Recensione La collina dei papaveri (2011)

Al suo secondo lungometraggio, Goro Miyazaki decide di affidarsi a una storia scritta dal padre Hayao, che tocca alcuni dei temi preferiti dall'illustre genitore, pur riportati in un contesto realistico e ben delineato storicamente.

La collina della speranza

Giappone, 1963. Il paese, a un anno dalle Olimpiadi di Tokyo, sta attraversando un periodo di impetuosa crescita economica, che lo porterà definitivamente fuori dalle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale trasformandolo in un'autentica potenza mondiale. Sullo sfondo del villaggio portuale di Yokohama si snoda la storia di Umi, studentessa liceale che cura anche la pensione di famiglia dopo la tragica perdita del padre, marinaio rimasto ucciso durante la guerra di Corea, e la partenza per gli Stati Uniti della madre. La ragazza, ogni mattina, innalza una bandiera di segnalazione, che nel gergo dei marinai significa "prego per un viaggio sicuro": un auspicio che Umi rivolgeva al padre prima di ogni suo viaggio, e che ora continua a rivolgere ai tanti uomini che prendono il mare, rendendo contemporaneamente omaggio alla memoria del mai dimenticato genitore. Quando il diciassettenne Shun vede la segnalazione, rivolge una poesia alla ragazza; i due, conosciutisi in circostanze singolari durante una protesta studentesca, presto sviluppano un sincero affetto reciproco. Il motivo della protesta è la prevista demolizione del "Quartier Latin", la vecchia casa in legno della scuola, sede dei club scolastici e sorta di scrigno della memoria per le tante generazioni che hanno attraversato l'istituto. Proprio dal passato, però, arriva una rivelazione che lega le storie dei due ragazzi, e che sembra un ostacolo insormontabile per il loro rapporto...


Arrivato al suo secondo lungometraggio, Goro Miyazaki decide di affidarsi a una storia scritta da papà Hayao, che tocca alcuni dei temi preferiti dall'illustre genitore, pur riportati in un contesto realistico e ben delineato storicamente. La tensione tra tradizione e modernità, portata avanti in un contesto di trasformazione e di messa in discussione, da parte delle nuove generazioni, delle certezze dei "padri", il mare come elemento salvifico e mortale insieme, fonte di fascino e luogo di trasformazione ma anche portatore di pericolo e dolore, il gusto per le ardite costruzioni architettoniche e meccaniche, e per i fantasiosi interni che uniscono classicità e innovazione: tutto questo è facilmente ritrovabile in questo La collina dei papaveri, film in cui Miyazaki junior ha evidentemente fatto tesoro delle critiche ricevute col precedente I racconti di Terramare, limitandosi a tradurre in immagini una storia innervata dalla mano, e dalla fantasia, di Hayao. Quello che in effetti funziona maggiormente, nel film, è il clima nostalgico per un'epoca ingenua e contemporaneamente carica di speranze, la descrizione di una placida cittadina di mare con il tranquillo ottimismo dei suoi abitanti, la voglia di cambiare dei giovani che non si traduce mai in ribellione e conflitto, ma piuttosto nell'ansia di prendere in mano la propria vita poggiando sulle solide radici (quelle del Quartier Latin) costruite dai padri. E' fin troppo facile vedere, in questo, un elemento autobiografico inserito nella storia dal "figlio d'arte" Goro, ma anche, più in generale, l'attuale fase dello Studio Ghibli, in cui una nuova generazione di registi (tra i quali l'Hiromasa Yonebayashi di Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento) sono chiamati a prendere il testimone di una gloriosa tradizione.

Va tuttavia sottolineato che, da una storia già in sé lineare e minimalista (ispirata a un manga datato 1980) in cui è l'atmosfera più che gli eventi a suscitare interesse, Goro Miyazaki ha tratto un film sì gradevole, ma in sé piuttosto piatto; molto lontano dal lirismo e dal senso di meraviglia che sprigiona dalle immagini dei film, anche quelli meno riusciti, di Hayao. In parte ciò è senz'altro dovuto a un disegno meno personale e più "freddo", che se da una parte mostra il marchio inconfondibile dello Studio Ghibli, dall'altra risulta molto meno espressivo, nelle scelte cromatiche, dei più noti film della factory. Lo sviluppo narrativo in sé, comprese le due fondamentali svolte che la trama opera, è piuttosto prevedibile, ma in fondo non è questo il problema: quello che manca è quella "mano" in grado di far scaturire emozioni anche dalle situazioni più quotidiane e banali, quella che non si limita a tradurre in immagini una storia ma riesce anche a vivificarla col suo tocco personale e poetico. Nonostante ciò, non si deve pensare che La collina dei papaveri sia un film noioso o privo di emozione: è solo che, da un prodotto targato Ghibli, si è naturalmente, e forse erroneamente, portati a nutrire un certo tipo di aspettative. La colonna sonora, impreziosita dalla canzone principale cantata da Aoi Teshima, è bella e delicata, e il film rappresenta anche, col clima positivo che esprime, uno stimolo importante per un paese che sta attraversando un altro momento difficile della sua storia, dopo lo tsunami del marzo scorso e il disastro nucleare di Fukushima. Un prodotto minore ma non disprezzabile, quindi, gradevole e sincero nei suoi intenti: è abbastanza inutile, quindi, starsi oziosamente a domandare cosa sarebbe stato del film se al timone di regia ci fosse stato Miyazaki padre, anziché il meno dotato figlio d'arte.

Movieplayer.it

3.0/5