Un posto al sole: Montgomery Clift e Liz Taylor nel Match Point degli anni Cinquanta

In Un posto al sole, tratto da Una tragedia americana di Theodore Dreiser, George Stevens raccontava la parabola di un giovane arrampicatore sociale fra passione e delitto.

Nella vita, George, sono le piccole cose che contano. Lo so, dovremo anche faticare, ma ci vorremo tanto bene. E io, sai, non ho paura della povertà...

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Un posto al sole: un'immagine di Montgomery Clift

Il cinema hollywoodiano degli anni Quaranta, specialmente nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, aveva proposto quanto più possibile protagonisti che offrissero al pubblico dei modelli positivi: figure eroiche o comunque in grado di incarnare gli aspetti migliori della società americana. In controtendenza rispetto a questo approccio era invece il noir, che rientrando nella macro-categoria del "cinema di genere" era considerato perlopiù come una produzione d'intrattenimento. Un posto al sole di George Stevens, che arriva nelle sale all'inizio del decennio successivo, si fonda dunque su un'apparente contraddizione: è un film che nasce nell'alveo del dramma impegnato, e che appartiene dunque alla tradizione più 'nobile' della Hollywood classica, ma è costruito attorno alla vicenda di un personaggio, George Eastman, non molto distante dall'archetipo dell'antieroe del noir.

La "tragedia americana" di George Stevens

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Un posto al sole: Elizabeth Taylor e Montgomery Clift

Si tratta a suo modo di un segno dei tempi: l'indizio di un'evoluzione verso modalità di racconto non più rigidamente manichee, ma interessate anche ad esplorare le ambiguità morali di uomini e donne tutt'altro che esemplari. Un anno prima del resto, sempre sotto le insegne della Paramount, Billy Wilder aveva realizzato un'opera rivoluzionaria come Viale del tramonto, mentre un mese dopo Un posto al sole la Warner Bros avrebbe lanciato nei cinema americani Un tram che si chiama Desiderio di Elia Kazan, dal capolavoro di Tennessee Williams. Personaggi controversi e argomenti tabù si rintracciano pure in Un posto al sole, presentato ad aprile al Festival di Cannes 1951 per poi fare il suo debutto negli Stati Uniti il 14 agosto, con risultati eccellenti su tutta la linea: la pellicola si attesta fra i dieci maggiori incassi dell'annata, riceve il Golden Globe come miglior film e si aggiudica sei premi Oscar, fra cui le statuette per la regia e la sceneggiatura.

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Un posto al sole: Montgomery Clift ed Elizabeth Taylor

Per George Stevens, si tratta di una svolta fondamentale nella sua produzione. Californiano, formatosi sui set dei corti di Stanlio e Ollio, a partire dalla metà degli anni Trenta Stevens si era specializzato come regista di musical con Fred Astaire e Ginger Rogers (tra cui Follie d'inverno) e di commedie sentimentali: Primo amore e La donna del giorno con Katharine Hepburn, Ho sognato un angelo e Un evaso ha bussato alla mia porta con Cary Grant, Molta brigata vita beata con Jean Arthur. Ma le esperienze come documentarista nell'Europa devastata dalla Seconda Guerra Mondiale lo spingono a cimentarsi con soggetti più drammatici, quale appunto Un posto al sole, adattato da Harry Brown e Michael Wilson (quest'ultimo vittima del maccartismo) da Una tragedia americana di Theodore Dreiser: un romanzo già portato al cinema vent'anni prima in un film omonimo di Josef von Sternberg, e che in seguito sarebbe stato oggetto di numerose trasposizioni televisive (incluso uno sceneggiato italiano del 1962).

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Una scalata sociale fra passione e delitto

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Un posto al sole: Montgomery Clift e Shelley Winters

Difatti, sebbene ispirata a un reale caso di cronaca risalente all'inizio del secolo, la vicenda narrata in Una tragedia americana possiede una forza archetipica che trascende (a dispetto del titolo) uno specifico contesto temporale e culturale; sarà addirittura Woody Allen, molti anni più tardi, a prendere spunto dal libro di Dreiser (o forse dal film di George Stevens) per uno dei suoi titoli più acclamati di inizio millennio, Match Point. E anche al centro di Un posto al sole troviamo un giovane di umile estrazione sociale, George Eastman, al quale capita l'occasione di farsi strada nell'ambiente dell'alta borghesia di Chicago: non tanto per i propri meriti, quanto per aver conquistato una ricca socialite, Angela Vickers, che può consentirgli una 'scorciatoia' verso una posizione sociale di rilievo. Se non fosse che, proprio come in Match Point, la scalata del protagonista sarà ostacolata da un'altra donna, la sua collega Alice Tripp, che rischierà di minare per sempre le rosee prospettive di George.

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Un posto al sole: Elizabeth Taylor e Montgomery Clift

A prestare il volto al personaggio principale, e ai conflitti interiori che si agitano dietro la facciata del "bravo ragazzo", è un astro nascente di Hollywood, Montgomery Clift, diventato famosissimo grazie a Odissea tragica di Fred Zinnemann e a una doppietta di classici quali Il fiume rosso di Howard Hawks e L'ereditiera di William Wyler, anche qui nei panni di un ambizioso seduttore. Se per Montgomery Clift Un posto al sole sancisce la consacrazione definitiva e gli vale una seconda nomination all'Oscar, quello di Angela Vickers si rivela il ruolo della maturità per una fascinosa Elizabeth Taylor, poco più che adolescente durante le riprese e in procinto di aprire la fase 'adulta' della propria carriera. A completare il triangolo al cuore della trama è un'altra star emergente, Shelley Winters, alla sua prima candidatura all'Oscar nei panni della proletaria Alice, che affianca George nella fabbrica di suo zio Charles Eastman (Herbert Heyes) e comincia in segreto una relazione con lui.

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L'ambiguo antieroe di Montgomery Clift

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Un posto al sole: un'immagine di Montgomery Clift

In un'America lanciatissima sul piano economico, in cui gli anni del Boom si accingono a collocare il mito dell'American Dream in un orizzonte a portata di mano, Un posto al sole suggerisce tuttavia crepe e contraddizioni insite in questa retorica: ad esempio rimarcando la distanza tra la potente famiglia di industriali, immersa nei suoi lussuosi status symbol (feste private, vacanze in riva al lago), e la ripetitività del lavoro alla catena di montaggio, dove i proprietari dettano legge agli operai e alle operaie perfino in merito alla loro vita privata. Anche George è un Eastman, ma del "ramo sbagliato": parla con imbarazzo delle proprie origini, allude alla madre Hannah (Anne Revere) come a una fanatica religiosa e risente del complesso di inferiorità verso quel "bel mondo" di cui vorrebbe far parte. Lo sguardo benevolo ma tormentato di Montgomery Clift ci impedisce di decifrare con sicurezza il suo George: l'antieroe di Un posto al sole rimane in una zona grigia tra l'ipotetica sincerità dei suoi sentimenti per Angela e la spregiudicata determinazione nel volersi sbarazzare di Alice.

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Un posto al sole: Montgomery Clift ed Elizabeth Taylor

A contrassegnare lo spirito dell'epoca (siamo nel pieno del Codice Hays) sono pure le reticenze e i sottintesi rispetto agli elementi più 'sensibili' della storia: il riferimento all'intenzione di Alice di abortire, osteggiato dalla censura, e la scena clou della morte della donna. Omicidio, omissione di soccorso o, come lascia intendere il titolo del romanzo di Dreiser, tragedia che si abbatte ineluttabile sui protagonisti? George è solo la vittima di una sorte beffarda o è animato da una componente di malvagità? Un posto al sole non abbraccia appieno il nichilismo di Billy Wilder (che giusto due mesi prima, con L'asso nella manica, aveva firmato il suo film più amaro), e anzi nell'epilogo sembra favorire l'empatia nei confronti di George; ma la sua commistione di melodramma e noir riesce comunque a lasciare una certa inquietudine, anche a settant'anni di distanza.

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