Rossosperanza, la recensione: tra horror e commedia nera

La recensione di Rossosperanza, secondo lungometraggio di Annarita Zambrano, un ritratto grottesco per raccontare l'Italia all'alba degli anni '90.

Rossosperanza, la recensione: tra horror e commedia nera

Un racconto sovversivo, anarchico e dissacrante dove si aggirano una tigre silenziosa fuggita da chissà dove, vecchi notabili e cardinali, un disco rosso che può andare avanti o indietro e un gruppo di adolescenti che si ribella ai moralismi del mondo borghese da cui provengono. Nella recensione di Rossosperanza in sala dal 24 agosto proveremo ad analizzare il secondo lungometraggio di Annarita Zambrano, che anche qui come in Dopo la guerra dove si concentrava sulle ferite lasciate aperte dagli anni di piombo, decide di fotografare un'epoca del nostro paese: questa volta a tenere banco sono gli inizi degli anni '90 con il loro sottobosco di perbenismo e corruzione. Zambrano non abbandona i suoi riferimenti cinematografici, su tutti I pugni in tasca di Bellocchio, da cui dichiara di "aver rubato più di un'inquadratura". Il resto è un feroce ritratto sociale che non risparmia nessuno.

La storia: una tigre, una giradischi e quattro ragazzi in fuga

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Rossosperanza: una sequenza del film

Un giradischi rosso gira sulle note di Lullaby, è notte e la strada è deserta se non fosse per una tigre famelica (Gisella) che si aggira nei boschi inseguita da un gruppo di cacciatori e quattro ragazzi che corrono in cerca di un passaggio. Li raccatta un signore in macchina (Rolando Ravello) che poco dopo li farà scendere bruscamente. Si chiamano Zena, Marzia, Alfonso e Adriano i protagonisti della storia raccontata da Rossosperanza e sono figli "reietti" di famiglie benestanti, colpevoli di aver deviato dalle convenzioni sociali imposte da quell' ambiente di "gente perbene" dove sono nati e cresciuti. Si sono incontrati nell'esclusiva Villa Bianca: sono stati spediti qui dai loro genitori (faccendieri, primari, madri dispotiche o depresse) perché li facciano "tornare normali. Normali come noi...". Ognuno ha la propria storia di devianza dalla quale redimersi. È il 1990, l'Italia si lancia in un nuovo decennio pur annaspando ancora tra gli strascichi degli anni '80.

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Rossosperanza: un'inquadratura del film

È la fine di un mondo, di lì a poco Mani Pulite avrebbe spazzato via le illusioni del decennio precedente. Craxi, il berlusconismo, Non è la Rai aleggiano sullo sfondo per tutto il film pur non essendo mai citati: li evocano i volti sinistri dei personaggi interpretati da Andrea Sartoretti o il Livio di Rolando Ravello, nel quale è facilmente rintracciabile la figura di Gianni Boncompagni.

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I personaggi tra disagio generazionale e horror movie

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Rossosperanza: una scena del film

Annarita Zambrano non fa sconti e con questo film, come ha lei stessa rivelato, si prende la sua "rivincita" di ragazza cresciuta in quegli anni di "moralismo funesto" da cui è stata costretta a scappare. Il risultato è una rappresentazione irriverente che procede esplorando linguaggi e stili non convenzionali, né tantomeno rassicuranti. Se da un lato si concede alle incursioni di inserti animati, dall'altro dà ampio spazio al grottesco e alla dimensione più profondamente onirica e simbolica: la tigre Gisella esibita in giardino, una "gattona" da due milioni al mese che tocca "tenere sempre un po' affamata così mantiene il suo lato più selvaggio" o il pitone Gorbaciov che mangia solo due volte al mese. I personaggi si aggirano sulla scena come entità liquide, fluttuanti tra eccentrici party a bordo piscina, grottesche riunioni famigliari e prelati inamidati: c'è Zena che vive di cuffie e vinili su cui "scratcha" rabbiosamente e con un fratello balbuziente; Alfonso, il figlio eccentrico e sfrontato di un senatore, disinibito "marchettaro" che esplode sulle note di Boys; c'è Marzia, ragazza estrema, radicale, provocatrice in cerca di successo; e infine c'è Adriano, muto per scelta da quando sua madre è morta, un lutto superato invece dal padre che si è rifatto una vita con un'altra donna.

Una commedia nera, selvaggia e profondamente sfacciata in bilico tra realismo e visioni, diviso tra il mondo ipocrita, imbalsamato e borghese degli adulti e quello folle, libero, inquieto e ribelle dei più giovani. In superficie si agita un microcosmo dominato sia da un lato che dall'altro da istinti primordiali, sete di vendetta, eccessi, potere, lussuria e rabbia. Zambrano materializza in un horror le contraddizioni di un'epoca, il reale assume i contorni dell'incubo e si dilata in un tempo e un luogo sospesi e sinistri. Tutto è pronto a deflagrare.

Conclusioni

Come ribadito nella recensione di Rossosperanza, Annarita Zambrano firma un racconto sovversivo, anarchico e dissacrante sull'Italia agli inizi degli anni '90. Tra commedia nera e ritratto grottesco il film è la rappresentazione di un'epoca oltre che uno spaccato generazionale: da un lato il mondo degli adulti piegato ai dettami dell’alta borghesia e del perbenismo, un sottobosco di prelati, faccendieri e madri dispotiche, dall'altro quello più inquieto e rabbioso di giovani di famiglie benestanti da redimere. Un feroce affresco sociale che non risparmia nessuno.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.4/5

Perché ci piace

  • Il feroce ritratto sociale dell’Italia all’alba degli anni '90.
  • La commedia nera e il racconto grottesco.
  • Una regia visionaria.

Cosa non va

  • L'eccesso di simbolismi e piani metaforici rischia di rendere il film troppo criptico.