Recensione L'arte di cavarsela (2011)

Nonostante la critica americana si sia affrettata ad archiviarlo come l'ennesimo prodotto giovanile con atmosfere da commedia romantica, L'arte di cavarsela aggiunge degli elementi interessanti all'interno di un genere che da John Hughes ad oggi ha subito delle variazioni sul tema non sempre costruttive.

Storia d'amore e di altri disastri

La quotidianità di George è complessa, non fosse altro che per una naturale propensione al fatalismo che fa di lui l'ultimo esistenzialista tra i teenager newyorkesi. Dietro il suo street style un po' casuale ed un'attitudine artistica ancora non pienamente sviluppata, il ragazzo medita sulla precarietà dell'esistenza umana e sulle sue riflessioni costruisce la filosofia del disimpegno che, con un pizzico di malizia giovanile, lo induce a crogiolarsi in una presunta mancanza di stimoli. Ma, nonostante la ferma intenzione di rimanere al sicuro dietro i confini rassicuranti di un'originale solitudine, George è destinato a diventare protagonista di un futuro che non ha minimamente contemplato. La bellezza delicata di Sally e la condivisione di una intimità emotiva mai sperimentata fino a quel momento lo rendono vittima predestinata dell'amore giovanile che, per sua stessa definizione e per l'inadeguatezza dei due protagonisti, sembra destinato a non avere alcuna possibilità. Così tra lezioni d'arte, un rendimento scolastico sempre più precario ed una solidità famigliare inesistente, i due ragazzi sperimentano la loro diseducazione sentimentale in un gioco allo stesso tempo tenero e impietoso. Solo dopo aver commesso degli errori e non aver agito per paura di affrontare i propri fallimenti, George e Sally accettano il rischio di un futuro insieme, forti della consapevolezza che in amore come nella vita l'importante è sapersela cavare.


Presentato in anteprima al Sundance Film Festival di Robert Redford con il titolo Homework e distribuito in poche copie sui grandi schermi statunitensi , L'arte di cavarsela sembra dover affrontare la stessa sommessa accoglienza anche in Italia. Eppure, nonostante la critica americana si sia affrettata ad archiviarlo come l'ennesimo prodotto giovanile con atmosfere da commedia romantica, l'esordio alla regia di Gavin Wiesen aggiunge degli elementi interessanti all'interno di un genere che da John Hughes ad oggi ha subito delle variazioni sul tema non sempre costruttive. Così, pur non presentando una struttura narrativa che brilla per originalità, il film ha il pregio di affidarsi ad un piacevole e insolito realismo che unisce in un corpo solo ambientazione e personaggi.

In questo modo, abbandonati al loro destino le varie mean girls ed i bravi ragazzi modello Zac Efron che negli ultimi anni hanno popolato fantomatiche high school californiane, il regista sceglie di dare voce ad un romanticismo meno cool ma sicuramente più consapevole per raccontare la passione giovanile con toni adulti. Riflesso di questa maturità non casuale sono i personaggi di George (Freddie Highmore) e Sally (Emma Roberts, nipote della più nota Julia Roberts) che, finalmente fuori dalla follia adolescenziale dei prom e dei primi appuntamenti, si muovono con naturalezza lungo le strade di una città moderatamente riconoscibile inseguendo e allo stesso tempo fuggendo un sentimento cui non riescono a dare voce.
Certo la scelta dell'ambiente newyorkese contribuisce ad arricchire la vicenda di un'atmosfera sofisticata senza alcun bisogno d'intrufolarsi nei presunti lussi dell'Upper Est Side, ma a regalare un elemento di eccezionalità a quest'ennesimo percorso di crescita nel nome dell'amore è soprattutto il volto insolito di Freddie Highmore che, grazie alla sua imperturbabilità britannica e all'esperienza acquisita precocemente sul set accanto a Johnny Depp (Neverland - Un sogno per la vita, La fabbrica di cioccolato), a soli diciannove anni fa sfoggio di una capacità scenica capace di riprodurre l'incanto della credibilità. Naturale, fluida e consapevole nei movimenti come nelle parole, la sua tecnica "invisibile" bene si adatta alla rappresentazione di una intensità non forzata e di una solitudine mai urlata. Il suo George, pur nella rappresentazione della diversità, seduce più di qualsiasi presunto sex symbol dal fisico atletico e dal sorriso incantatore che, dopo un intensa quanto imporovvisa adorazione è destinato ad una veloce sostituzione nell'immaginario adolescenziale. Per questo motivo, grazie anche ad un aspetto "introverso" e ad una insolita complessità culturale, l'eroe, romantico e crepuscolare quanto basta per non cadere nello stereotipo del disadattato, riesce a sovrastare le ingenuità di un'opera a tratti imperfetta nella struttura e nella scrittura, regalandole inaspettatamente il valore del racconto.

Movieplayer.it

4.0/5