My Week With Marilyn: Simon Curtis al Festival di Roma

Il regista Simon Curtis ci svela i segreti del soggiorno inglese della Monroe sul set de Il principe e la ballerina.

La stella di Marilyn Monroe continua a brillare a decenni di distanza dalla scomparsa dell'attrice. Il fascino esercitato dalla morbida e sensuale diva, la cui fragilità era nota tanto quanto le sue forme voluttose e il sorriso ammiccante, ha ispirato registi, sceneggiatori e artisti visivi. Billy Wilder regalò alla Monroe due ruoli straordinari che la lanciarono nell'olimpo hollywoodiano e Andy Warhol la immortalò nelle sue opere inconfondibili trasformandola in un'icona pop immortale. Il regista Simon Curtis affronta la biografia della Monroe occupandosi, però, di un momento ben preciso della sua carriera: l'esperienza londinese sul set de Il principe e la ballerina quando la Monroe fu chiamata da Laurence Olivier al suo fianco nella speranza di conquistare un ruolo di primo piano come star cinematografica. Curtis ha affidato il delicato ruolo di protagonista alla splendida Michelle Williams, affiancandole un super cast all british capitanato da Kenneth Branagh e dalla rivelazione Eddie Redmayne. Purtroppo la schiva Michelle Williams non è intervenuta al Festival di Roma, lasciando il compito di riflettere sul film e sulla figura della Monroe al solo Curtis.

Come è nato questo progetto? Simon Curtis: Ho letto due libri sull'argomento scritti entrambi da Colin Clark, all'epoca giovane appassionato di cinema che riuscì a fare da assistente a Olivier. The Prince, The Showgirl and Me era più classico, ma è stato il secondo, My Week With Marilyn a farmi venire l'idea di combinarli.

Come sei giunto alla decisione di affidare a Michelle Williams il ruolo di protagonista?
Sono molto orgoglio della Marilyn di Michelle e ho avuto la fortuna di averla con me in questa avventura. Michelle ha avuto il coraggio di accettare un ruolo così difficile e rischioso. Nel 1936 Marilyn aveva trent'anni e c'erano molte attrici sue coetanee pronte a interpretarla, ma Michelle è stata la mia prima scelta. Anche Kenneth Branagh è stata la prima scelta per Laurence Olivier e io volevo un attore con l'età e la presenza fisica giusta, ma non è stato solo quello a convincermi. Ho seguito la carriera di Kenneth da quando aveva vent'anni e lui è sempre stato definito 'il nuovo Laurence Olivier'. Ha un affetto e una conoscenza del personaggio incredibile e non c'è nessuno più adatto di lui.

Eri consapevole dei rischi che correvi con questo film? Ti sei imposto dei paletti per evitare errori nell'affrontare la sfida di raccontare Marilyn?
Mi rendo conto delle difficoltà, ma io mi sono limitato a descrivere una porzione specifica della vita della Monroe. Per molte persone Marilyn non è una semplice attrice, ma un'icona. E' diventata un'immagine resa celebre dalle opere di Warhol e dalla fama postuma e io ho voluto scavare a fondo nella sua esperienza londinese.

Tu e Michelle avete affrontato il problema della dicotomia tra il pubblico e il privato della Monroe?
In questo film ci sono tre Marilyn. C'è Elsie, il personaggio de Il principe e la ballerina, poi c'è la diva Marilyn che fa lo spettacolino durante le conferenze stampa e c'è la Marilyn privata, la donna dietro il mito. Sono molti a raccontare della sua capacità di trasformarsi improvvisamente da donna invisibile a personaggio pubblico capace di catturare tutti gli sguardi su di sé. Marilyn era capace di gestire il suo personaggio alla perfezione.

C'è un momento del film in cui il protagonista dice a Marilyn che il film sarà un fallimento perché Olivier è un grande attore che vuole diventare una star del cinema mentre lei è una star che vuole diventare grande attrice. Tu non credi al talento di Marilyn?
Io penso che Marilyn fosse potenzialmente una grande attrice. Nel '56 lei si stava sforzando per ridefinire la sua vita e diventare un'attrice seria. Si era sposata con un drammaturgo di fama come Arthur Miller, aveva fondato la sua casa di produzione, cosa che all'epoca era una rivoluzione incredibile, e veniva a lavorare con un mito come Laurence Olivier. Il film racconta di come tutte queste aspettative siano fallite.

Quale è il tuo punto di vista personale sull'esperienza inglese di Marilyn?
Sappiamo tutti della vita difficile che la Monroe ha avuto e di quanto abbia lottato per migliorare costantemente. Anche se effettivamente sul set era poco affidabile, era insicura e arrivava sempre in ritardo Olivier l'ha maltrattata molto, a volte anche ingiustamente, e questo non l'ha aiutata.

Dal ritratto fornito dal film, anche Paula Strasberg non ne esce molto bene.
Arthur Miller sosteneva che per Marilyn Paula fosse la madre che le mancava, ma io sono convinto che, al di là delle continue adulazioni, Paula fosse davvero intenzionata a tirar fuori il meglio di Marilyn. Di fronte alla recitazione inglese esteriore e teatrale, il metodo Strasberg era molto interiorizzato e psicologico e guardando l'interpretazione di Marilyn si capisce come lei sia stata brava ad adoperare entrambi.

Simon, mentre preparavi My Week With Marilyn hai tenuto presente anche la sua drammatica fine e la malattia di Vivien Leigh di cui, nel film, vediamo già i primi sintomi?
Io volevo raccontare la storia dal punto di vista di Colin, ma era impossibile non fare ricerca sui personaggi. Sulla Monroe, su Olivier e sugli altri esistono moltissimi libri. Vivien Leigh per me è una figura importantissima, una delle attrici più belle e talentuose di tutti i tempi che, all'epoca del film, si sentiva già alla fine. E' crudele pensare come nello show business anche donne molto belle a quarantatre anni i sentano già sul viale del tramonto.

Cosa puoi dirci della partecipazione di Judi Dench?
Lei è veramente fantastica, ha cambiato i suoi piani lavorativi per interpretare questo piccolo ruolo e conosceva la vera Sybil Thorndike anche se non avevano lavorato molto insieme. Si somigliano perché sono entrambe molto gentili e sul set sono capaci di creare una bellissima atmosfera.

Billy Wilder ha dichiarato che i matrimoni di Marilyn sono falliti per due motivi opposti. Quello con Joe DiMaggio è fallito quando lui ha scoperto che lei era Marilyn Monroe e quello con Arthur Miller quando lui ha scoperto che lei non era Marilyn Monroe.
Questa è una citazione molto interessante. Nel mio film io descrivo l'unico momento in cui la Monroe dimostra interesse per un uomo più giovane, Per il resto si è sempre unita a uomini più maturi da cui cercava supporto e protezione. D'altra parte Wilder, commentando i ritardi della Monroe sul set, ha esclamato: "Io ho una zia a Vienna che è sempre puntuale ma nessuno la vorrebbe sul set".