Recensione Gothika (2003)

Dopo "I fiumi di porpora", Mathieu Kassovitz resta nei territori del cinema di genere, confezionando un prodotto di puro intrattenimento che risulta tuttavia complessivamente godibile.

Terrore al di là del muro

Dopo il godibile I fiumi di porpora, uscito nel 2000, Mathieu Kassovitz resta nei territori del cinema di genere confezionando questo Gothika, thriller sovrannaturale che segue un po' l'onda che, da Il sesto senso in poi, ha "sdoganato" le ghost stories rendendole accessibili ad un pubblico più vasto. Il film segue le disavventure di una giovane psichiatra che lavora in un manicomio criminale e che, dopo un incidente automobilistico provocato da una misteriosa ragazza, si trova improvvisamente reclusa nella stessa struttura in cui aveva lavorato, con l'incredibile accusa di aver assassinato suo marito. La donna è vittima di un'amnesia totale dei fatti seguiti all'incidente, ma nella clinica inizia a vedere a più riprese l'inquietante figura della giovane...

Il film di Kassovitz, è bene dirlo, non ha nulla di particolarmente originale o innovativo, né sul piano stilistico né su quello dei contenuti. La storia si sviluppa seguendo binari noti, con le apparizioni della figura sovrannaturale che sottendono ad un mistero sepolto nel passato, e l'amnesia della protagonista (tema, questo, che sembra affascinare molto i registi di cinema fantastico negli ultimi tempi, basti pensare a Paycheck o a The Butterfly Effect) che dovrà essere lentamente sanata, portando alla risoluzione del mistero. Mistero che viene gestito come in un giallo, con un accumulo di indizi che condurranno ad una soluzione definitiva solo nel finale. La regia di Kassovitz ha un taglio a tratti da videoclip e punta molto sulla componente effettistica, restando anch'essa legata a certi stilemi a cui i thriller statunitensi ci hanno abituati negli ultimi anni. Tuttavia, pur nei limiti intrinseci di un prodotto di questo tipo, il film funziona, grazie al buon senso del ritmo messo in mostra dal regista e a uno script solido, che tiene sempre viva l'attenzione e riesce ad evitare incongruenze troppo grandi. La regia, come si diceva, fa grande uso di effetti "mirati" e del cosidetto "salto sulla sedia", coadiuvata in questo da un uso del sonoro che sicuramente renderà al massimo nelle sale con un impianto adeguato. La tensione è comunque gestita in modo sapiente, e non fa registrare cali per tutta la durata del film, mentre l'estetica estremamente cupa che Kassovitz ha voluto conferire al film risulta di sicura presa sullo spettatore: in questo, gran parte del merito si deve ai claustrofobici interni voluti dallo scenografo Graham 'Grace' Walker (ricavati da un vecchio carcere) e all'inquietante fotografia di Matthew Libatique, già premiato nel 2001 con l'Independent Spirit Award per il suo lavoro in Requiem for a dream. La sceneggiatura "cede" un po' solo nel finale, in cui si registra qualche situazione scarsamente credibile, ma si tratta tutto sommato di un peccato veniale per uno script altrimenti ben costruito e in definitiva efficace nel rendere tutto il senso di angoscia della protagonista.

Gli attori reggono il "gioco" con sicurezza e professionalità, facendo registrare prove complessivamente convincenti: la protagonista Halle Berry rende più che bene il personaggio della giovane dottoressa, il suo spaesamento con il passaggio "dall'altra parte del muro" e il suo crescente senso di angoscia; sicuri anche Robert Downey Jr. e Charles Dutton, rispettivamente nei ruoli del medico e del marito della donna, mentre Penelope Cruz offre un convincente e doloroso ritratto di Chloe, prima paziente e poi amica della protagonista, in un personaggio che forse (altro piccolo appunto da muovere allo script) poteva essere approfondito maggiormente.

Film godibile, quindi, intrattenimento senza grosse pretese ma realizzato con solido mestiere e buon senso dello spettacolo. Certo, si potrebbe obiettare che dal regista che ha fatto L'odio era lecito aspettarsi qualcosa di più, quantomeno un prodotto con uno spessore maggiore. Osservazione pertinente, ma che non toglie nulla ad un film che, fin dai titoli di testa, non "bara", non fa nulla per sembrare qualcosa di diverso da quello che è. Forse un giorno torneremo a vedere il Kassovitz "autore", forse no. In ogni caso, nel desolante panorama dell'horror occidentale, sia di quello "mainstream" che di quello di serie B (con la spazzatura che puntualmente, ogni estate, invade i nostri schermi cinematografici), fa piacere vedere un prodotto del genere realizzato con professionalità e mestiere: un risultato che, visti i tempi, non è da sottovalutare.

Movieplayer.it

3.0/5