ma un passo avanti nel nostro processo evolutivo. Come già detto non sarebbe possibile riscrivere tutto, quindi per ogni lavoro ci diciamo cose come "per le luci che facciamo? Usiamo quelle di Up o nuove? Le luci vanno bene. E la pelle? La pelle va rifatta, ma per i metalli vanno bene quelli di Cars.". Quindi c'è una continua evoluzione e ogni film ha le sue difficoltà che ci portano a migliorare un determinato aspetto: per Cars i metalli, per Nemo l'acqua... quindi un salto si può notare guardando due film a distanza di quattro o cinque anni. Inoltre spesso la difficoltà non sta nel singolo aspetto di per sè, ma nel fatto che si aggiunge un ulteriore elemento di difficoltà ad una stessa inquadratura: cioè se devi animare solo un personaggio e poi hai finito è un discorso; se poi devi tener presente i capelli, i vestiti, le luci, vuol dire che per trenta secondi di film invece che una sola persona ci devono lavorare trenta persone. Di questi ognuno sa esattamente come fare la sua parte, ma la difficoltà diventa coordinare il loro lavoro. Insomma la complessità è fatta aggiungendo tanti pezzettini, ognuno dei quali non complesso, ma che insieme agli altri richiede più tempo o più persone.

Il lavoro puramente tecnico influisce in qualche modo sul copione o il lavoro sulle sceneggiature è intoccabile? Guido Quaroni: Nel corso del primo anno di un progetto, mentre la storia nasce, io sono la voce tecnica e cerco sempre di lasciare che gli autori sviluppino la loro storia. E' ovvio che cerco di mettere dei paletti: durante la stesura di Monsters & Co. venivano fuori personaggi con 3000 teste, 8000 occhi, allora si cerca di contenere. Io come coordinatore del dipartimento tecnico e responsabile dell'animazione, anche per Toy Story 3, sono presente nella fase di sviluppo dei personaggi e della storia per far sì che si mantenga un equilibrio. Spesso il regista chiede "com'è questa cosa? E' dura?" e allora bisogna capire se quel particolare aspetto sia importante per la storia che si sta costruendo, e allora si dice "sì, è dura, ma si fa". Faccio un esempio molto semplice: le scarpette di Molly che si vedono in pochi shot sono dei sandali. Inizialmente erano delle infradito e si vedevano le dita, allora abbiamo chiesto di semplificare, di usare una scarpetta chiusa, carina, in modo da non dover gestire le articolazioni delle dita in base al movimento per pochissimi frame in cui appaiono, ed hanno modificato il design. Per un personaggio importante come Lotso invece non mi metto a creare problemi. Quindi c'è una continua discussione per creare questo tipo di equilibrio.

Se non sbaglio il personaggio di Violet ne Gli Incredibili ha creato non pochi problemi per la questione dei capelli che le cadevano sugli occhi. Guido Quaroni: Non ne parliamo! E' stato un braccio di ferro durissimo. Mi è capitato anche con i capelli della bambina di Monsters & Co., Boo: quando ti dicono "puoi spostare un poco la frangetta?" non è facile come sembra, perchè tutto il movimento è simulato dall'algoritmo e non abbiamo un controllo diretto. Con Violet c'è stato lo stesso problema perchè il regista voleva che si vedesse l'occhio per far capire dove guardava, ma la controllabilità di quel tipo di capelli era molto complessa. In quel caso il regista lo riteneva un aspetto fondamentale per la personalità del personaggio, quindi si doveva trovare un modo per farlo. Quindi c'è un continuo dialogo, che è divertente ma allo stesso tempo un po' stressante. Se dici troppi "No", poi dicono che crei problemi, se dici troppi "Sì", poi devi vedertela con il tuo team che alla fine deve mettere in pratica le richieste. Anche nella fase finale, quando il film è ormai finito, ci sono momenti in cui il regista vede piccoli difetti o errori, ed anche lì è un lavoro di equilibrio cercare di capire quanto sia ritenuta importante la correzione di quel difetto.

C'è stato in Toy Story 3 un momento del genere? Guido Quaroni: Abbiamo cambiato tutto quello che voleva il regista. Sono stato anche un po' criticato per essere stato un po' troppo molle, per aver concesso troppo, ma il motivo è stato che il regista è stato molto bilanciato ed equilibrato nelle sue richieste per questo film ed allora gli ho voluto concedere tutto quello che voleva, anche se alcuni mi dicevano "ma dai, questo non lo nota nessuno, lasciamo perdere." Poi ha beccato anche un paio di cosette dopo che il flm era stato stampato, allora abbiamo modificato la versione blu-ray e quella per il 3D che era digitale e si riusciva ancora a correggere. E' un po' la nostra filosofia: ci sono tanti difetti che vediamo quando ormai è troppo tardi, anche cose che lo spettatore non noterebbe, ma la nostra idea è di fare un prodotto di qualità e visto che una volta andato in stampa non si può più cambiare, fino all'ultimo momento cerchiamo di correggere tutto il possibile. Facciamo i film per noi stessi, quindi ognuno si sente responsabile di quello che sta facendo, ed il tutto è permeato da una passione che viene condivisa. E' meglio lavorare con degli esaltati che lavorano con dedizione, piuttosto che con qualcuno che lavora con noncuranza, con un atteggiamento che rischia di diffondersi a tutto il suo gruppo e fa sì che un bel giorno ti accorgi che la qualità è scesa; quindi io sono contento quando ho nel mio gruppo quelli che chiamo gli esauriti.

Il fatto di sapere che il film andrà realizzato in 3D, inteso nel senso di stereografia, cambia qualcosa nella lavorazione? Guido Quaroni: Pensavamo molto di più quando hanno proposto Wall-E in 3D, che poi non si è riuscito a fare perchè era troppo tardi nella fase produttiva. Il regista di Up, che è stato il nostro primo film stereografico, era terrorizzato e diceva "come faccio, ora devo pensare a due film". Invece in pratica Up e Toy Story 3 hanno solo due scene diverse tra le due versioni, praticamente niente. Alla fine, per come la vediamo noi, il film in due dimensioni funziona benissimo anche in tre e vivecersa. Il layout è stato fatto in 2D, perchè ovviamente è molto più semplice che lavorare con gli occhialini, poi abbiamo la strumentazione per indossarli e vedere al volo l'effetto in tre dimensioni, ma almeno per ora le modifiche sono minime. Ripeto: la filosofia della Pixar è di fare due bei film, quindi un po' non capiamo le dichiarazioni di chi dice "fatto per il 3D". Per esempio tutto l'effetto delle profondità di campo, di sfocare gli oggetti in secondo piano per creare profondità, non è molto usato da chi fa film in 3D, perchè non serve, mentre noi abbiamo preferito non modificare questo aspetto tra le due versioni, salvo pochissime eccezioni quando era eccessivamente spinta. Cerchiamo di fare un unico film che funzioni in tutti i casi; questo non per sminuore il 3D ritenendolo non importante, ma perchè in Piaxr siamo abbastanza corservativi nell'approccio. E' ovvio che in 3D il film ha un impatto maggiore, ma non riteniamo che in due dimensioni sia noioso o gli manchi qualcosa. Sinceramente spero che il pubblico all'uscita dal film il 3D non lo abbia proprio considerato, che abbia sorriso, che si sia emozionato per la chiusura del cerchio di Toy Story, ma non che sia rimasto colpito dalla terza dimensione.

Ultimamente vi state concentrando un po' sui sequel... Guido Quaroni: Non è che ci stiamo concentrando, diciamo che non è sempre facile avere idee nuove; questo non vuol dire che ci manchino le idee, perchè sarebbe sbagliato, ma non è facile avere personaggi sempre nuovi e originali. Per Toy Story 3 è stato proprio un caso particolare ed ho assistito io in prima persona alla nascita dell'idea, che riguarda il cosa accade quando il proprietario dei giocattoli cresce. E' stato un grande sollievo quando la Disney ha comprato la Pixar perchè Toy Story è tornato a casa, dandoci la possibilità di tornare a lavorarci. Anche per Cars 2 c'è un'idea particolare alla base, ma ovviamente, è inutile negarlo, c'è anche un problema di marketing, di riproporre personaggi che possono funzionare ancora, anche perchè abbiamo altri film che non sono altrettanto validi dal punto di vista del merchandising. Up per esempio è stato un film abbastanza rischioso ed anche il film dopo Cars 2 sarà un prodotto innovativo, con una regista donna, la storia di un rapporto madre/figlia ed una grande complessità dal punto di vista visivo, quindi ci stavano bene due sequel per bilanciare un po', andando un po' più sul sicuro rispetto ad altre produzioni più innovative. Poi quello di Toy Story è un sequel anche bello da raccontare, perchè a una certa distanza dai precedenti e c'è la curiosità di vedere l'evoluzione dei personaggi in tutti questi anni. Poi è capitato che finissero uno dopo l'altro, ma non ne siamo contenti, perchè inizialmente c'era Newt che sarebbe dovuto essere tra i due. Poi è stato spostato a dopo Cars 2 ed infine messo in soffitta, ma sono cose che non si riescono sempre a prevedere nella prima fase di lavorazione.

Prima ci ha detto che solo dopo una prima fase di lavorazione il film riceve il green light per andare avanti. Capita spesso che un progetto non lo riceva e si fermi? Guido Quaroni: Sì, capita a tanti progetti ed anche questo è un aspetto da tener presente nella pianificazione. Dobbiamo vivere nel mondo reale, quindi abbiamo accettato l'idea che dobbiamo fare almeno un film all'anno per sostenere i costi che abbiamo. Speriamo che si capisca che tutti i film li facciamo perchè amiamo l'idea e la storia che vogliamo raccontare, come lo stesso Cars 2 o Toy Story 3. Le idee vengono proposte sempre dai registi che le vogliono dirigere, e quella che viene proposta è appunto una storia, non si parte dall'idea di dover fare un film per venderne i giocattoli. Infatti è molto bello che la Disney ci abbia permesso di fare Up, che in pratica non aveva merchandising.

Di tutti i film a cui hai lavorato, qual è quello a cui sei più legato?

Guido Quaroni: Monsters & Co., anche perchè è il film più originale che abbiamo mai fatto e toccava una corda molto vicina ai bambini. Spesso andiamo a toccare aspetti più vicini agli adulti, ma questo film si concentrava l'emotività dei bambini che hanno paura dei mostri la notte. Mi sono proposto per lavorare al seguito perchè mi piace l'idea di tornare ad immergermi in quel mondo.

Un'ultima curiosità: tornerai a dare la voce a Guido in Cars 2? Guido Quaroni: Certo! E' la prima cosa che ho chiesto, altrimenti non ci avrei lavorato [scherza]