Recensione La traque (2010)

Il film di Blossier sembra voler recuperare innanzitutto un'estetica di genere tipica degli anni '80, con un buon senso del ritmo e una discreta padronanza della tensione, ma senza molta inventiva.

Predatori transgenici

Nella tenuta di una famiglia di proprietari terrieri iniziano a verificarsi strani eventi. Nella palude attigua alla fattoria un cinghiale impazzito sta facendo strage di animali, mentre il capofamiglia, l'anziano Eric, ha iniziato a sviluppare una strana infezione cutanea. Nathan, medico e promesso sposo di Claire, inviso al padre di lei, viene convinto a partecipare a una battuta di caccia per scovare e uccidere il cinghiale; ma l'uomo è convinto che l'animale non sia l'unico problema con cui la famiglia dovrà fare i conti. Forse neanche il principale. Appena la caccia ha inizio, gli uomini si convincono rapidamente che l'intuizione di Nathan è corretta, mentre da cacciatori si trasformano rapidamente, e loro malgrado, in potenziali prede.
Questo Proie, esordio alla regia del francese Antoine Blossier, si inserisce nel rinnovato filone dell'horror d'oltralpe, che ormai da qualche anno sta riprendendo temi e motivi dei modelli storici statunitensi riadattandoli alla sensibilità del pubblico moderno. Certo vanno fatte delle distinzioni, perché se esempi come il devastante Martyrs presentano un approccio autoriale e una visione del genere soprattutto come strumento, recuperando l'idea di un horror che si fa espressione delle inquietudini più profonde della società contemporanea (al punto che il film di Pascal Laugier solo semplificando molto può esser fatto rientrare nel genere), altri come il recente The Horde o appunto questo Proie rientrano in una logica di puro intrattenimento, svuotata di qualsiasi ulteriore contenuto. Indubbiamente gli zombie del film di Yannick Dahan e Benjamin Rocher sono pur sempre debitori di quelli di George A. Romero, mentre le creature geneticamente modificate qui presenti possono rimandare a un generico monito ecologista contro lo sfruttamento dell'ambiente. Ma si tratta, com'è evidente specie qui, soprattutto di pretesti.

Il film di Blossier sembra voler recuperare innanzitutto un'estetica di genere tipica degli anni '80, rifacendosi a esempi di popcorn horror come Cujo di Lewis Teague o a misconosciuti esempi di b-movie come Alligator, diretto nel 1980 dallo stesso Teague. Lo fa, certo con un buon senso del ritmo e una discreta padronanza della tensione, ma, è bene dirlo, senza molta inventiva. La palude che è teatro della drammatica battuta di caccia viene vista come un luogo minaccioso, foriero di pericoli (almeno inizialmente) inimmaginabili, e nelle inquadrature notturne il senso di paranoia che ne risulta è ulteriormente rafforzato. Nella costruzione della tensione il regista è aiutato da espedienti come il sonoro, qui abbastanza ben sfruttato, e da una buona fotografia; gli spaventi che ne derivano sono in fondo godibili ed efficaci. Tutto, però, abbondantemente già visto, e anche abbastanza impersonale.
Uno dei punti deboli del film è certo la caratterizzazione dei personaggi, la banalità delle loro motivazioni, e la difficoltà nell'immedesimazione che ne deriva. Piuttosto risaputo il motivo dell'avversione della famiglia verso l'estraneo che sta per sposare la figlia, rozzamente definita la figura del padre di lei; addirittura abusato il tema dello sfruttamento selvaggio delle risorse naturali a scopo di profitto, senza pensare ai rischi che ne derivano. Solo il pessimismo del finale, in fondo, rappresenta un'autentica sorpresa in un film che fino ad allora ne aveva offerte ben poche: un happy ending negato che forse è l'unica cosa che davvero resta impressa in una pellicola che si lascia guardare e dimenticare rapidamente, intrattenimento da midnight movie ben confezionato ma fondamentalmente anonimo.

Movieplayer.it

3.0/5