Recensione Pinocchio (2012)

Il Pinocchio di d'Alò dà la sensazione di sfogliare velocemente un libro illustrato, soffermandosi su alcuni passaggi per assaporarne le suggestioni, ma sorvolando superficialmente su altri. Uno sviluppo che non riesce a rendere la storia di Collodi nella sua complessità.

(Ri)vivere una favola

E' tra le più celebri fiabe italiane, quella del Pinocchio di Collodi. Il mito del burattino che vuol diventare umano, del naso che si allunga quando dice bugie, della trasformazione in ciuchino ed in generale del profondo moralismo che ha accompagnato la crescita di tutti noi. Una popolarità che non rende facile la trasposizione cinematografica, soprattutto se si tratta di una rivisitazione animata che segue altri adattamenti del passato, più o meno riusciti, uno dei quali proprio realizzato con la tecnica dell'animazione da quello che è a tutt'oggi il suo maggior rappresentante occidentale.
Una sfida che ha visto fallire di recente un caposaldo del cinema toscano come Roberto Benigni, ma che Enzo d'Alò ha deciso di intraprendere e portare avanti nel corso degli anni non senza difficoltà o ripensamenti. Più riscritture, insieme ad Umberto Marino, a partire dal 2000, per trovare quella chiave di lettura adeguata a giustificare questo nuovo adattamento ed a rendere comprensibile il tono moraleggiante dell'opera originale, una chiave di lettura che l'autore toscano ha trovato nel dramma della morte del padre, che l'ha portato a vedere l'opera nell'ottica del rapporto padre/figlio.


Il Pinocchio di d'Alò è un'opera ambiziosa ed al tempo stesso delicata, lineare ed insieme creativa, concreta ed onirica. E' un film fatto di contrasti, che alterna momenti di estrema semplicità ad altri caratterizzati da costruzioni visive intriganti e coinvolgenti, coreografie di personaggi, forme e colori. Anche stilisticamente, il tratto dei fondali dai toni pittorici si pone in contrasto con quello dei personaggi dalla colorazione più omogenea e vivace, definendo uno stile, ideato da Lorenzo Mattotti, a cui non mancano motivi di interesse.
Ma non sembra esserci un equilibrio in questi contrasti, soprattutto dal punto di vista narrativo: la storia scorre fin troppo veloce, per fermarsi nelle sequenze che fanno da sfondo alle canzoni, tutte composte da Lucio Dalla, accompagnate da una messa in scena complessa, originale, dal taglio artistico e momenti onirici. Un'esplosione di creatività che fa storcere il naso in confronto alla frettolosa semplicità su cui sorvola su altri snodi principali della storia, quei momenti che non potevano mancare perchè fanno parte dell'idea che tutti abbiamo della favola del burattino.

La sensazione è quella, richiamata anche dallo stesso autore, di sfogliare velocemente un libro illustrato, soffermandosi su alcuni passaggi per assaporarne le suggestioni, ma sorvolando superficialmente su altri. La ricca storia di Pinocchio non traspare nella sua interezza con uno sviluppo così strutturato e semplificato, che valorizza soprattutto i momenti musicali, alcuni dei quali anche particolarmente riusciti e ben costruiti, ma trascura l'aspetto narrativo.
Dal punto di vista di adattamento della storia originale, il progetto di d'Alò non è riuscito, perchè non riesce ad offrire una nuova versione, e visione, dell'opera di Collodi: nei momenti più noti, dai piedi bruciati al ventre della balena, quella che torna alla mente è la messa in scena dell'ormai classico di Comencini e questo vuol dire che la sua rappresentazione di quei momenti resta ancora viva e insuperata nel nostro immaginario collettivo.

Movieplayer.it

3.0/5