Recensione Il pescatore di sogni (2012)

Una favola romantica e contemporanea, quella di Lasse Hallström, di quelle che inevitabilmente coinvolgono il grande pubblico generando emozioni semplici e basilari.

Il sapore della... pésca

Fred Jones è uno scienziato inglese che lavora per il Ministero della Pesca e dell'Agricoltura, schiavo senza saperlo di un lavoro noioso e di un matrimonio ormai logoro. L'uomo sembra la persona meno adatta per realizzare un progetto come quello in cui si sta per imbarcare: la logica, quella a cui lui stesso non è mai venuto meno in vita sua, sembra parlare chiaro a riguardo. Introdurre il salmone nello Yemen? In mezzo al deserto? Se non è follia, pensa il dottor Jones (ben lontano dall'archeologo cinematografico suo omonimo - anche se in una divertente scena finirà per ricordarcelo) poco ci manca. Nonostante questo, il governo ha bisogno di un po' di pubblicità positiva dopo i fallimenti bellici in Afghanistan, e questa idea partorita da un visionario sceicco yemenita, per quanto apparentemente bislacca, sembra adattarsi perfettamente all'uopo. Finanziare un piano del genere, in un'ottica di apertura al mondo musulmano, garantirebbe un ottimo ritorno di immagine per il Primo Ministro e per tutto il suo governo. Così pensa la pragmatica portavoce del capo di gabinetto Patricia Maxwell, che coinvolge suo malgrado lo scettico Fred nel progetto. Poco alla volta, recandosi personalmente nello Yemen e facendo la conoscenza del singolare sceicco, lo scienziato finirà per convincersi della bontà e della fattibilità dell'idea; ma, soprattutto, si legherà sentimentalmente all'assistente dell'uomo, la bella Harriet, attualmente angosciata per la situazione del suo fidanzato, soldato disperso in Afghanistan.


Non c'è motivo di valutare con severità un film come Il pescatore di sogni (solita banalizzazione nostrana del titolo originale Salmon Fishing in the Yemen) così come non c'è motivo di prendersela col cinema di un regista come Lasse Hallström. Le coordinate del lavoro del cineasta svedese sono da sempre note, e palesi al suo pubblico: romanticismo per famiglie, buoni sentimenti, un pizzico di melò, un occhio piuttosto attento alla definizione dei personaggi e al racconto in sé. A volte questi ingredienti si amalgamano un po' meglio (La mia vita a quattro zampe, Hachiko) a volte un po' peggio (Dear John) mentre altre volte il risultato va, imprevedibilmente, oltre le capacità, e forse le intenzioni, dello stesso regista (Buon compleanno, Mr. Grape). Con questa pellicola, con protagonisti due ottimi Ewan McGregor ed Emily Blunt, siamo probabilmente da qualche parte lì, nel mezzo. Lo sfondo sociale su cui si snoda la love story al centro del film, con la riflessione (abbozzata, un po' schematica) su scienza e fede, è attentamente definito ma anche un po' edulcorato: la figura dello sceicco ricorda quella di una specie di messia della tolleranza, progressista e inguaribilmente fiducioso nell'uomo, mentre i suoi nemici appaiono fin troppo poco determinati nei loro tentativi di bloccarne i progetti. Lo stesso sguardo sulla politica britannica, nelle figure del Primo Ministro e della sua portavoce (interpretata da Kristin Scott Thomas) è ironico ma bonario, restando sempre ben attento a non graffiare.

Può definirsi in fondo una favola, Il pescatore di sogni (tratto da un bestseller dello scrittore Paul Torday): una favola romantica, di quelle che inevitabilmente coinvolgono il grande pubblico, inevitabilmente generano emozioni semplici e basilari, ma che, comunque, difficilmente riescono ad essere prese sul serio. Se il background dei personaggi è attentamente definito (il più riuscito è in questo senso quello del protagonista) ad essere un po' schematiche sono le loro relazioni, il modo stesso in cui viene portata avanti la storia d'amore, il già ricordato dualismo scienza/fede che vive nell'opposizione tra il personaggio di McGregor e quello interpretato dal comunque bravo attore egiziano Amr Waked. Specie quest'ultimo aspetto, che vede ovviamente, e a dispetto di tutte le avversità, trionfare il fidelistico approccio alla vita dello sceicco, avrebbe meritato probabilmente una trattazione migliore. Il film di Hallström ha comunque diverse frecce al suo arco, specie nel tono leggero, umoristico e un po' scanzonato della narrazione, nell'ottima direzione degli attori, in scenografie naturali di grande bellezza (quasi tutte in realtà marocchine). La messa in scena è corretta ma un po' timida, mentre gli eccessi di zuccherosità sono quasi sempre tenuti a freno; il mestiere, insomma, c'è, ma quello che generalmente manca è uno sguardo che vada oltre la superficie, che penetri più a fondo nelle vicende, in sé coinvolgenti, dei personaggi. Ma, in fondo, quella che Hallström voleva raccontarci è una semplice e coinvolgente favola contemporanea: a ben pensarci, è ciò che il regista sa fare meglio, e bisogna dire che anche in questo caso il compito gli è riuscito (abbastanza) bene.

Movieplayer.it

3.0/5