Sunshine: signore e signori, la fantascienza

Con Sunshine Danny Boyle compila un bignami di tutte le regole essenziali per un vero film di fantascienza, lontano dall'esibizione tecnologica e più vicino al sogno.

La fantascienza è roba di precisione. Poco importa quanti soldi vengano investiti nel progetto e quanti effetti speciali ci siano, la fantascienza non sta nei dispositivi elettronici che vengono mostrati ma nello scenario sociale e visivo che viene disegnato. Per questo la presisione è fondamentale, l'approssimazione che può non recare danno alle commedie, ai western o ai noir è invece deleteria per la fantascienza. Lo sa bene Danny Boyle che per Sunshine nonostante i mezzi (relativamente) limitati decide di puntare su design e su presupposti scientifici (o para-scientifici) che siano efficaci e dettagliati.
I ruoli sull'astronave, le gerarchie, i presupposti della missione, le motivazioni scientifiche e umane... Tutto nella fantascienza deve funzionare come un meccanismo ad orologeria, perchè se la messa in scena del passato può essere probabile quella del futuro deve essere certa.

Sunshine è fantascienza al 100%, e anche se pecca di una forte mancanza di originalità, centra sicuramente il genere e il cuore degli appassionati. Perchè Danny Boyle ha assimilato (e forse pure troppo) la lezione dei capisaldi del genere. Pur non avendo molti mezzi cerca di fare leva sugli elementi fondanti del genere: ha poche scene dell'astronave vista dall'esterno e le usa come contrappunto continuo, sceglie di arredare gli interni con un design che ricorda moltissimo quello di Alien (compreso il tavolo autoilluminato), sceglie di fare un sovrautilizzo del colore bianco come 2001: Odissea Nello Spazio e L'Uomo Che Fuggì Dal Futuro. Sceglie di non mostrare la figura mostruosa che si insinua nella nave e di scatenare una caccia che ricorda molto quella di Sigourney Weaver. Sceglie di girare le scene nello spazio aperto in un ambiente silenziosissimo (accompagnato a tratti dalla sola colonna sonora) che è scandito unicamente dai respiri nelle tute, come faceva Stanley Kubrick, aggiungendo riprese ravvicinatissime da dentro il casco stesso.

Boyle sceglie insomma di realizzare un summa di tutto quello che di fondamentale la fantascienza ha stabilito e di frullarla insieme con una trama nuova. Se infatti finora il catastrofico si era mischiato relativamente con la fantascienza (Deep Impact è più un film d'attualità, Armageddon ha poco a che vedere con la vera fantascienza e via dicendo) con Sunshine i due generi sono totalmente mischiati, con più decisione e in maniera più palese rispetto al già anticipatorio (e più originale) I Figli Degli Uomini. In Sunshine c'è la storia di un viaggio spaziale di un equipaggio che deve sopravvivere a mille incidenti mischiata con l'incombenza di un grandissimo disastro.
Questo influenza e di molto lo svolgersi canonico di una trama fantascientifica. Mai il capitano Picard di Star Trek avrebbe deviato dalla propria missione per arrischiarsi in un recupero come fa l'equipaggio di Sunshine (equipaggio incaricato di salvare il pianeta e quindi teoricamente selezionato tra i migliori elementi della Terra), questo perchè alla fredda razionalità fantascientifica si unisce (come già avviene in Alien) un altro genere che funziona da disturbatore. Si devia dalla missione perchè c'è una catastrofe in atto e vale la pena rischiare per essere più sicuri di portare a termine la propria missione. Deviazione che è all'origine di ogni elemento della trama.
Ecco allora che le tecnologie passano in totale secondo piano, è sufficiente qualche espediente e qualche abile gioco di luce per rendere la prossimità del sole e la sua dicotomia di contemporanea fonte di vita e di morte per liquidare il problema della verosimiglianza dello scenario tecnologico.
Il resto sono ambienti bianchi, design applicato all'arredamento e agli abiti, il silenzio sognante dello spazio, un po' di filosofia spicciola e molta precisione. Cioè la fantascienza.