Nicolas Winding Refn al Torino Film Festival

Ospite tra i più interessanti del TFF numero 27, il regista di origine danese è stato protagonista di una retrospettiva e di un incontro in cui ha raccontato la sua idea di cinema e una carriera avviatasi con il cult 'Pusher'.

Iniziano sempre sull'onda del tormento e dell'irrisolutezza le storie più affascinanti di certi cineasti "maledetti", registi che si sono fatti da soli, lontano dagli accademismi didattici o dalle consuete trafile carrieristiche. E' successo qualcosa di simile a Tarantino, Kitano, Lynch, Kim Ki-Duk e a mille altri geni del cinema contemporaneo oggi affermati ed esperti. Ed è successo qualcosa di analogo anche nella biografia di un autore che si presta a scrivere una bella pagina dell'arte cinematografica cui il Torino Film Festival ha reso omaggio con la seguita sezione monografica Rapporto confidenziale. Nicolas Winding Refn, nato in Danimarca nel 1970 (!), che ha vissuto svariati anni a New York, è uno studente mancato: espulso dall'American Academy of Dramatic Arts newyorkese, non ha fatto in tempo a iscriversi alla Danish Film School che già l'aveva lasciata. Poi un produttore ha notato un cortometraggio scritto, diretto e interpretato da lui e ha intuito le sue grandi potenzialità. Inizia così, si scrive per caso e si legge per (nostra) fortuna, la piacevole scoperta e formazione di un artista che risolleva le sorti del cinema europeo con gran classe.
Il suo esordio rappresenta una rielaborazione di quel famoso corto e diventa un cult discusso, un caso di studio presso le giovani generazioni di critici e spettatori: Pusher è un film dall'imprinting americano ma con il background e le atmosfere di Copenaghen, che mette in scena un infernale mondo popolato da prostitute e delinquenti, una dimensione da fumetto feroce, da pulp sotterraneo. Refn configura subito quei marchi di fabbrica che distingueranno la sua opera prima dagli altri film europei del '96 e che ritroveremo, declinati in altri sottotesti tematici e sotto il segno di varie contaminazioni di genere, nei film successivi: il ritmo veloce come un pugno o una coltellata sferzati con veemenza, una messa in scena coraggiosa della violenza, ma senza controcanti nichilistici, un ritratto psicologico dei personaggi sempre preciso e accurato.

Il successo strepitoso di Pusher spinge Refn a continuare dritto per la sua strada, scrollato dai formalismi che viziano un cinema benpensante, e a realizzare Bleeder, un affondo nella "normalità" della distruzione e una spirale della demolizione di una coppia di giovani. Il film, dramma amaro in cui il dolore implode come un blob impetuoso e inarrestabile nell'immagine, rivela il suo personale approccio e apporto meta filmico e meta testuale, impronta di una tendenza forse generazionale apprezzata e tradotta come slancio innovativo.

Birbante e spregiudicato l'artista danese realizza un film significativo e nello stesso tempo quasi shockante per la propria brillante carriera neo-nata: Fear X, scritto con Hubert Selby Jr., è un clamoroso flop al botteghino. L'opera probabilmente più visionaria di Refn viene rigettata dallo stesso pubblico che lo aveva incensato 7 anni prima: il film, che racconta la storia di un sorvegliante di un centro commerciale, un emblematico John Turturro, che vive un incubo lynchano tra dimensioni insolite e derive thriller, viene recepito male e manda sul lastrico il giovane regista.
Questa fase molto difficile verrà catturata dal documentario Gambler, realizzato da Phie Ambo, e spiegata soprattutto a posteriori, dopo che verrà finalmente superato l'empasse con i due sequel di Pusher che completano una trilogia quasi epica per la genesi, per l'originalità e per l'accoglienza.

Dopo aver chiuso il ciclo di Pusher Refn intraprende una nuova avventura con Bronson, che sarà distribuito da Movies Inspired di Torino, la cui uscita in sala è stata preceduta da Valhalla Rising, dramma spirituale che racconta sullo sfondo di una natura quasi invasiva la storia di un guerriero muto, uno schiavo animalesco e un gladiatore energico, che raggiunge le Americhe approdando tra gli indiani d'America nel corso di una crociata vichinga e in seguito a una sofferta vendetta. Incursioni avventurose e intimistiche, violenza sublimata e silenzi furibondi sradicano lo spettatore dalle aspettative e lo trascinano ai confini della durissima realtà lungo i cui margini ci traghetta il bravissimo Mads Mikkelsen, uno dei protagonisti del prossimo Clash of Titans di Louis Leterrier (Danny The Dog).

La strada di Refn è stata finora sempre tortuosa e spesso caratterizzata da picchi alti e baratri profondi: il luna park refniano ha alternato infatti ascese sorprendenti come l'inaspettato debutto nella cinematografia contemporanea e precipizi oscuri come il crollo finanziario, ma lui è riuscito a non arrendersi e, anzi, ha dimostrato di essere un continuo fiume in piena, dinamico e iperattivo, costantemente in "azione", per usare un termine tecnico.
Con Bronson Nicolas Winding Refn raggiunge una maturità artistica inseguita con slanci energici fin dagli esordi. Il film dipana la storia del detenuto più famoso e temuto della storia inglese, il cui vero nome era Michael Peterson alias Charlie Bronson. Messo in carcere per una modesta rapina a un ufficio postale, finisce per scontare più di trent'anni a causa di ripetuti comportamenti aggressivi nei confronti di guardie e detenuti. Sbattuto da un carcere all'altro, verrà anche trasferito in un centro penale-mentale per criminali affetti da patologie psichiatriche.

Costante machismo corpulento, delirio artistico e spettacolarizzazione pura della shockante violenza kubrickiana di Arancia meccanica: Bronson spiega le ali di un cineasta di chiaro talento. Refn continua ad affrontare tematiche diverse, variazioni sul tema dell'identità frantumata e plurima, dell'ultraviolenza corporale, della tortura psicologica e del protagonismo attoriale, qui identificato con un Charles Bronson grottesco come un joker distruttivo e autolesionista, interpretato dall'inquietante Tom Hardy.

Ma la visionarietà di Refn non è esaurita né accenna a de-limitarsi col tempo: all'incontro con la stampa a Torino il regista danese rivela che ha in cantiere ben tre progetti. Nel suo calderone iperattivo ri-bolle una sfrenata ambizione e un'indomabile creatività, l'unica religione cui continua a prestar fede. L'artista ha imparato dall'esperienza a usare una premura cautelativa che però non circoscrive la sua fantasia e la sua libertà. Ha oltrepassato la paura di ripetersi con la volontà di rigenerarsi con progetti nuovi, sempre dotati di sperimentazione e coraggiosi al punto da spingersi nelle zone d'ombra della violenza e del sesso, cui paragona l'arte del cinema. Restano fermi i suoi punti di riferimento cinematografici: primo tra tutti l'horror Non aprite quella porta e il regista Elia Kazan, che lo ha consigliato davanti a un gelato quand'era ancora sconosciuto. Curioso come un bambino che smanetta con il lego, sconnesso come una mente che macina sempre nuove contaminazioni, nuove influenze, nuove idee e nuove formule, Refn pensa al pubblico e s'ispira ai giovani, ci parla del futuro e confessa di avere un rimpianto "preattivo": quello di non poter toccare con mano i risultati che la potente tecnologia digitale permetterà di ottenere.

Nicolas Winding Refn se pensiamo alle sue opere l'impressione è che lei cerchi sempre la differenza. Quest'aspetto emerge particolarmente nei film del ciclo di Pusher e in Bronson. Come gestisce i suoi continui passaggi da un film all'altro, da un genere all'altro?

Nicolas Winding Refn: Penso che creare qualcosa sia sempre un modo molto interessante di osservare la vita. Ricordo che da piccolo avrei voluto diventare un disegnatore di giocattoli, ma poi sono diventato un collezionista di giocattoli, davvero ossessivo in questa passione. Provo sempre a realizzare qualcosa di diverso... Credo che il cinema in qualche modo sia qualcosa di assimilabile al sesso perché occorre sperimentare sempre per continuare ad andare avanti. Poi c'è anche la paura di ripetermi e per questo cerco ogni volta di realizzare qualcosa di diverso per non essere etichettato. Per esempio quando tutti si aspettavano che uscisse al cinema Valhalla Rising io ho finito prima Bronson. Le ragioni sono che non voglio sentirmi sotto controllo né voglio essere prevedibile perché voglio essere differente. Ricordo ancora che a 26 anni un giorno stavo prendendo un gelato con Elia Kazan e che lui mi diede come consiglio quello di fare sempre quello che sentivo di voler fare. Credo che se ci metti l'animo e segui le tue decisioni non puoi essere criticato per questo.
Sono due i nemici della creatività: il cattivo gusto e giocare sempre sicuro. Il vero carburante è la curiosità perché se non hai curiosità non puoi creare. È come quando da piccolo giochi con il lego che ti permette di essere vitale...
È davvero facile ripetersi se si è ossessionati da qualcosa: è come avere a che fare con il diavolo e devi cercare di sfidare te stesso. Per questo ho sempre continuato a sperimentare. Ho avuto finora due fasi: quella di Pusher, Bleeder e Fear X, durante la quale ho affrontato cose positive e negative con tanta umiltà, nella seconda fase ho realizzato buoni film senza voltarmi indietro nel passato. La mia curiosità era sempre viva.
La paura è una cosa terribile per la creatività, la devi abbracciare e trasformare in un amico. Non si può mai avere paura di fare qualcosa che è arte.

I suoi film sono caratterizzati da ritmi estremamente diversi: i film del ciclo di Pusher sono più veloci e adrenalinici, rimandano a Martin Scorsese e a Oliver Stone, mentre in Fear X si ravvisano contaminazioni lynchane con riferimenti a Strade perdute, anche se lei aveva dichiarato di essersi ispirato al surrealismo di Bunuel. C'è un film che è ha significato per lei un punto di partenza come regista?

Nicolas Winding Refn: Credo che ogni film che realizzo sia sotto l'influsso di un film diverso. Il mio film del cuore è però Non aprite quella porta, che io trovo una forma d'arte grandissima e in cui ho visto il potere della sublimazione delle immagini, della sublimazione del suono, della sublimazione dei sensi. È stato con quel film che ho capito per la prima volta che stavo guardando delle immagini e intanto nella mia testa succedeva qualcos'altro.
Per ogni film m'ispiro a quello che vedo: io cerco di sperimentare per trovare il mio linguaggio personale. È come quando cerchi di ripetere le parole dette da altri e tu stesso crei la parola. Chi dice che non pensa a chi è venuto prima secondo me mente.
Il linguaggio cinematografico è tecnica, non c'è niente di originale, ma è l'artista che crea la propria lingua, che inventa qualcosa che è sempre diverso grazie al suo approccio. Il film d'amore più grande di tutti i tempi è stato per me Aurora di Murnau. Ma anche i film di Bergman erano capolavori anche se li aveva fatti prima già Max Ophus. La base è sempre la stessa: il film è grammatica a cui il regista deve lavorare.

Cosa crede succeda nella testa dello spettatore dopo aver visto un suo film?

Nicolas Winding Refn: Non so: è difficile dirlo perché non sono un calcolatore né credo che nessuno si prenda questa responsabilità. Oggi si fanno film per ragioni sbagliate, io invece considero il cinema come una forma artistica che violenta lo spettatore. I film classici per esempio sono quelli che a me fanno viaggiare di più. C'è un impatto emozionale nella visione individuale. Se vai a Hollywood ti confronti con gli studios, devi pensare all'audience...Spesso si critica il mancato successo di un'opera pensando che il pubblico non si stato attento o che non abbia capito bene: secondo me quest'approccio è sbagliato perché oggi il pubblico è fatto di 15enni così veloci e così abituati a vedere quello che succede sullo schermo... Sono cresciuti con la tv e hanno subito un'esposizione enorme a questi mezzi. Perché il cinema possa sopravvivere bisognerebbe fare un ponte per questa generazione, fare in modo da far esplodere la nostra creatività proprio come loro fanno quando guardano i videogame con cui interagiscono. Oggi ci sono mezzi che hanno reso tutto questo più accessibile. È come tornare agli anni '20 in cui la cabina di proiezione sembrava l'ultima invenzione del secolo: oggi è la stessa cosa con il digitale. Quello che mi rattrista è che quando il futuro ci porterà grosse novità io non ci sarò. Bisogna quindi capire qual è l'approccio migliore al pubblico, un modo che però non dev'essere antico.

Visto l'enorme successo di Pusher, ha mai pensato, o magari ci sta pensando, a un Pusher IV? Cos'ha in serbo ancora per stupirci?

Nicolas Winding Refn: Ho appena concluso due accordi per due film, si tratta di due joint venture che metteranno i loro soldini in un salvadanaio mentre io inizierò a scrivere. Per la Wild Bunch girerò The Dying of the Light alla fine del prossimo anno a Miami, con un approccio simile alla storia di Pusher e con un elemento horror. L'altro film si chiama Only God Forgives e lo girerò a Bangkok. In entrambi ci saranno circostanze estreme con personaggi estremi, ma non voglio collegarli alla mia trilogia perché quello è un capitolo chiuso della mia esistenza: le somiglianze saranno presenti solo nelle circostanze dei personaggi. Girerò in inglese e con uno stile visuale molto diverso da Pusher. Si tratta di due film estremamente importanti, di due film feticcio per me. Prima di questi due progetti spero di andare anche negli States, dove spero di firmare per un film, con una star - ma non vuole rivelare ancora il nome - che girerò in Europa. Pur non avendo mai nutrito interesse per Hollywood, Hollywood si è interessata a me - sorride con orgoglio. Così ho deciso di darle una possibilità, ma lo farò a modo mio così riuscirò a non stare mai fermo e a fare qualcosa di nuovo. Quella che può essere la vera distinzione tra Only God Forgives e The Dying of the Light è che nel primo ci saranno molto sesso e poca violenza, mentre nell'altro poco sesso e molta violenza!! Quello che mi interessa ultimamente è realizzare film con tanto sesso proprio come Ray alla fine della sua carriera. Spero che non significherà per me la fine della mia carriera.

Com'è stata la sua esperienza qui al Torino Film Festival?

Nicolas Winding Refn: Sono molto felice di essere stato qui a Torino. Ho trascorso molto tempo a riguardare i film di Nicholas Ray e ho conosciuto Susan, la vedova Ray, che mi ha detto di aver trovato delle somiglianze tra noi due.