Recensione Ulidi piccola mia (2011)

La disperazione di Paola-Ulidi, le sue crisi violente e gli scatti d'orgoglio bastano, assieme allo sguardo rigoroso di Zoni, a fare di Ulidi piccola mia un'affascinante opera prima.

Tra le pagine chiare e le pagine scure

E' mattina e la sveglia interrompe il sonno di Paola, una ragazza che vive in una casa famiglia assieme ad altre coetanee. Non è una come tutte. Deve ancora compiere la maggiore età e già ha subito una lunga serie di traumi. Problemi con cui ancora non ha fatto del tutto i conti, come il rapporto con i vecchi genitori e in generale con tutte le figure che rappresentano l'autorità. Questo essere diversa dagli altri è in realtà il frutto di un percorso affatto semplice alla riconquista della propria umanità, disintegrata in anni di rapporti senza affetto e di violenze più o meno visibili. Esordio cinematografico di Mateo Zoni, Ulidi piccola mia, primo film italiano in concorso al Torino Film Festival 2011, nasce da uno spettacolo teatrale in cui una delle attrici cantava una poesia di Mariangela Gualtieri, Giuro per i miei denti da latte. Un verso in particolare, 'Giuro che io salverò la delicatezza mia' _ è risuonato nella testa del cineasta parmense come una dichiarazione d'intenti, un impegno a non perdere mai la propria sensibilità e a difenderla da tutto. Quell'attrice era Paola Pugnetti e a lei Zoni consegna le chiavi della storia di Ulidi piccola mia. Paola è una giovane donna che ad un passo dal baratro (un doppio tentativo di suicidio e la tendenza all'autolesionismo) scopre che vuole tornare ad essere sensibile e accetta di vivere in una casa famiglia, dopo il ricovero in un reparto psichiatrico ('_La settimana più brutta della mia vita').


A metà tra il documentario vero e proprio e la fiction, il lavoro di Zoni funziona su entrambi i fronti, nonostante il confine tra queste forme linguistiche sia impercettibile e talune volte poche decifrabile. Ciò che colpisce nel lavoro del regista emiliano, oltre alla messa in scena minuziosa, è proprio il modo in cui viene esaltata la ricchezza dei personaggi e di Paola in particolare, una figura di cui veniamo a sapere molto grazie alle interviste con i genitori. Il padre Giancarlo è un contadino che ha 'sperperato' i suoi soldi comprando libri; se la prende con gli amici del figlio minore Dante, chiamandoli delinquenti, perché lo fanno diventare un perdigiorno. La madre Mina è una donna di origine marocchina devota a Dio e alla famiglia; il genere di madre che fa la cresta sulla spesa per regalare qualche spicciolo ai figli. Un tempo belli e giovani sono adesso due persone anziane con una primogenita problematica che vuole essere pronta a camminare con le sue gambe. Seguiamo Paola mentre svolge il lavoro di parrucchiera, nei momenti bui delle crisi, quando festeggia il suo compleanno, con gli amici della comunità e con l'ingombrante famiglia.

Non conta il passato di Paola, quello che l'ha fatta diventare così e che lei stessa svela ad un'amica (un abuso subito in tenerissima età e un rapporto difficile con il papà); ciò che emerge e che impreziosisce la pellicola di Zoni è il presente di questa ragazza incline ad un divertito turpiloquio, a volte sovrastata dalla rabbia, ma capace di riflessioni disarmanti. 'Non sono arrivata qui perché mia madre mi ha bagnato con l'acqua benedetta, ma perché ho lavorato duramente per quattro anni', rivendica con orgoglio il giorno del suo diciottesimo compleanno, al termine dell'ennesimo alterco con la mamma. Quattro anni passati in una comunità di recupero, a contatto con persone come lei. Sbalestrate, iraconde, costantemente sopra le righe anche le amiche di Paola cercano di 'salvare la delicatezza'. E la disperazione di Paola-Ulidi, le sue crisi violente e gli scatti d'orgoglio bastano, assieme allo sguardo rigoroso di Zoni, a fare di Ulidi piccola un'affascinante opera prima.

Movieplayer.it

3.0/5