Recensione Venere in pelliccia (2013)

Ancora una volta Polanski parte dal teatro e lo trasforma in grande cinema, mostrando una visione ed una capacità tecnica che non si affievolisce col passare degli anni, indice di un purissimo talento.

Schiavo di scena

Una lenta carrellata su una strada immersa nella foschia ci porta all'ingresso di un teatro parigino, dove un cartello scritto a mano ci indica che sono in corso i provini per la Venere in pelliccia. In realtà i provini sono terminati e l'autore - o meglio, adattatore per la scena del noto romanzo-scandalo di Leopold von Sacher-Masoch del 1870, che una volta entrati sentiamo parlare a telefono, è deluso per la difficoltà di trovare la sua Vanda.
La nuova arrivata, irritata e bagnata per la pioggia, cerca di convincerlo ad ascoltarla ugualmente nonostante sia tardi, ma l'uomo è irremovibile: ha bisogno di andare a casa e rilassarsi. Ma l'attrice è insistente, oltre che volgarotta e per niente sofisticata, e per il regista è più semplice e rapido darle la possibilità che chiede e mandarla via, certo che non vada bene per la parte.
E poi accade quello che non si sarebbe aspettato: la donna regola le luci come una professionista per creare la giusta atmosfera, tira fuori ed indossa il costume perfetto ed entra nel ruolo come se si trasformasse.


Battuta dopo battuta, con una naturalezza quasi sovrannaturale, Vanda diventa la Vanda della pièce e coinvolge il regista Thomas nel testo. I due entrano ed escono dai rispettivi personaggi e costruiscono un rapporto che si sovrappone ed interseca con le loro controparti fittizie, decostruendo e trovando nuovi significati sia al copione di Thomas sia alla vita stessa di lui.
Come e più di Carnage, Venus in Furs di Roman Polanski, in concorso a Cannes 2013, è un film essenziale nella sua messa in scena, ma ricchissimo e stratificato a livello di scrittura: due soli attori in scena per l'ora e trentacinque di durata, scenografia e luci teatrali, sceneggiatura che si muove tra più piani che si influenzano tra loro con l'evolvere dei personaggi e del rapporto tra i due.
Uno script firmato dallo stessi Polanski con David Ives da una commedia di quest'ultimo e che brilla di (auto)ironia, citazioni e dialoghi intelligenti, nel quale non è difficile scorgere una certa dose di autocritica da parte del regista franco-polacco.

Inutile dire che un film del genere non può funzionare senza una prova di valore di entrambi gli interpreti e Polanski può avvalersi di due protagonisti perfetti per i rispettivi ruoli: Emmanuelle Seigner, attuale moglie del regista, si muove tra le due Vanda con naturalezza, alternando la schietta volgarità della prima alla decisa dolcezza della seconda, senza mai affievolire la forza sprigionata dalla sua figura; Mathieu Amalric si veste letteralmente da Polanski (sembra di vedere il giovane Roman de L'inquilino del terzo piano) e comunica orgoglio, insicurezze e fragilità del suo Thomas. È inoltre tangibile l'alchimia tra i due, il modo in cui le loro battute si alternano e i loro corpi si influenzano pur toccandosi raramente.

Con maestria il regista gestisce la scena, con luci e suoni (magnifici i lievi effetti che sottolineano gesti fittizi: il tintinnio del cucchiano mentre fingono di prendere un caffè; il fruscio della carta durante la firma di un finto contratto), spazi, ombre e musica. Ancora una volta Polanski parte dal teatro e lo trasforma in grande cinema, mostrando una visione ed una capacità tecnica che non si affievolisce col passare degli anni, indice di un purissimo talento.

Movieplayer.it

4.0/5