Recensione 300 - L'alba di un impero (2014)

Più che un sequel, quello di Noam Murro è una sorta di 'midquel' del film di Zack Snyder, e ne riprende pienamente l'estetica, raccontando una battaglia svoltasi contemporaneamente a quella delle Termopili.

300 e non più 300

Non è esattamente un sequel, quello che Zack Snyder ha voluto dare al suo ormai cult movie del 2007, 300. Qualcuno ha parlato di prequel, qualcun altro di spin-off, mentre la realtà è che, come molti altri prodotti della serialità contemporanea, 300 - L'alba di un impero è un oggetto difficilmente definibile: forse un midquel, se proprio qualcuno volesse dargli un'etichetta (esercizio che siamo i primi a ritenere ozioso e inutile). Per capire meglio a cosa siamo di fronte, basterà notare che la graphic novel a cui il film (parzialmente) si ispira, Xerxes di Frank Miller, copre un arco di tempo maggiore di quello raccontato nella sua precedente opera, raccontando antefatti ed accadimenti più o meno direttamente collegati alla battaglia delle Termopili, e di fatto inglobandone gli eventi: il film, tuttavia, sceglie di concentrarsi in particolare su due battaglie, quelle di Capo Artemisio e Salamina, che videro in campo, nei due differenti fronti, lo stratega Temistocle, comandante della forza navale ateniese, e la regina di Caria, Artemisia, presentata come mente militare e politica del regno persiano. Tra gli eventi, vari rimandi a quanto narrato nel precedente film, la notizia della sconfitta dei 300 uomini di Leonida, e il ritorno di alcuni dei suoi protagonisti (tra questi, il re persiano Serse, e il gobbo traditore Efialte, che il film descriveva come principale responsabile della disfatta spartana).


(S)correttezza politica?
Come il precedente film, quello di Noam Murro (Snyder, mente del progetto, ha rinunciato alla regia preferendole quella de L'uomo d'acciaio) non va certo visto, e neanche approcciato, come ritratto storico. Se si vanno ad esaminare gli eventi, si troveranno anche qui tante discrepanze con quanto realmente raccontato dalla cronaca di quegli anni; ma anche questo sarebbe un esercizio inutile e fuorviante. Anche per quest'opera, infatti, siamo di fronte a un universo ben distinto da quello della storia, non privo di contaminazioni fantasy, e vicino piuttosto al mito e alle sue rielaborazioni (cinematografiche e non) contemporanee. Quello che preme sottolineare, tuttavia, è la limitazione di quell'enfasi cameratesca, muscolare e smaccatamente militarista, che aveva caratterizzato il primo 300, con le annesse, inevitabili accuse di fascismo: qui, il comandante Temistocle non perde occasione di sottolineare che la sua è una lotta per una Grecia unita, libera e soprattutto democratica; il personaggio si rivela persino un militare "democratico" nel momento in cui, dopo una disfatta, concede ai suoi uomini la facoltà di abbandonare la flotta. A più riprese viene sottolineata la distanza tra l'idea di società ateniese e quella spartana, così come il carattere "popolare" dell'esercito comandato dal militare, composto da contadini e persone del popolo, piuttosto che da soldati di professione.

Estetica replicante

La sottolineatura di un cambio di approccio nel modo di raccontare la storia, derivato certo dal suo diverso focus, ma anche (forse) da una scelta narrativa che ha voluto limitarne gli aspetti più "problematici", non cancella la sostanziale identità di approccio visivo tra quest'opera e quella di Snyder. Il massiccio uso del digitale, il green screen elevato a strumento espressivo privilegiato, la contaminazione decisiva con l'estetica da fumetto, gli inserti più prettamente fantasy (come la trasformazione in semi-dio del re persiano): tutte le scelte stilistiche, insomma, che resero il primo 300 un'opera così peculiare, e a suo modo seminale, nel cinema dello scorso decennio, vengono qui riproposte; al punto da rendere il regista, di fatto, un mero esecutore di direttive altrove impartite, e provenienti di nuovo, nella sostanza, dal duo Miller/Snyder. Non è un caso che il nome dell'israeliano Murro (proveniente dalla pubblicità, e comunque rivelatosi particolarmente adatto all'operazione) sia in secondo piano nei credits, e di fatto praticamente assente da tutti i lanci del film. Va detto, comunque, che i sette anni passati dall'uscita del primo film si sono rivelati un periodo, cinematograficamente, lungo. Il film di Snyder ha imposto il suo gusto visivo su tanto cinema successivo (nonché sulla televisione: basti pensare a una serie come Spartacus: sangue e sabbia) e la riproposizione di quell'identico approccio all'immagine non ha ora, inevitabilmente, lo stesso impatto. Una questione puramente cronologica e "anagrafica" che ha, tuttavia, il suo peso nella valutazione del film.

Epica eterna

Nel momento in cui gioca con i topoi, e li ripropone sfruttando quello che resta un comparto visivo adeguato e accattivante, 300 - L'alba di un impero ha comunque diverse frecce al suo arco. Metafora, quest'ultima, più che mai doverosa; visto che proprio da una freccia, scagliata dall'ancor giovane protagonista e diretta verso il vecchio re persiano, origina il desiderio di vendetta del futuro Serse, l'opportunismo calcolatore di Artemisia, e in definitiva tutto il successivo dipanarsi degli eventi. Un racconto di fato e vendetta, quindi, che segue le regole eterne della narrazione epica, proposte in un contesto da peplum, e si appoggia su una costruzione della tensione sicuramente efficace. Vanno sottolineati, tuttavia, alcuni limiti narrativi che, anche da questo punto di vista, rendono il film di Murro meno incisivo del suo predecessore: la cattiva gestione dello stesso personaggio di Serse, che scompare dalla scena per tre quarti di film, per poi riapparire solo per sottolineare, nei minuti finali, la sua sostanziale inettitudine; la poca efficacia del motivo della vendetta nelle file degli eroi, incarnato dal giovane Callisto, che ha il volto di Jack O'Connell; lo scarso carisma dello stesso protagonista, un Sullivan Stapleton che viene messo in ombra, a livello di resa scenica, dalla sua nemesi, l'inquietante ed efficace Artemisia interpretata da Eva Green. Proprio il dualismo tra i due, e l'interessante costruzione del personaggio della donna, femme fatale sui generis e villain di spessore, risultano alcuni dei pregi più evidenti del film. Ad essi, va senz'altro aggiunta la durata: contravvenendo a una moda che fa attestare, ormai, il metraggio dei blockbuster intorno alle due ore e mezza, Murro si limita a un final cut di 102 minuti, facendo guadagnare molto al suo film in fatto di scioltezza e fruibilità.

Movieplayer.it

3.0/5