Recensione Wall Street: il denaro non dorme mai (2010)

Come già per il precedente capitolo, per capire ogni singolo aspetto della sceneggiatura servirebbe una laurea in economia, ma nonostante questo il film scorre benissimo per più di due ore regalando agli spettatori una storia che funziona su più livelli.

L'avidità fa bene. Ed è legale.

Generalmente poco amati dalla critica e guardati spesso con sospetto anche dal pubblico, i sequel, si sa, non hanno mai vita facile. D'altronde non è facile realizzare un film che possa vivere all'altezza delle aspettative, che possa coerentemente mostrarci l'evoluzione di personaggi che abbiamo imparato ad amare e soprattutto è difficile trovare un'idea che realmente giustichi questa continuazione di una storia che, il più delle volta, si è già autoconclusa. Se c'è un sequel in questi anni che davvero ha ragione di esistere è proprio questo Wall Street: Il denaro non dorme mai, e non solo per l'aspetto qualitativo dell'opera ma proprio per l'urgenza di dover aggiornare i temi del classico del 1987 con gli avvenimenti di questi tempi, ovvero la crisi finanziaria che dal 2008 ancora continua ad avere effetti devastanti sull'economia dell'intero pianeta.


D'altronde il film di Oliver Stone era stato al tempo stesso un precursore e, suo malgrado, ispiratore di una nuova generazione di broker: sebbene considerato uno dei più grandi villain della storia del Cinema, tanto da regalare un Oscar al suo interprete Michael Douglas, il personaggio di Gordon Gekko e la sua filosofia dell'avidità come forza positiva sono paradossalmente diventati un esempio da imitare, un punto di arrivo, tutto questo nonostante nel finale del primo film entrambi i protagonisti venissero arrestati per inside trading.

E si riparte proprio dal carcere, con Gekko che nel 2001, dopo otto anni di reclusione, si trova abbandonato dalla propria famiglia e isolato dal mondo della finanza di cui una volta era padrone indiscusso. Lo reincontriamo sette anni dopo, nel 2008, autore di un provocatorio bestseller che preannuncia la crisi che avverrà poco dopo, puntando l'indice contro le banche, ovvero i reali colpevoli del collasso di un sistema economico basato solo sul guadagno, in cui sono proprio le istituzioni ad aver preso il posto di quelle figure leggendarie e al limite della legalità, come lo stesso Gekko, che erano pronte a tutto in nome dei soldi e del potere. Con l'avidità quindi che non è più solo un "pregio" ma un requisito fondamentale di un sistema capitalista senza freni e senza morale, è evidente che il villain non può essere più il solo Gekko che diventa così una sorta di anti-eroe, un mentore sì per il giovane fidanzato della figlia, ma non più volto al semplice guadagno ma ad una personale vendetta contro colui che ha sancito la fine delle loro carriere,

Come già per il precedente capitolo, per capire ogni singolo aspetto della sceneggiatura ci vuole probabilmente una laurea in economia ed un paio di specializzazioni, ma nonostante questo il film scorre benissimo per tutte le due ore e più della durata regalando agli spettatori una storia che funziona su più livelli, riuscendo a ben equilibrare anche gli aspetti apparentemente più lontani da una pellicola del genere: la sottotrama che vede il rapporto sentimentale tra il giovane Jake Moore (Shia LaBeouf) e la sua fidanzata Winnie Gekko (Carey Mulligan) o il rapporto di quest'ultima con il padre non risultano mai forzati, e sebbene rendano la pellicola più convenzionale rispetto al suo predecessore, al tempo stesso ne garantiscono una maggiore fruibilità anche per un pubblico più vasto.


Tutto il cast di attori è di altissimo livello, a partire da un discreto LaBeouf qui chiamato ad una prova più matura rispetto ai blockbuster che l'hanno reso una star e una sempre più convincente Carey Mulligan, fino ad arrivare a tanti ottimi comprimari come il paterno Frank Langella e il perfido Josh Brolin. Su tutti ancora una volta svetta Douglas che ritrova un personaggio davvero perfetto a cui ancora una volta sono affidate tante frasi cult ("Se tu prometti di smetterla di dire bugie sul mio conto, io ti prometto che non dirò più la verità su di te") e tanto cinismo, ma anche una maggiore umanità.
Dal punto di vista tecnico molto buona la fotografia di Rodrigo Prieto, così come la regia di Stone che pur esagerando ogni tanto con le sperimentazioni riesce a movimentare le sequenze più statiche (spesso appesantite da tanti dati e informazioni di borsa) e a sfruttare al massimo le suggestive location del quartiere finanziario di New York. Stone si regala anche un piccolo cameo, ma ancora più interessante è quello di Charlie Sheen che per pochi secondi riprende il ruolo di Bud Fox e dona a questo sequel un senso di maggiore completezza e chiusura ma anche una lezione da elargire a tutti i broker del mondo: se l'avidità può essere un bene, anche l'onestà certamente paga.

Movieplayer.it

3.0/5