Recensione The Private Lives of Pippa Lee (2009)

The Private Lives of Pippa Lee imbocca la via della narrazione non lineare procedendo per continui salti temporali tra presente e passato e giocando con lo spettatore attraverso l'uso di raccordi di montaggio dichiaratamente espliciti ed ellissi temporali che ci guidano alla scoperta degli eventi fondanti della vita di Pippa.

L'educazione sentimentale

Nove vite da donna le raccontava qualche anno fa Rodrigo Garcia. La regista Rebecca Miller decide di non porre limiti alla complessa evoluzione psicologica della sua protagonista, la sfaccettata Pippa Lee, e scava in profondità nella sua psiche per ricostruirne la vita e gli eventi che l'hanno portata a diventare la persona che è. Ispirato all'omonimo romanzo firmato dalla Miller stessa, che di letteratura in famiglia ne ha masticata un bel po' visto che il padre era il drammaturgo Arthur Miller, The Private Lives of Pippa Lee è una commedia sentimentale delicata e leziosa incentrata sulla figura di una donna il cui matrimonio volge al termine. A interpretare una donna capace di sapersi ricostruire mille volte di fronte agli eventi che la vita le pone davanti è la bionda Robin Wright Penn, senza dubbio una delle cose migliori della pellicola, che si disimpegna con grazia nell'inconsistenza della sceneggiatura. A metà tra Pomodori verdi fritti alla fermata del treno e Una casa alla fine del mondo, The Private Lives of Pippa Lee imbocca la via della narrazione non lineare procedendo per continui salti temporali tra presente e passato e giocando con lo spettatore attraverso l'uso di raccordi di montaggio dichiaratamente espliciti ed ellissi temporali che ci guidano alla scoperta degli eventi fondanti dell'esistenza di Pippa.

La spumeggiante narrazione scorre rapida e i nodi problematici della vita di Pippa vengono affrontati con disinvolta superficialità mentre l'ambiente intellettuale alto-borghese a cui la maggior parte dei conoscenti della protagonista appartiene fornisce raffinate gag e ciniche battute al fulmicotone messe in bocca soprattutto al burbero Herb, anziano marito di Pippa interpretato da un Alan Arkin bravissimo come sempre. Per raccontare l'avventuroso viaggio nella psiche della sua protagonista, Rebecca Miller sceglie un registro narrativo fondato sul ritmo e sull'ironia, ma appesantito da un onnipresente e spesso ridondante voice over la cui massiccia presenza indica una scarsa capacità di affrancamento dalla materia letteraria di partenza. Ma il problema principale di The Private Lives of Pippa Lee sta proprio nella trama di stampo blandamente psicanalitico che procede per tappe formative in cui ogni evento della vita di Pippa si ricollega inesorabilmente al difficile rapporto con la madre, casalinga anni '50 perennemente depressa e farmacodipendente. Ecco che allora l'abbandono della famiglia in un impeto di furia adolescenziale, la momentanea ribellione condivisa insieme a una coppia di amiche lesbiche, il matrimonio con un uomo più grande e più colto che dia sicurezza e permetta di realizzarsi come donna nella dimensione domestica e gli attacchi di sonnambulismo che preannunciano il risveglio dei sensi diventano passaggi quasi obbligati e facilmente prevedibili nel romanzo di formazione sentimentale che la protagonista vive senza mai stupire lo spettatore.
Nonostante spesso si abbia l'impressione di assistere a una storia ricavata da un Bignami di Freud, il film non manca di offrire momenti di puro divertimento e le scene comiche risultano molto più incisive di quelle drammatiche grazie alla presenza di Arkin e di una splendida Winona Ryder in fase maniaco-depressiva protagonista di un paio di scene decisamente esilaranti. Maria Bello si cala con intensità nel ruolo di madre fuori di testa a confronto con una giovane Pippa interpretata dalla star di Gossip Girl Blake Lively. L'apparizione di Keanu Reeves, ascetico prete mancato con il petto occupato da un inquietante tatuaggio cristologico, fa scattare il conto alla rovescia per prevedere dopo quanto tempo accadrà ciò che tutti gli spettatori - e soprattutto tutte le spettatrici - si augurano e che puntualmente si verifica dopo poco in seguito a un ennesimo colpo di scena strumentale al risveglio dei sensi di Pippa dopo anni di matrimonio sessualmente spento. Al cameo della splendida Julianne Moore che appare per pochi minuti in un ruolo sostanzialmente inutile, ma interpretato come sempre con grande intensità si contrappone quello pseudo-onirico-pulp di Monica Bellucci che dimostra una volta di più come la recitazione in lingua inglese non sia propriamente il punto di forza della bella Monica. D'altro canto visioni, sogni e perfino una scena in animazione buttata all'improvviso nel bel mezzo del film cospargono la pellicola di doppi sensi ed episodi a cui non viene dato seguito esclusivamente per cercare di arricchire ulteriormente il discorso portando nuovi tasselli alla propria tesi e dando movimento a una pellicola lieve e frizzante, ma non pienamente riuscita.

Movieplayer.it

3.0/5