Recensione Survival of the Dead (2009)

Romero ci catapulta nel bel mezzo di uno zombie-western ambientato su un'isoletta immersa nel verde, una terra incantata ma afflitta da vecchi e nuovi conflitti, popolata da uomini ottusi che si ostinano a portare avanti antiche faide personali, incuranti del fatto che il mondo sta sprofondando in un'incubo senza fine.

Zombie Revolution

Sono passati pochi giorni da quando il morbo delle 'teste morte' ha iniziato a diffondersi nel pianeta e nessuno sembra sapere come fare per mettersi in salvo. Gli zombie sono dappertutto, le forze militari sono nel caos, non ci sono più regole né gerarchie. Un gruppetto di soldati decide così di mettersi 'in proprio' e cercare salvezza con le proprie forze e rifugiarsi in un posto più sicuro della città. Il posto ideale, come suggerisce un messaggio diffuso su internet da un signore di mezza età, è Plum Island, un'isoletta al largo delle coste del Dalaware, un'oasi naturale di straordinaria bellezza in cui gli abitanti si conoscono tutti ed in cui sembra che gli zombie non siano ancora arrivati. In realtà l'uomo che appare in video è il capostipite degli O'Flynn, una delle due famiglie che da sempre abitano l'isola e tra le quali è in corso da anni una violenta disputa. Esiliato dai suoi conterranei perchè accusato di uccidere senza scrupoli amici, parenti e vicini trasformatisi in zombie, Patrick O'Flynn si unirà al gruppetto di militari per riavere le sue terre e impedire al morbo di diffondersi ulteriormente. Poco importa se a morire, stavolta definitivamente, dovranno essere le persone con cui ha trascorso la sua intera esistenza, sua figlia compresa. La strategia dei Muldoons, suoi agguerriti avversari, è quella di lasciare in sospeso le cose tenendo incatenati gli amici e parenti infettati e convivere con loro fino a che il mondo non avrà inventato una cura.

Romero non molla, non vuole e non riesce ad abbandonare i suoi mostri, anzi, se li porta sino in laguna. Non poteva infatti non essere suo il primo film di zombie della storia ad approdare sul tappeto rosso della Mostra del Cinema e come se non bastasse addirittura in concorso per il Leone d'Oro. Possiamo dire che Survival of the Dead, sesto capitolo della sua epopea sui non morti, iniziata ormai più di quarant'anni fa con la denuncia socio-politica insita ne La notte dei morti viventi, segna una nuova era per il cinema di zombie in senso ampio ma anche in senso stretto. Già, perche la vena creativa di Romero sembra infatti non essersi ancora esaurita, come è invece capitato ad altri autori di genere, tanto che il padre putativo delle 'teste morte' sancisce con questo Survival of the Dead un nuovo inizio (o una nuova fine, dipende dai punti di vista), sia per i vivi che per i morti, un anno zero che promette grandi, grandissime cose per il futuro.

Non manca anche stavolta il sottotesto politico-sociale come nella migliore tradizione romeriana ed anche lo scenario non è poi troppo diverso dai precedenti. George ci catapulta nel bel mezzo di uno zombie-western ambientato su un'isoletta immersa nel verde, una terra incantata ma afflitta da vecchi e nuovi conflitti, popolata da uomini ottusi che si ostinano a portare avanti antiche faide personali, incuranti del fatto che il mondo sta sprofondando in un'incubo senza fine. Un microcosmo di inciviltà in cui il morbo che sta devastando il mondo è aggravato da vecchi rancori che nessuno è disposto a dimenticare per trovare il modo migliore di 'sopravvivere'.

Poteva arrivare solo da lui questa novità rivoluzionaria, da uno che di mostri e di morti viventi ne sa più di chiunque altro al mondo, un cineasta che ha creato, cambiato, rimodernato e fatto evolvere i morti viventi di pari passo con il mondo reale senza mai modificarli troppo nelle loro caratteristiche di fondo, neanche estetiche. Elegantemente retro, Survival of the Dead è la conferma che a settant'anni suonati George A. Romero è sempre lo stesso nonostante gli acciacchi. Quel che stupisce è come nei decenni non sia mai cambiato il suo sguardo polemico riguardo ai comportamenti delle masse, come non si sia mai affievolita la sua sensibilità, né la sua attenzione, la sua graffiante ironia e la sua voglia di denunciare la regressione mentale di un universo allo sbando.

L'universo dei suoi morti viventi cambia stavolta in senso inverso rispetto a quello reale perchè Survival of the Dead, seguito ideale e narrativo di Diary of the Dead (in cui il gruppetto di studenti di cinema che vediamo in un flashback filmava con la sua telecamera), è un'opera divertente che analizza la condizione umana attuale, mostrandone le debolezze, l'avidità, la paura di perdere l'onore e il possesso delle cose più che quella di perdere gli affetti, l'incapacità di adattamento, di convivenza, la mancanza di tolleranza e di buon senso anche di fronte ad una catastrofe che sta per distruggere ogni traccia di umanità dal pianeta.

Survival of the dead è in linea con gli ultimi capitoli, ma ha il grande merito di porre nuovi quesiti, di aprire nuovi inquietanti scenari, in poche parole getta le basi per almeno altri due film sugli zombie, storie nuove di zecca che Romero ci racconterà, speriamo presto, con la sua solita lucidità. L'uomo regredisce, lo zombie avanza, come l'universo fantastico creato dal mitico George.

Movieplayer.it

3.0/5