Recensione Captain America: il primo vendicatore (2011)

L'esordio cinematografico di Cap rimane fedele all'immagine che hanno creato Joe Simon e Jack Kirby nel 1941: un bravo ragazzo, idealista e coraggioso, pronto a tutto per difendere la giustizia. Limitando al minimo la retorica, e grazie a un Chris Evans azzeccatissimo, Johnston ci regala un personaggio con cui è impossibile non entrare in empatia.

Non un soldato perfetto, ma un uomo buono

Quello che vogliamo da un supereroe è che combatta per difendere la giustizia, per proteggere i più deboli, per sventare ogni minaccia alla libertà. Gli chiediamo di sconfiggere i cattivi, di affrontare ogni giorno le responsabilità che le sue capacità superiori gli hanno portato in dote, se necessario di sacrificarsi. Ma, nonostante tutto questo, il supereroe deve rimanere uno di noi, deve rimanere umano, perché solo se ci capisce potrà aiutarci, solo conoscendo le nostre debolezze potrà fare buon uso della propria forza.
Steve Rogers, gracile ragazzo di Brooklyn, è umano, troppo umano, e le sue debolezze non potrebbe conoscerle meglio. La sua richiesta di arruolamento è stata respinta per ben cinque volte, in considerazione del fisico gracile e dell'asma che lo affligge, eppure Steve non riesce a rassegnarsi all'idea di non poter contribuire alla guerra contro i Nazisti. Il suo patriottismo lo porta addirittura a disertare un appuntamento galante, organizzato dall'amico Bucky alla vigilia della sua partenza per il fronte, per giocarsi un ultimo, disperato tentativo di entrare nell'esercito: Rogers fa così la conoscenza del dottor Abraham Erskine che, cogliendo in lui qualità particolari, decide di concedergli una possibilità, e non una possibilità qualunque. Il luminare intende infatti impiegare su Steve un siero di sua invenzione, progettato per amplificare le capacità fisiche e in grado, in definitiva, di dare vita al soldato perfetto. Ma la chiave della riuscita dell'esperimento sta proprio nella fragilità del ragazzo, perché solo chi ha conosciuto la debolezza può capire il valore del potere: un insegnamento imparato a caro prezzo, dopo che l'ambizioso Johann Schmidt, brillante scienziato nazista con cui Erskine era stato costretto a collaborare, ne aveva testato l'efficacia su se stesso, ottenendo il promesso irrobustimento fisico ma anche un'inquietante deformità, e soprattutto un'esasperazione delle proprie aspirazioni egemoniche. Forte di un misterioso artefatto, in grado di garantirgli una potenza bellica impossibile da affrontare con i metodi tradizionali, Schmidt è un nemico ben più temibile dello stesso Hitler, ed è nel suo annientamento che il nuovo Steve Rogers troverà la propria ragione di esistere.


Nonostante il buon esito della somministrazione del siero, il giovane soldato non sa infatti cosa farsene della propria prestanza fisica: snobbato dagli alti gradi dell'esercito, viene riciclato come strumento di propaganda e impiegato in un tour di spettacoli per incentivare l'appoggio economico alla guerra da parte della popolazione, come già furono gli spaesati protagonisti di Flags of our Fathers. E' questa prima parte, quella della genesi di Cap e della sua difficoltà nel dare un senso alla propria nuova identità, quella più introspettiva, in cui il protagonista esprime tutta la frustrazione che gli deriva dall'impotenza. I limiti fisici non avevano intaccato la volontà di Steve che, come un perfetto cittadino responsabile, ambiva solo a trovare il proprio ruolo nel mondo. Ma, una volta diventato adatto a ciò che pensava di dover fare, si è scoperto nuovamente rifiutato, ancora una volta costretto a seguire la strada che altri avevano deciso per lui, ancora una volta inutile. Si può dire che la trasformazione di Steve in Capitan America si compia in due atti: il primo, meramente fisico, il secondo, più intellettualmente consapevole, in cui la voglia di giustizia lo porterà a superare le imposizioni di un sistema a cui sentiva di dover obbedire per cieco patriottismo. Questo percorso di risoluzione della conflittualità tra eroe in potenza ed eroe in atto, tra volontà di servire e volontà di essere utile, conferisce al personaggio di Rogers una certa profondità, cui il film rinuncia nel corso della seconda parte, una volta che Cap ha preso coscienza di sé e delle proprie reali capacità. In questa fase non c'è più spazio per i dubbi o le incertezze, i motivi di riflessione sono pochi: con la stessa caparbietà di quando subiva i pestaggi nei vicoli, Steve sa che deve combattere i cattivi, con la stessa ingenua sicurezza sa che non deve scappare mai, perché "se scappi una volta non smetterai mai di farlo". Potrebbe sembrare una linea d'azione troppo semplicistica, specie rispetto a quella percorsa da altri supereroi, X-Men in testa, ben più incerti su come impiegare i propri poteri, ma questo Cap riflette lo spirito degli anni Quaranta, del personaggio creato da Joe Simon e Jack Kirby come propaganda anti-nazista, di quello che era, e che forse è ancora, il sogno americano. Ci sarà spazio, visti i sequel e le annunciate pellicole sui Vendicatori, per il Capitan America contemporaneo, impegnato in dispute morali, quando non in aperta ostilità, con l'amico Iron Man, ma adesso è l'eroe degli inizi, e Johnston ci racconta esattamente questo, riuscendo a farne comunque un personaggio vivo, a cui possiamo avvicinarci, nonostante la distanza temporale, grazie ad un idealismo e a un coraggio che non temono il passare degli anni.

Chris Evans, tanto nella versione gracile quando in quella ipertrofica, appare a proprio agio nell'incarnare il ragazzo dalla faccia pulita, dalle grandi speranze, insicuro nella vita e con le donne ma che non per questo rinuncia ad affrontare entrambe. Molto ben tratteggiato è infatti anche il rapporto con Peggy Carter, il primo, storico amore di Cap: un rapporto fatto di goffi tentativi, di incertezze e di imbarazzi, ma anche della fiducia che permetterà all'eroe di esistere. Altrettanto importante è la figura dell'amico Bucky, una sorta di modello ideale per lo Steve ante-siero, e con il quale il protagonista si confronterà anche in seguito alla propria evoluzione. Ma un eroe non è un eroe senza un cattivo, e il nemico giurato di Capitan America è sempre stato il Teschio Rosso, qui interpretato da un Hugo Weaving ancora una volta bravissimo nel conferire espressività alla propria versione mascherata. Quello di Schmidt è un personaggio ambiguo, non tanto nelle intenzioni, palesemente malvagie, quanto nel suo essere costantemente in bilico tra delirio di onnipotenza e lucida pianificazione, tra concretezza e vaneggiamento.
Il maggior successo del lavoro di Joe Johnston è quello di essere riuscito a dar vita a un film equilibrato, che rendesse giustizia all'eroe originale, così come era stato pensato dai suoi creatori, ma anche alle aspirazioni del pubblico di oggi, restio ad apprezzare la retorica che aveva fatto la fortuna della serie negli anni Quaranta. Allo stesso modo la pellicola risulta bilanciata nel ritmo, fatto di un alternarsi piacevole di scene d'azione, per forza di cose più numerose nella seconda parte, e sequenze introspettive. Memore dei suoi esordi, Johnston sa come gestire i momenti concitati senza cadere nella trappola del confusionario, e sono da apprezzare la varietà degli scenari e delle tecniche di combattimento utilizzate, che mettono in evidenza le potenzialità del famoso scudo, ben note agli appassionati del fumetto, così come un certo gusto per le inquadrature e per una messa in scena un po' retro del combattimento, debitrice dei primi albi e che viene garbatamente sottolineata da un uso del 3d non troppo invasivo.
Captain America: il primo Vendicatore non è il film più originale possibile, ma questa attenzione alla storia del personaggio e l'attinenza alla sua autentica personalità gettano le basi per un prosieguo fortunato della sua avventura cinematografica. Qui abbiamo avuto un assaggio del primo Cap, del personaggio che viveva in mondo ancora in bianco e nero, in cui buoni e cattivi se ne stavano a guardarsi in cagnesco dai due lati della barricata: deve ancora dimostrarci se, e come, saprà far fronte agli scenari ambigui della continuity Marvel, in cui non sarà più il solo ad essere speciale.

Movieplayer.it

3.0/5