Festival di Roma, battesimo con Cruz, Hirsch e Castellitto

Il nostro incontro con le prime stelle della sesta edizione della kermesse capitolina, al lavoro sul nuovo film di Sergio Castellitto, Venuto al mondo, tratto dall'omonimo romanzo di Margaret Mazzantini.

Penelope Cruz lo aveva già detto all'epoca della collaborazione per Non ti muovere che avrebbe desiderato lavorare nuovamente con Sergio Castellitto. E come in ogni favola che si rispetti, a sette anni da quell'esperienza che le aveva regalato il plauso unanime della critica, il desiderio è stato esaudito. Complice il nuovo film del regista-attore capitolino, Venuto al mondo, tratto dall'omonimo romanzo di Margaret Mazzantini, le cui riprese si stanno effettuando in questi giorni tra Roma e Sarajevo. La storia d'amore tra Gemma e Diego, una studentessa universitaria e uno squattrinato fotografo, inizia infatti nella città bosniaca durante i Giochi Olimpici del 1984 e si snoda in oltre vent'anni, tempo in cui la donna, grazie ad un utero in affitto, diventa madre di Pietro, il propellente che rimette in moto la sua vita, dopo la morte dell'uomo amato e dopo aver visto da vicino gli orrori del sanguinoso conflitto in ex Jugoslavia.

Scelta come avvenimento di punta per la partenza della sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, la presentazione di Venuto al mondo ha dato il 'La' alla kermesse cinematografica capitolina con il duetto tra l'attrice spagnola e Sergio Castellitto, nell'ambito della sezione L'Altro Cinema | Extra; un faccia a faccia divertente ed emozionante, che è stato 'raddoppiato' dall'arrivo dell'altro interprete della pellicola, Emile Hirsch e dell'autrice del libro, Margaret Mazzantini compagna di vita di Castellitto. Con loro si è parlato di cinema, del rapporto misterioso che lega attori e registi e di un tema forte come la maternità, dolente nota di fondo del romanzo della Mazzantini, premio Campiello nel 2009.

Penelope, sei diventata mamma da poco. Questa esperienza ha cambiato il tuo modo di recitare, in particolare in un film come questo in cui interpreti il ruolo di una madre... Penelope Cruz: Non saprei dare una risposta a questa domanda. Tutte le esperienze della vita ti cambiano e ti fanno crescere, a maggior ragione diventare una madre. E' vero, questo film è un omaggio alla maternità, visto che la donna che interpreto, Gemma, non può avere figli. In qualche modo la maternità diventa una specie di ossessione per lei, un'ossessione che molte donne provano. E' uno dei ruoli più belli e più particolari che mi sia capitato in carriera. E trovo straordinaria la coincidenza che sia arrivato in questo momento della mia vita.

Sergio, tu hai già lavorato con Penelope, ma al di là di questo sembra esserci uno strano e fortissimo filo che vi lega... Sergio Castellitto: E' vero e credo che sia tutto merito delle parole di Margareth, del fiume delle parole che ha creato due figure femminili eccezionali dal punto di vista psichico e drammaturgico. Mi riferisco a Italia, la protagonista di Non ti muovere, e Gemma. Ecco, il talento generoso di Penelope si sviluppa attraverso questi due racconti. Per me è un privilegio trovare tanto talento e vederlo moltiplicare sul set. Fare un film vuol dire passare quattordici settimane della propria vita con qualcuno, e se lo fai con con persone di cui ti fidi e verso cui provi affetto vero è importante.

Ci racconti come vi siete conosciuti? Sergio Castellitto: Eravamo all'Hotel Raphael a Parigi. Ero andato lì per proporle di recitare la parte di Italia in Non ti muovere e non le nascosi la mia preoccupazione per il fatto che non parlasse italiano. Lei mi disse che avevo ragione e poi mi allungò un registratore a cassetta. Mi chiese di registrare il monologo più importante del film, 'facevo la quinta elementare...' e di spedire poi la cassetta a Los Angeles. Penelope l'avrebbe studiata, l'avrebbe rifatta e dopo due settimane mi avrebbe mandato il nastro con la sua versione. Solo se mi fosse piaciuto davvero, l'avrei potuta scritturare. Quando ascoltammo il risultato rimanemmo tutti senza parole. Lei era Italia. Ho ancora conservato quel nastro.
Penelope Cruz: Amavo troppo quel libro, la parte doveva essere mia. Meno male che Sergio ha avuto fiducia in me. Ricordo benissimo i giorni in cui girai Non ti muovere. La gente mi fermava per strada, sentivo una grande responsabilità nell'interpretare un ruolo così bello e questo sentimento mi ha trasmesso la voglia di mettere lì tutta la mia passione. Lo stesso amore lo provo per Gemma. E' raro per un'attrice trovare un materiale del genere su cui lavorare. Lavoriamo tantissimo tutti i giorni, ma quando mi sveglio ho un sorriso grosso stampato sulla faccia. Ho vinto alla lotteria.

Lo conoscevi come attore? Penelope Cruz: Certo! Avevo visto L'uomo delle stelle e Libero Burro. L'ho sempre reputato come uno degli attori migliori al mondo, impressione che ho confermato lavorandoci assieme. E' come stare al Luna Park! E poi nutro un profondo rispetto per quegli artisti che sanno fare due cose, in questo caso recitare e dirigere. Come regista è un complice, capisce bene cosa sente l'attore; ti lascia spazio, ma non ti lascia mai da solo. E ti chiede sempre di più. Ed è un aspetto che amo in un regista. Anzi, quando mi dicono che va tutto bene non gli credo più. Come attore, beh, Sergio riesce ad entrare e ad uscire dal personaggio con la leggerezza di un ballo. Non sta lì a rompere l'anima al prossimo tentando di soffrire tutto il giorno. Separarsi dai personaggi, lavorare con l'immaginazione è un approccio molto sano per recitare bene. E in fin dei conti è il più onesto.

Sergio hai sempre pensato di poter fare recitare bene ed essere un buon regista?Sergio Castellitto: L'ho sempre pensato, sì. Ad un certo punto della mia carriera, quando non mi divertivo più, mi sono detto che era bello ricominciare e mi sono reinventato un mestiere. L'attore è anche l'autore della propria recitazione. Un gesto può spingere il regista a fare un determinato movimento di macchina. Un gesto, un'espressione sul viso di Penelope mi fanno venir voglia di riprovare una scena, o magari di fermarmi perché ho trovato tutto quello che mi serviva. Manoel De Oliveira diede una bellissima definizione di Marcello Mastroianni dicendo che era docile senza essere servile. Ecco, Un attore non deve rivelare tutto, deve obbedire; ma nella partitura, nella gabbia, è libero. A volte lascio anche dei primi piani di cinque o sei minuti, un'infinità per un attore. E' come gettarlo in mare senza salvagente. Amo troppo la recitazione e per questo mi indigno quando vedo quella cattiva.

Siete stati a Sarajevo e che ricordo portate di questa città? Sergio Castellitto: La prima volta che siamo andati è stato cinque anni fa per un breve viaggio di tre giorni, dal giovedì alla domenica. Lunedì, quando siamo tornati a Roma, Margaret aveva già iniziato a scrivere il libro. Tutti le chiedevano cosa conoscesse di Sarajevo e dell'assedio, perché quello che aveva raccontato era veramente molto dettagliato. La risposta è che tutto quello che sapeva lo aveva carpito in quei tre giorni. Neanche fosse Emilio Salgari. Poi ci sono tornato per i sopralluoghi del film. Sarajevo è come l'Africa, quando parti ti lascia dentro dolore, pena, nostalgia. Rabbia per una guerra che non doveva accadere. Oggi ha la sensazione che sia una città con una gran voglia di ricominciare, ma forse è ancora fuori sincrono.

Parliamo anche di Emile Hirsch, è vero che il suo è stato il primo nome della lista di interpreti? Sergio Castellitto: Sì assolutamente. Gli occhi di Diego dovevano essere quelli di Emile. Lo sapevo allora e ne sono convinto più che mai dopo averlo visto recitare. Emile è puro e fantasioso come Diego e in una singola scena ti resituisce qualcosa a cui non avevi pensato.

Emile, proprio a Roma avevi presentato Into the Wild con Sean Penn, il film che ti ha reso celebre. Com'è questa esperienza in un set italiano? Emile Hirsch: Piuttosto bella, anche se non capisco quello che dicono (ride). Anzitutto, è una gioia lavorare con Penelope. E poi è bello vedere Sergio sul set, come regista e come attore. Avevo visto Non ti muovere e l'ho amato moltissimo, perché era pieno di emozione senza essere sentimentale. Ha ragione Penelope, a volte i registi sono troppo carini con gli attori e questo un attore lo percepisce. Invece un regista deve essere gentile, ma deve anche avere polso.

Margaret, Venuto al mondo è la tua creatura... Margaret Mazzantini: Gli scrittori non amano i film tratti dai loro libri, ma con Sergio si lavora insieme da una vita, è quasi miracoloso il risultato. Il film è forte ed è duro rivederlo, rivedere la luce in mezzo a tutto quel dolore, in mezzo ad un conflitto ignorato. Gemma, la protagonista, ha un difetto che la rende unica. E' algida e fredda, ma pian piano si apre e diventa come un animale primitivo. Penelope le ha regalato carnalità, sa essere miserabile e dea al tempo stesso. Emile invece è l'eroe romantico che illumina tutto.

Nostalgia del passato di attrice? Margaret Mazzantini: Direi di no, perché in fondo tutto rimane, e l'esperienza che ho fatto, soprattutto in teatro, mi è servita moltissimo. Solo che ad un punto sentivo che in me c'era qualcosa di inespresso e ho cominciato a scrivere, una vocazione affiorata con fatica come tutte le attività che poi si rivelano importanti. Forse era il mio destino. Io non ho proprio la natura dell'attrice, lo vedo dalla fatica che ogni giorno fa Penelope. Questo è un mestiere da affrontare con coraggio, se lo vuoi fare in un certo modo.

Penelope, che ricordo hai delle prime esperienze come attrice?Penelope Cruz: Avevo all'incirca 16 anni e mi sembrava un sogno. In realtà non è che ci capissi molto, sapevo solo che non volevo lavorare in un ufficio. E che il set mi faceva sentire come a casa. A fine giornata piangevo perché non sapevo se era l'ultima volta che recitavo o no.