Recensione 7 psicopatici (2012)

'Stratificato' è il termine più azzeccato per descrivere il nuovo lavoro del talentuoso Martin McDonagh, un sofisticato esercizio di stile meta-cinematografico che può essere letto anche come una satira tagliente sul cinema di genere hollywoodiano e come una riflessione sul significato della violenza nella cultura americana.

Sette personaggi in cerca di uno sceneggiatore

Dispiace davvero che nel nostro paese sia ancora poco conosciuto e apprezzato il talento di Martin McDonagh, geniale autore d'origini irlandesi che, prima di cimentarsi col cinema (per certi versi approdo naturale della sua arte), ha avuto modo di esprimere il suo singolare estro sul palcoscenico, contribuendo a rinnovare radicalmente la scena teatrale inglese. Nonostante le evidenti affinità dello stile di McDonagh con il movimento pulp - basti pensare al ricorso esasperato e parossistico delle violenza, alla vocazione per il grottesco e per il politicamente scorretto, e allo sviscerato amore per il cinema di genere - non bisogna però fare l'errore di considerarlo semplicemente un epigono di Quentin Tarantino, di Roger Avary oppure di Irvine Welsh. Al contrario, McDonagh dimostra di possedere una poetica del tutto peculiare, caratterizzata da temi dominanti e da ossessioni ricorrenti (dal riferimento continuo alla cultura irlandese, alla presenza di animali feticcio nelle sue sceneggiature), tanto da poterlo definire a tutti gli effetti un autore dotato di una visione autonoma e assolutamente spiazzante.


Dimostra una notevole coerenza anche il percorso da lui intrapreso in ambito cinematografico, a partire dal fulminante esordio con il cortometraggio Six Shooter del 2006, che gli è valso l'Oscar: sorta di viaggio allucinatorio e quasi onirico, in cui già è presente il tema della schizofrenia. Il passaggio al lungometraggio arriva due anni dopo con il sottovalutato In Bruges - La coscienza dell'assassino, rivisitazione dei generi noir e buddy action in chiave surreale e grottesca, sostenuto dai suoi attori feticcio Colin Farrell e Brendan Gleeson. Pur possedendo una sua intrinseca carica ludica e ironica, il pulp di Martin McDonagh è molto diverso da quello di Quentin Tarantino: i personaggi da lui tratteggiati hanno una dimensione più umana (o disumana a seconda dei casi, ma comunque più vivida), e i suoi copioni contengono una carica eversiva dalla valenza implicitamente politica e morale.
7 psicopatici, nuova incursione cinematografica che segna per la prima volta lo sbarco del regista a Hollywood, se per certi aspetti prosegue il percorso circoscritto con il film precedente, per altri invece se ne discosta del tutto, a partire proprio dalla struttura narrativa. Mentre la sceneggiatura di In Bruges, infatti, possedeva un'impostazione ancora teatrale, concentrata interamente in uno spazio fisico e temporale limitato, quella di 7 psicopatici invece non sembra possedere un proprio baricentro, ma esplode letteralmente i numerosi frammenti e in molteplici livelli di racconto che si mescolano e si intersecano continuamente tra loro.

La figura retorica cardine cui ruota tutto il film, infatti, è quella del "racconto nel racconto" nello stile delle scatole cinesi, che si dipartono a partire dalla storia principale con protagonista lo sceneggiatore irlandese in crisi creativa Marty (Colin Farrell), alle prese con un bizzarro script intitolato per l'appunto "7 psicopatici". Man mano che lo scrittore riflette assieme allo stralunato amico Billy (Sam Rockwell) - a sua volta un po' fuori di testa - sui potenziali protagonisti del film, uno più assurdo dell'altro (da un serial killer quacchero a un prete vietnamita assassino di massa), è la stessa esistenza di Marty a popolarsi di un folto gruppo di psicopatici, in un continuo interscambio tra realtà e finzione. Tra questi un posto d'onore spetta al gangster Charlie (Woody Harrelson), disposto a tutto pur di ottenere indietro il suo affezionatissimo shi-tzu Bonny, sequestratogli da Billy e dal suo amico Hans (Christopher Walken) per ottenere un cospicuo riscatto. Ma questa è solo una delle molteplici sottotrame che si sviluppano nel film, costruito come un intricato intarsio, in cui almeno ciascun personaggio possiede un suo doppione su un altro livello di racconto.
"Stratificato" (termine messo in bocca anche a un personaggio del film) è l'aggettivo più azzeccato per descrivere 7 psicopatici, sofisticato esercizio di stile meta-cinematografico che può essere letto anche come una satira tagliente sul cinema di genere hollywoodiano e più in generale sul significato della violenza nella cultura americana. Forse un po' troppo cerebrale e teorico per riuscire ad appassionare per davvero, e privo di quella carica di umanità che invece emanavano i protagonisti di In Bruges, l'ultimo lavoro di McDonagh probabilmente metterà in difficoltà proprio i patiti del cinema action più semplice e lineare, che magari faranno fatica a cogliere tutti i numerosi spunti di riflessione presenti nel testo. Nonostante ciò, va detto che 7 psicopatici contiene anche numerosi momenti esilaranti di black comedy che rendono il film assolutamente godibile, grazie anche alle performance volutamente sopra le righe di un eccellente stuolo di interpreti, dai protagonisti Colin Farrell, Sam Rockwell e soprattutto un intenso Christopher Walken, fino a comprimari d'eccezione come Woody Harrelson e un irresistibile Tom Waits nel ruolo di uno squinternato serial killer con coniglio bianco al seguito.