Vite vendute, la recensione: Il salario della paura secondo il nuovo adattamento Netflix

La recensione di Vite vendute, terza trasposizione cinematografica del capolavoro di Georges Arnaud con due grandi antenati e un capostipite purtroppo insuperabili, nonostante abbia un suo curioso perché.

Vite vendute, la recensione: Il salario della paura secondo il nuovo adattamento Netflix

Quando si toccano i classici della letteratura di genere bisogna fare molta attenzione, specie se da quei classici sono stati tratti due film considerati delle pietre miliari del cinema. Quando Georges Arnaud scrisse Il salario della paura nel 1950, si ispirò principalmente alla sua diretta esperienza in territorio Sud Americano negli anni della Seconda Guerra Mondiale, restituendo il disagio e la tensione di un paese allo stremo, povero, pericoloso.

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Vite vendute: una scena del film

Il romanzo fu un successo immediato e già nel '53 Henri-Georges Clouzot ne diresse una magnifica trasposizione cinematografica, fedele all'anima dello scritto ma soprattutto seminale in termini di gestione della tensione negli anni di grande formazione del cinema di genere. Con una visione autoriale e più ispirata, nel '77 toccò poi a William Friedkin con Sorcerer confrontarsi con un caposaldo della narrativa francese, alzando ancora di più l'asticella del pathos e della tensione in senso drammatico e di genere, confezionando quello che è ritenuto da molti uno dei suoi film più iconici e riusciti. Adesso è il turno di Julien Leclercq sotto l'egida Netflix mostrare qualcosa di diverso con il nuovo adattamento di Vite vendute, che pure se concepito in totale libertà creativa e d'ispirazione, non può sfuggire al paragone con il libro e con i due antenati cinematografici, uscendone distrutto.

Dal Sud America al Medio Oriente

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Vite vendute: un momento del film

Leclercq e Hamid Hlioua cambiano in sceneggiatura le coordinate della storia di Arnaud, spostando l'ambientazione dal Sud America al Medio Oriente. Già questo è di per sé dà l'idea di un tracciato narrativo e traspositivo meno legato all'opera originale, di cui di fatto sfrutta il concept di partenza per cambiare tutto il resto. Anche Friedkin lo fece, ma solo in parte, per lasciare che i personaggi e il racconto aderissero alla sua grammatica stilistica e al suo storytelling cinematografico. Leclercq a Hlioua sono piuttosto interessati a proporre un panorama differente in un territorio che è oggi quello che era ieri il Sud America, tra inviati dell'OMS, multinazionali petrolchimiche, mercenari, guerre e instabilità politica. Si muove in questo contesto il protagonista interpretato dal Vin Diesel francofono Franck Gastambide, costretto a partecipare a una rischiosa spedizione nel cuore del deserto per evitare l'esplosione di un pozzo di petrolio e salvare il fratello (Alban Lenoir) dal carcere.

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Vite vendute: un'immagine del film

La missione è sempre la stessa: trasportare un carico di nitroglicerina in territorio ostile per 800 km. Cambia le geografia, cambiano i protagonisti, cambiano le dinamiche, ma soprattutto cambia il genere di riferimento, che al netto dell'assetto fondamentalmente thriller verte molto di più sull'azione e meno sulla tensione, senza mai sfociare nel puro testosterone ma evitando di lavorare di fino sulla messa in scena delle varie situazioni al limite, rimanendo sostanzialmente anonimo, praticamente arido come il panorama in cui è immerso.

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Personalità venduta

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Vite vendute: una scena tratta dal film

Il cuore pulsante del romanzo di Arnaud e del lungometraggio del '53 risiede nel nervosismo delle tante difficoltà che si accavallano lungo il racconto, per altro amplificate soprattutto nel film di Friedkin dalla natura stessa dei protagonisti, miseri e sotto falsa identità, lontani dal loro paese, letteralmente allo stremo e disposti a tutto pur di lasciare quell'Inferno. In questa nuova visione di Vite Vendute resta la volontà e la necessità di abbandonare un paese difficile e inospitale, dando nuove motivazioni ai personaggi, eppure si perde il senso della sfida con se stessi e con la natura per la sopravvivenza, affondando le radici narrative nella sola missione e nella ripetizione di scene cult già proposte in passato (tipo il guado del fiume col convoglio) ma con effetto cinematografico ridotto, soprattutto dal punto di vista registico.

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Vite vendute: una scena

Leclercq riesce comunque a regalare qualche scorcio in campo lungo esaustivo e un insieme di dinamiche relazionali che danno respiro alla storia, che pur essendo un'interpretazione uguale e aggiornata del Salario della paura non riesce quasi mai ad incalzare come dovrebbe, restando per lo più piatto a monocorde, anche dal punto di vista fotografico. La produzione francese vuole rendere giustizia all'opera arnaudiana senza imitare in alcun modo l'inarrivabile Friedkin e strizzando invece molto di più l'occhio a Clouzot, ma il risultato è piuttosto asciutto d'inventiva.

Conclusioni

Il nuovo Vite vendute di Julien Leclercq esce con le ossa rotte dal confronto con le precedenti trasposizioni de Il salario della paura, pur riuscendo a spostare le coordinate della storia dal Sud America al Medio Oriente con efficacia libertina. La tensione sopperisce all'azione situazionistica comunque mai testosteronica, ma il film resta cinematograficamente arido e senza precisa visione stilistica, anonimo e asciutto.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • L'idea di trasportare nel Medio Oriente la storia di Arnaud.
  • Diverse inquadrature azzeccate, specie nei campi lunghi.
  • Alcune dinamiche famigliari funzionano.

Cosa non va

  • L'anima del racconto originale non è per nulla valorizzata.
  • Non si percepisce la tensione, anche se c'è.
  • Regia anonima, cinematograficamente incolore.