Recensione Le idi di marzo (2011)

Ironia tagliente, dialoghi affilati come lame di coltello, faccia a faccia aspri che lasciano il segno ed arrivano a toccare le corde giuste tenendo sempre alta l'attenzione dello spettatore, catturato nella fitta e avvincente trama intessuta da George Clooney.

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L'apertura della Mostra del Cinema di Venezia numero 68 è di quelle che si faranno ricordare. E per fortuna non solo per il gossip da parrucchiera o per le lussureggianti passeggiate dei divi del primo giorno sul red carpet.
E' infatti con applausi convinti ed un religiosa partecipazione in sala che i tantissimi giornalisti presenti nella Sala Darsena hanno accolto Le idi di marzo, quarto film da regista di George Clooney che ha aperto in pompa magna la kermesse lagunare.
Prodotto dalla Smokehouse di George Clooney e Grant Heslov insieme alla Appian Way Productions di Leonardo DiCaprio, il film è tratto dalla piece teatrale Farragut North, scritta nel 2004 dal giovane scrittore Beau Willimon che fece tesoro della sua esperienza appena conclusa in Iowa all'interno dello staff dell'aspirante candidato alla Presidenza Howard Dean.


Quello che Clooney porta sul grande schermo è un avvincente intrigo politico ambientato durante gli acerrimi scontri elettorali delle primarie americane in Ohio per la candidatura alla presidenza del Partito Democratico, ambita dal governatore Mike Morris (Clooney) e dal suo avversario Pullman. Deliri di onnipotenza, regole infrante senza alcuna remora e vergognose manipolazioni del processo democratico disegnano i contorni di una guerra all'ultimo voto, una battaglia senza esclusione di colpi mirata all'occupazione del posto più importante della nazione. Il tutto visto con gli occhi del giovane addetto stampa del governatore, il giovane Stephen Meyers (Ryan Gosling), un idealista considerato da tutti il migliore sulla piazza per lealtà e diplomazia ma che alla fine della fiera sarà costretto, suo malgrado, a cambiare radicalmente la sua visione del mondo e a scendere a compromessi con se stesso pur di arrivare al suo obiettivo.

Grande prova per Ryan Gosling, assoluto protagonista della scena dal primo all'ultimo minuto, attore sagace dallo sguardo beffardo che riesce nell'ardua impresa di rubare il campo al divo Clooney che per sé ha ritagliato un ruolo decisamente minore, cinico e distaccato come pochi ne ha avuti in passato, ma dal grande potenziale drammatico. Una sfida recitativa superata a pieni voti visto anche il ruolo cruciale per il funzionamento dell'intero film che Clooney ha affidato sapientemente all'attore già protagonista a Cannes con l'osannato Drive di Nicolas Winding Refn, disegnando su di lui un personaggio duplice e scomodo che subisce una dolorosa e traumatica evoluzione morale. Un thriller teso, Le idi di marzo, che svela il dietro le quinte della politica americana senza appesantire lo spettatore con divagazioni in politichese o forzature di sorta raccontando senza timori ipocrisie, giochi di potere, compromessi, ricatti, strategie, ruffianerie di facciata, colpi bassi a ripetizione, complotti e intrighi sessuali che si susseguono all'ombra di una gigantesca bandiera a stelle e strisce.
Grandiosi Philip Seymour Hoffman e Paul Giamatti in due ruoli collaterali ma assai efficaci, agli antipodi come ideali e di grande impatto sulla narrazione, bravissima anche la giovane Evan Rachel Wood nel ruolo della stagista, fondamentale nella svolta thriller del film che segna un repentino cambio di ritmo che ad un certo punto si fa decisamente più incalzante.
Ironia tagliente, dialoghi affilati come lame di coltello, faccia a faccia aspri che lasciano il segno ed arrivano a toccare le corde giuste tenendo sempre alta l'attenzione dello spettatore, letteralmente catturato nella fitta trama tessuta da Clooney che si conferma come uno dei cineasti più brillanti e talentuosi degli ultimi dieci anni. Sorprende ancora una volta per l'eleganza registica, per l'audacia interpretativa, per l'accuratezza della sceneggiatura (scritta a quattro mani con il suo socio in affari Heslov) e per la scelta del cast che ha dato vita ad un'opera corale di straordinaria intensità emotiva.

Volti che trasudano tensione quelli che vediamo ne Le idi di marzo, un film si apre e si chiude con l'immagine di un uomo al buio posizionato davanti a un microfono per una prova audio. A parlare però, alla fine, non è più lo stesso di prima ma un uomo profondamente cambiato, che ha perso entusiasmo e, quel che è più grave, ha perso la dignità sacrificandola in nome del potere e della vendetta.

Movieplayer.it

4.0/5