Skinamarink, la recensione: se l'horror (arthouse) viene portato all'estremo

La recensione di Skinamarink - Il risveglio del male: incubi, paure e il buio incessante nell'analogico (ed estremo) film horror di Kyle Edward Ball. In streaming sul canale Midnight Factory su Prime Video Channels.

Skinamarink, la recensione: se l'horror (arthouse) viene portato all'estremo

Dai, ci proviamo. Uniamo i puntini, e tentiamo di rintracciare il filo principale, così da aggomitolare il senso di tutto. Qualora ci sia davvero un senso, però. Con un consiglio: se avete paura dell'oscurità, questo non è un film da vedere prima di andare a dormire. Perciò, partiamo da un avvertimento: lasciatevi trasportare dal buio, dai rumori, dalla sensorialità di un film horror che supera il concetto di arthouse, avvicinandosi invece verso un confine estremo ed estremizzato nella sua infinita ricerca dell'estetica, granulosa e artigianale come un found footage inciso su una vecchia VHS (ah, che nostalgia!). Ogni possibile e plausibile spiegazione, di conseguenza, è lasciata allo spettatore, libero di intendere l'opera a seconda della sua predisposizione. Come quando, in piena notte, ci si sveglia da un incubo. Tra il sonno e la veglia restano appiccicati frammenti di immagini, o pezzi di oniriche visioni, a cui si prova a dare un significato matematico, logico, nonostante il sogno rifiuti, per concetto, la logica stessa.

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Skinamarink: una scena

Ecco, come vi raccontiamo (azzardando) nella nostra recensione, Skinamarink - Il risveglio del male del canadese Kyle Edward Ball (esordio, ma già autore di alcuni corti creepy pubblicati su YouTube), decostruisce totalmente l'intero linguaggio orrorifico per concentrarsi, invece, sulle impressione che possono essere generate dalla purezza di un fotogramma cinematografico. Per certi versi, Skinamarink - Il risveglio del male (disponibile, dal 24 agosto, sul canale Midnight Factory su Prime Video Channels, insieme ad altri film horror inediti come Terrifier 2 e La Abuela - Legami di Sangue) è cinema ancestrale, nonché espressione quasi tangibile delle paure ataviche che si annodano nel buio di un corridoio notturno. Per questo, ogni possibile spiegazione potrebbe risultare fine a se stessa. Tutto giusto, tutto sbagliato. Lo stesso Kyle Edward Ball, che ha girato il film con appena 15mila dollari, non si è mai sbilanciato, lasciando che fosse il pubblico a trovare le migliori congetture. Non neghiamo che, dopo (e durante) la visione, abbiamo lasciato decantare ogni tipo di pensiero relativo, provando ad intendere Skinamarink come un tentativo - decisamente arduo, snervante, faticoso - di rappresentare il background delle paure infantili, facendo riemergere quei mostri che credevamo dimenticati sotto il letto.

Skinamarink: una trama che segue l'oscurità

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Skinamarink: una foto

Ed è riduttivo, o fuorviante, parlare di una trama: Skinamarink non segue regole narrative, né ha la sua forza peculiare nella storia. È un film di sensazioni, di percezioni, di simbolismi. Di conseguenza, il legame tra immagini è affidato all'occhio statico del regista, che segue, quasi sempre di spalle, le figure di due bambini, Kevin e Kaylee, che hanno rispettivamente quattro e sei anni. Lo spazio è quello di una casa, la cui oscurità notturna è squarciata dalla luce di una televisione che trasmette vecchi cartoni animati. Una scritta, all'inizio, suggerisce di essere nel 1995. Lo capiamo poi dall'arredo, dalla tv a tubo catodico, dai giocattoli sparsi in terra, su cui indugia spesso Kyle Edward Ball. L'azione, se così possiamo definirla, inizia quando Kevin e Kaylee vengono riportati a casa da loro padre: il bambino, che soffre di sonnambulismo, ha sbattuto la testa, e quindi sono andati in ospedale per un accertamento.

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Skinamarink: una sequenza

Non vediamo nulla, sentiamo quasi indistintamente la spiegazione del fatto, intanto che la regia fissa, alternandoli, diversi angoli dell'abitazione, che si susseguiranno per il resto del film (un'ora e quaranta, non poco). Da lì in poi, Skinamarink prende una piega astratta e sovrannaturale: Kevin e Kaylee si svegliano nel cuore della notte, rendendosi conto che il papà è sparito. Non solo, alcuni oggetti e parti della casa stanno gradualmente scomparendo. Una finestra, una porta, il water, un giocattolo. Tutt'intorno, sale forte l'approccio sonoro, curato in modo eccezionale: rumori martellanti, tonfi, versi striduli, voci, il suono dei cartoni in tv, che hanno un qualcosa di strano e sinistro. Il padre è sparito nel nulla, e Kevin e Kaylee, che non vediamo mai in volto, si aggirano per i corridoi di una casa inghiottita dalle tenebre. E la madre? In uno dei momenti più spaventosi, la vediamo seduta sul letto, prima di venire anch'essa ingerita dalle ombre. Anzi, dall'ombra: nell'unico momento narrativo di Skinamarink, scopriamo che nella casa aleggia una presenza, sfuggente e invisibile.

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Paure ataviche e un horror che destruttura il genere

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Skinamarink: un frame del film

Per assurdo, la più grande forza e la più grande debolezza di Skinamarink è la continua esasperazione estetica. Che vuol dire? Che è indubbiamente affascinante la grana visiva dalle vibrazioni analogiche (ottimo lavoro di Jamie McRae), prestandosi bene all'idea di cinema artigianale e meravigliosamente grezzo del regista (che ha filmato tutto nella sua casa d'infanzia, quasi fosse una seduta analitica). La stessa forza, tuttavia, perde vigore quando il film si sposta poco dal concetto estetico, provando a tradurre le paure primordiali in un film che richiede (anche giustamente) un certo sforzo e una certa inclinazione. Certo è, che l'insistente staticità con cui si alternano le inquadrature, pur tecnicamente funzionale, svilisce l'inquietudine che proviamo all'inizio del film.

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Skinamarink: un'immagine

Del resto, Skinamarink, affonda le mani nell'onirico, nell'inconscio, nell'orrore scavato nei meandri della memoria. Elettrizzante e sbilanciato, Kyle Edward Ball prova a tradurre gli incubi e le inquietudini, senza mostrare ciò che davvero ci terrorizza (come fece nel 1999 il sopravvalutato The Blair Witch Project). Avulso dall'horror tradizionale, Skinamarink stuzzica gli anfratti della nostra immaginazione, creando un'ansia che ci riporta indietro di anni. Il film di Ball, infatti, può essere considerato come una sorta di stato mentale: quello di un bambino, terrorizzato dai profili diabolici creati dai riflessi di un'ombra nel buio, generando quel formicolio che sale fin su alla schiena.

Un paradigma concettuale, scevro dallo spavento classico e invece vicino a quello che il cervello è capace di generare, come se fosse una naturale e organica proiezione della mente: immagini e suoni (rimarchiamo il sound design) sono il nucleo scenico, tutto il resto viene dopo. Pure le nostre verosimili spiegazioni. Ball non è di certo il primo regista che ha messo in scena il concetto di incubo, e la lettura generale, visto il tono, potrebbe risultare marcatamente inaccessibile; essendo un corpo unico, la pellicola trasforma le paure ataviche di un bambino in numerose e possibili digressioni, compresa quella - la più drammatica - che Kevin e Kaylee siano vittime di violenze e abusi, rifugiandosi, come fanno i bambini, nei giocattoli e nei cartoni animati. Alcuni indizi sembrano suggerirlo (la tv accesa, la sensazione straniante, la figura paterna), anche se non abbiamo una granitica certezza in questo senso. Del resto, il percorso cinematografico di Skinamarink imbocca diversi corridoi (letteralmente), facendoci perdere tanto l'orientamento quanto l'attenzione. Malgrado ciò, 'sta notte meglio dormire con la luce accesa...

Conclusioni

Riprendiamo fiato, e concludiamo la recensione di Skinamarink sottolineando la sua fortissima indole arthouse, che raffigura, in stile found footage analogico, gli incubi atavici e le paure recondite scaturite dal buio organico di una casa inquietante. Tecnicamente suggestivo, il film però finisce per perdere la sua forza quando capiamo che il vero terrore è generato dalla nostra indole. Per questo, l'opera richiede un certo sforzo e una certa applicazione. Lecito, ma forse straniante per la sua eccessiva dipendenza estetica.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • L'atmosfera.
  • La fotografia.
  • Il sound design.

Cosa non va

  • Un'estetica protagonista, troppo martellante.
  • Una certa staticità.
  • Accade forse poco, quasi nulla. Potrebbe annoiare.